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Dante a sette secoli dalla morte, Gargano commenta la Commedia

Nella ricorrenza del VII centenario della morte di Dante Alighieri (1321-2021) pubblichiamo alcuni articoli che fanno parte della raccolta De Comedia Dantis cogitationes (pensieri sulla Commedia di Dante) scritta da Giuseppe Gargano, storico medievalista e astronomo.

Praefatio

Il concetto di Medioevo comincia a delinearsi nel corso del XV secolo, quando l’Umanesimo, preannunciato nel XIV da Petrarca e da Boccaccio, con la sua rivoluzione a 360° dava inizio all’Età Moderna. La riscoperta dell’Antichità Classica greca e latina, avvenuta grazie al contributo della filologia e dell’antiquaria, mostrò l’esistenza di un lungo periodo storico di passaggio o di collegamento con l’Età Moderna, un periodo senza nome e considerato buio, in quanto dominato dalla barbaritas. Esso fu particolarmente analizzato dalla storiografia riformata, generatasi negli ambienti della Riforma di Lutero durante il XVI secolo, alla ricerca di prove e testimonianze che ponessero in cattiva luce l’operato della Chiesa cattolica. Fu così che il riformato Keller individuò il millennio tra il V e il XV secolo come età di mezzo, attribuendo ad essa il nome di Medioevo. In seguito la storiografia illuminista cominciò a studiarlo con una rigorosa metodologia d’impronta sempre più scientifica: Ludovico Antonio Muratori e Ferdinando Ughelli collezionarono numerose fonti medievali, offrendo ai posteri l’opportunità dello studio e dell’indagine profonda, che avrebbero portato in seguito alla produzione di saggi storici di notevole spessore. La formazione di scuole relative alla ricerca e all’investigazione storica ha determinato e promosso un aperto dialogo di opinioni, punti di vista e concezioni.

Frontespizio Della pubblica felicità, 1749 di Lodovico Antonio Muratori

In particolare l’École des Annales di Braudel, Le Goff, Duby e altri ha dato luogo, con il concetto di histoire totale, alla rivisitazione storica di tempi e spazi del Medioevo, tenendo presenti la multidisciplinarietà e la quotidianità.

Il Medioevo non fu un’epoca buia

La nuova metodologia ha permesso di stabilire che il Medioevo non fu affatto un’epoca buia e di decandenza, bensì di progresso e di avanzamento tra l’Antichità Classica e l’Età Moderna. Un uomo del Basso Medioevo, Dante Alighieri, costituisce, in proposito, un esempio valido e significativo, a tal punto che alcuni storici hanno indicato con l’anno della sua morte (1321) la fine stessa del Medioevo.

Luca Signorelli, Dante, affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle Storie degli ultimi giorni, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto

La sua Comedia è un’opera didascalico-enciclopedica, alla stregua di certi poemi o saggi classici, nella quale convergono varie discipline: storia, politica, religione, marineria, astronomia, fisica, filosofia, mitologia. Pertanto, Dante aveva ben appreso la lezione del suo maestro Brunetto Latini e del suo Trésor; inoltre la sua curiositas gli permise di apprendere fondamentali nozioni di marineria frequentando l’arsenale di Venezia, dove si recava spesso quale ambasciatore dei da Polenta di Ravenna. Alla base della sua concezione didascalica vi erano pur sempre le sette arti liberali, il trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musicologia), tutte opportunamente da lui inviluppate nell’ottava arte, la filosofia, laddove l’8 rappresentava la completa perfezione, indicando, nella croce ottagona e nella sezione orizzontale delle torri di Castel del Monte, all’occorrenza rovesciato in ?, l’infinito nello spazio o l’eternità nel tempo (il giorno dopo la creazione del mondo in sette giorni).

Castel del Monte è un capolavoro dell’architettura medievale, che riflette l’umanesimo del suo fondatore: Federico II di Svevia.

La filosofia alla quale Dante fa opportuni e continui ricorsi e riferimenti è decisamente medievale, anche se, nei casi relativi alla fisica, mostra la sua formazione aristotelica. Quindi Tommaso d’Aquino e Agostino da Ippona costituiscono i fondamenti delle sue visioni filosofiche inerenti alla metafisica. Inoltre nel XIII secolo Alberto Magno, che aveva introdotto le cifre arabe dalla Spagna, lasciando che le potesse usare il matematico pisano Fibonacci, il quale seppe abilmente fondere insieme la geometria euclidea con la scienza araba, istituiva la Ciencia locorum, cioè la geografia, intesa come una fusione di geometria e di astronomia. Con l’ausilio dell’aritmetica e dell’impiego della bussola nautica magnetica a secco appena inventata, furono realizzate le prime carte da navegare

Leonardo Pisano detto Fibonacci: un francobollo ha celebrato l’850° anniversario della nascita

Il viaggio di Dante

Dante decise di scrivere la sua opera enciclopedica in terzine con metro endecasillabo; scelse il toscano tra i quattordici dialetti-lingue da lui analizzati nel De Vulgari Eloquentia, poiché lo ritenne il più aulico, il più curiale, il più illustre. Fece largo uso delle figure retoriche, nonché del simbolismo e dell’allegoria, riferendosi spesso al bestiario medievale. In primo luogo da simpatizzante templare si riferì di frequente alla numerologia, riservando particolare attenzione al 3 e ai suoi multipli 6 e 9, senza dimenticare il 4, il 7, l’8. Impostò, pertanto, la Comedia su tre cantiche, ciascuna composta da trentatrè canti più uno, per un totale di 100, la perfezione assoluta. 

Esemplare dell’edizione giolitina de La Divina Comedia del 1555 appartenuto a Galileo Galilei

Egli immaginò un viaggio attraverso i tre regni dell’aldilà, connettendoli, comunque, alla realtà fisica della Terra e del cosmo. Inferno, Purgatorio e Paradiso non devono essere necessariamente considerati luoghi punitivi o premiali, ma piuttosto palcoscenii per una rappresentazione teatrale, dove i numerosi protagonisti o personaggi recitano la loro parte secondo un rigoroso e logico filo conduttore. Si è per lungo tempo ritenuto che la data del viaggio dantesco debba essere ricercata nella primavera dell’anno 1300, considerando che il primo verso, << Nel mezzo del cammin di nostra vita >>, sembra indicare proprio quella data, cioè il trentacinquesimo compleanno del poeta, se si tiene in conto che la vita umana di quel tempo era in media di settant’anni. In realtà il riferimento cronologico è stato usato da Dante con approssimazione; in un prossimo paragrafo perfezioneremo le coordinate temporali del viaggio. La figura retorica del clymax domina la descrizione dei primi due regni: dal punto di vista geo-astronomico discendente nell’Inferno e ascendente negli altri due regni; in relazione alla gravità del peccato avviene l’opposto tra Inferno e Purgatorio, mentre il Paradiso, seppur strutturato nei cieli ascendenti verso l’Empireo, assume, a riguardo della premialità, una forte connotazione egualitaria, permeato com’è dall’amore divino. Difficile appare al poeta la descrizione fisica dei cieli da effettuare alla luce del suo credo religioso; in altre parole l’ardua impresa a cui è chiamato deve consistere nello stabilire una convincente connessione tra fisica e metafisica, convincente soprattutto per le autorità ecclesiastiche. Il sistema da lui scelto è quello tolemaico, con la Terra al centro dell’universo e tutti gli altri corpi celesti che le girano intorno, determinando l’alternarsi delle stagioni e favorendo il calcolo delle ore notturne. Per spiegare il moto bizzarro a zig-zag dei pianeti, Marte, Giove e Saturno rispetto alle stelle fisse nel corso dei mesi, egli ricorre all’idea degli emicicli, cioè un moto a spirale intorno a una circonferenza orbitale ideale. Pensa, inoltre, che i moti del Sole e della Luna intorno alla Terra avvengono secondo un’inclinazione orbitale, al fine di giustificare le periodiche e differenti posizioni occupate da tali astri sulla volta celeste. 

Dante ufficializzò e istituzionalizzò il Purgatorio, un’idea che cominciò a concretizzarsi già nell’XI secolo, in concomitanza al riconoscimento della sua esistenza da parte di Bonifacio VIII, che promosse l’Anno Santo e la remissione totale o parziale dei peccati mediante le preghiere, al fine dell’ottenimento delle indulgenze.  Le tre cantiche sono, altresì, permeate dall’immaginario collettivo medievale, componente essenziale sia per il fine didascalico che per l’affermazione di una cosciente consapevolezza dei valori di una civiltà destinata a evolversi nell’Umanesimo. Tra i prossimi preumanisti, Boccaccio fu il più grande estimatore della Comedia, alla quale associò l’attributo di divina e della quale commentò pubblicamente vari canti fino a quando la sempre più precaria salute glielo permise. Egli fu l’unico a comprendere a pieno il pensiero e lo spirito di Dante, considerandolo più uomo di mondo che esteta spirituale. Neppure Petrarca, benchè fosse figlio di un compagno di fazione del sommo poeta, riuscì o volle fare altrettanto. 

Vari commentatori della Comedia, tra cui gli illustri Natalino Sapegno e Francesco De Sanctis, sono stati letterati, per cui hanno concentrato la loro attenzione sugli aspetti meramente umanistici dell’opera. Noi riteniamo opportuna la necessità di un’analisi che tenga presenti anche gli aspetti relativi ai settori scientifico, tecnologico e storico dell’età medievale naturalmente confrontati con le conquiste dei tempi successivi. E’ particolarmente utile, pertanto, uno studio sulla Comedia effettuato da un esperto studioso di scienza del Medioevo, intesa come insieme di conoscenze letterarie e scientifiche. 

I canti saranno analizzati e commentati mediante una presentazione in parallelo, cioè associati per tematiche comuni o per argomenti similari, alla luce della multidisciplinarietà e con lo scopo di inquadrare il personaggio Dante Alighieri nella società del suo tempo.     

L’introduzione alla Comedia

L’architettura della Comedia getta le sue basi nel canto I dell’Inferno, in quella selva oscura e misteriosa che non conosce tempo e che forse non è un luogo fisico, ma un topos dell’animo umano, simbolo di smarrimento e di perdizione. Così il canto I dell’Inferno assume il compito di introdurre l’intera opera. 

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura (I, vv. 1-2). Illustrazione di Paul Gustave Doré.

Il protagonista, Dante Alighieri, sta vivendo un momento di disorientamento spirituale, negli anni di lotte intestine tra guelfi bianchi e guelfi neri nella sua Firenze. Ha circa trentacinque anni, quando sprofonda senza rendersene conto nell’abisso del suo animo, in una dimensione surreale che, comunque, lo tiene in comunicazione con la dimensione reale. Qui per surreale non intendiamo affatto l’astratto, bensì una posizione al di sopra del reale, alla stregua della concezione artistica del Surrealismo pittorico. Il sonno del peccato è stata la porta che lo ha introdotto nell’altra dimensione, al cospetto della selva selvaggia, un’allitterata figura etimologica. In contrapposizione ad essa si erge, nell’Eden del Purgatorio, la divina foresta, un’eterna primavera, come quella celebrata da Botticelli, temprata da un lieve scirocco, che rende tremule le verdi foglie. Acque chiare e fresche, come quelle del Sorga di Petrarca, tant’è che nel gergo altomedievale romanico e bizantino trasferirono per metonimia nei sinonimi di “fiume” le voci claretus e ??????, scorrono perenni in quella foresta come il Rio taglia l’Amazzonia o il Nilo dona agli egizi l’Egitto. Le foreste terrene, quelle dell’emisfero opposto alla montagna del Purgatorio, non hanno, purtroppo, vita eterna: esse sono corruttibili, come tutto ciò che esiste nelle terre emerse della Pangea dantesca. Così avvenne per la rigogliosa foresta che quindicimila anni or sono accoglieva molteplici esemplari di flora e di fauna, inesorabilmente travolta dall’avanzar delle sabbie ocra del Sahara. Natura matrigna che tutto traveste, come lo sterminator Vesevo che sommerse sotto le ceneri la superba opulenza romana, sfidata con orgoglioso titanismo da un’umile e gracile pianta, la ginestra, simile nel valore al giunco purificatore della marina del Purgatorio. Al cospetto della selva comincia l’altalenante umore del poeta tra speranza di salvezza e angoscia di perdizione. Evita la selva e s’avvia per le pendici di un colle, attratto dai raggi del Sole che sta per sorgere. Il colle è il Golgota, il Sole è Cristo che risorge e rischiara la via della salvezza, qui denominata col termine veneziano di calle. I battiti del cuore di Dante si rallentano e un fremito di gioia fluttua sotto la sua pelle. Si sente come il naufrago che intravede alfine la spiaggia, mentre alle sue spalle l’onda minacciosa del mare aperto (pelago) continua a inseguirlo. 

Ma la gioia del poeta è breve, perchè gli sbarra la via una lonza dal pelo macchiato. Lo spunto non viene dai bestiari medievali, ma da un ghepardo che in quei giorni fu esposto a Firenze al pubblico chiuso in una gabbia, come afferma Pietro Alighieri, suo figlio e suo primo commentatore. La bestia ha un duplice significato, uno religioso e l’altro politico: rappresenta il peccato della lussuria e di conseguenza è il simbolo della Firenze lussuriosa dei suoi tempi.

La speranza torna a manifestarsi, quanto il poeta, ragionando con se stesso, si convince, sotto il profilo astrologico, che tutto sommato il momento è propizio. Infatti è ormai primavera, stagione corrispondente al tempo in cui Dio creò l’universo. 

Ma la replica del terrore gli fa cambiare idea: appare un leone che col suo ruggito fa tremare l’aria. E’ il peccato della superbia e il simbolo della Francia, che minaccia la libertà di Firenze e vuol sovvertire l’ordine della storia umana, legato ai due Soli (papato e impero) indicati nel De Monarchia.

Dante manda all’Inferno i mediocres della “colonna” di Amalfi

Dante si sente perduto e viene messo alle corde quando appare la terza bestia, la più pericolosa, la lupa. Essa è stata generata nelle profondità dell’Inferno dall’invidia demoniaca. E’ magra e sempre affamata, si accoppia sempre con vari animali. E’ il peccato della cupidigia, che spinge l’uomo a desiderare sempre di più ricchezza e potere e ad appropriarsi di ogni cosa senza scrupoli. La lupa della selva richiama la lupa capitolina, per cui è Roma, è la Chiesa cattolica, guidata da Bonifacio VIII che si appoggia a Carlo d’Angiò e si allea coi guelfi neri fiorentini. La cupida lupa è anche la classe borghese e capitalista dei guelfi neri, la gente nova che dal contado era entrata a vivere in città, industriandosi nella mercatura, nelle attività produttive e nella pratica dell’usura. Questa classe di mediani o mediocres si era già manifestata dal secolo XI a Napoli, dove aveva obbligato il duca Sergio IV a firmare il Pactum Sergii per sancire il suo riconoscimento ufficiale, a Gaeta e ad Amalfi, dove, proveniente dai casali esterni, aveva ideato il contratto marittimo della colonna con la pratica della divisione degli utili mediante l’acquisto di quote-parti della nave (carati), dando, pertanto, luogo alla moderna società per azioni

Dante è in rotta, indietreggia all’incalzare della lupa. Ma ecco materializzarsi un’entità che fino a quale momento non si era celata: è il poeta Virgilio, preferito da Dante tra tutti gli autori classici che aveva studiato. Virgilio, come tanti personaggi danteschi, si manifesta mediante un’articolata perifrasi per incuriosire e interessare il lettore, a mo’ del giocatore di tresette che terzea le carte con la speranza di vedere il carico: << Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore;/ tu se’ solo colui da cu’ io tolsi/ lo bello stilo che m’ha fatto onore >>. Con tali parole il poeta toscano chiarische che ha fatto tesoro dello stile virgiliano, fondamento essenziale della sua fortuna artistica. Virgilio era stato il sommo poeta della Romanitas, che aveva ricostruito con grande abilità la fusione alle origini tra l’elemento estraneo troiano e quello autoctono latino. Davvero Dante ha scelto Virgilio soltanto per queste ragioni quale suo accampagnatore nel viaggio nei regni dell’oltretomba? Noi crediamo che l’abbia fatto anche in virtù di una credenza medievale relativa a un’errata interpretazione della IV ecloga delle Bucoliche, secondo la quale la nuova età dell’oro (Saturnia regna) sarebbe stato l’avvento del cristianesimo. La predizione virgiliana avrebbe avuto come segni essenziali la discesa della Virgo sulla Terra e la nascita del puer. Pertanto, il gentile accompagnatore nel viaggio ultraterreno sarebbe stato un profeta del cristianesimo. La sua missione gli avrebbe consentito il riconoscimento divino, per cui, alla stregua di Stazio, sarebbe poi stato accettato nel Paradiso? Dante manifesta il desiderio del poeta mantovano, ma ci lascia in sospensione circa la risposta a tale domanda. 

La Virgo non era affatto la Vergine Maria, bensì la dea della giustizia, così come il puer non era Cristo; piuttosto che un figlio del console Asinio Pollione o un figlio maschio di Augusto mai nato, sarebbe lo stesso Ottaviano, il quale aveva pacificato il mondo, che parlava ormai latino, istituendo l’impero grazie alla pax Romana o Augustea

La vera profezia che Dante fa uscire dalla bocca di Virgilio è quella del veltro, un cane da presa, che ricaccerà la lupa nell’Inferno. Chi è il veltro? Rappresenta, dal punto di vista religioso, la Trinità costituita da sapienza, amore e virtute; è un personaggio umile, che rifugge possedimenti e ricchezze, ma pone la sua nazione, come un foglio di charta bambagina tra due panni di feltro. Così egli dovrà nascere tra Feltro e Montefeltro, la patria di Cangrande della Scala, signore di Verona. E proprio questi potrebbe essere il veltro, a giudicare dalla pofezia di Cacciaguida, avo di Dante. Egli è il gran Lombardo che ‘n su la scala porta il santo uccello; così la sua aquila imperiale sarebbe quella sacra destinata all’impero universale. Infatti nel 1311 gli Scaligeri saranno nominati vicarii imperiali alla stregua dei Visconti, duchi di Milano. Bartolomeo della Scala, prima di morire nel 1304, accoglierà benevolmente Dante durante il suo esilio. Lì il poeta conoscerà il fratello minore di Bartolomeo, Cangrande, che nel 1300 ha nove anni, ma destinato in seguito a diventare un grande principe, capace di sottomettere città di fazione guelfa come Vicenza, Feltre, Belluno, Padova e Treviso. Egli fortificherà Verona e produrrà nuovi statuti. Ciò che lo lega al veltro è quella parte della profezia riferita alla sua capacità di innalzare gli umili e di abbattere i potenti, la certezza che sarà protagonista evangelico di un totale rinnovamento sociale.

Il veltro non può essere identificato con Arrigo VII, imperatore del Sacro Romano Impero, perchè questi fallirà nella sua impresa di sistemazione politica dell’Italia, scendendo oltre le Alpi (Paradiso XXX, 136-138): i tempi, purtroppo, non sono ancora maturi. Nel 1313, poco prima della sua scomparsa, sarà ingannato dal pontefice avignonese Clemente V, colui che, assecondando il desiderio di Filippo il Bello di Francia, istruirà il processus contra Templarios (1312). Infatti il papa guascone abbandonerà l’alleanza con l’imperatore non appena avrà conosciuto il suo progetto di invasione dell’Italia (Paradiso XVII, 82-84). 

Queste convinzioni dantesche relative alla politica dei primi anni del Trecento spinsero Ugo Foscolo a considerare il sommo poeta ghibellin fuggiasco in Dei Sepolcri

Alla selva selvaggia dell’Inferno fa da contralatare nel Purgatorio la foresta dell’Eden, praticamente un verdeggiante giardino fiorito, ricco di acque brune e fresche. In quel locus amoenus di classica memoria, che ricordava il nemus amoenum di Enna, dove avvenne il mitico rapimento di Proserpina o Persefone da parte di Ade, la quale ogni anno ritornava sulla Terra dagli Inferi come Primavera, appare Matelda annunciata dalla sua voce melodiosa, simile alla pastorella della poesia provenzale. Bella donna la definisce Dante, che riporta alla mente la Donna bella riccamente vestita di Bruccato, assettata ad una seggia, con uno lione in grembo et una palla seu un mondo in mano della Tabula de Amalpha, signora medievale dei mari e ninfa umanistica simbolo della nobiltà che descendit ex patribus Romanorum

Matelda in un’illustrazione di Gustave Doré per il Purgatorio

Chi era Matelda?

Chi era Matelda?

Di certo non la contessa di Canossa, alleata di Gregorio VII nella lotta per le investiture, e neppure la veggente santa Matilde di Hachenborn, poiché morì nel 1310, per cui non poteva trovarsi nel Paradiso terrestre nove anni prima. L’onomastico è germanico; pertanto, non sembra affatto coincidere con la Virgo Astrea della IV ecloga virgiliana. Il mistero permane; la soluzione è forse da ricercare nel mondo letterario germanico-cristiano.

(I parte, continua…)

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