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Una vita tra le albicocche: vecchi racconti e nuove start up

Sono passati più di 40 anni e ancora oggi ad Eboli, la famiglia Dell’Orto si dedica alla coltivazione delle albicocche. Più di quindici varietà autoctone e tante storie intorno a questo gustoso frutto. Da qualche anno, grazie alla start up Biorfarm, una parte del prodotto è indirizzata verso la filiera corta, con l’adozione degli alberi.

Don Nicola veniva dall’Agro Nocerino Sarnese. Era un omone con un grande cappello panama calato sulla fronte. Era un commerciante di frutta. Arrivava nella Piana del Sele per comprare direttamente dagli alberi.

Da noi prendeva le albicocche, le “Crisommole” come le chiamano a Napoli

Un anno per la raccolta è arrivato con una squadra di siciliani. Venivano dalla Conca d’oro. L’avevamo studiata alle scuole elementari sui sussidiari di geografia. Era la valle delle arance, nella provincia di Palermo. Raccoglitori di arance, abituati per la raccolta all’uso della scaletta, veloci e muscolosi.

Il capostipite della famiglia Dell’Orto mentre raccoglie le albicocche

Si arrampicavano con destrezza sulle scalette di legno e le spostavano di albero in albero con molta destrezza  e in un batter d’occhio raccoglievano un intero frutteto. Uno di loro, tarchiato e piccoletto, si caricava sulle spalle fino a quattro cassette di albicocche. Quasi un quintale, e le portava fuori dal campo per caricarle sul camion. Mia madre cucinava per tutti. Più che una squadra sembravano un branco di lupi affamati. Avevano un buon appetito!  

Gli Scurzini 

Per mezzogiorno preparava gli “scurzini”, una specie di barche ricavate dalle pagnotte di pane e riempiti di ciambotte, frittate, carne alla pizzaiola.  Il pranzo vero e proprio si faceva la sera, a fine giornata: zitoni al ragù, braciole, spezzatino di carne di maiale, pollro alla cacciatora, melanzane a funghetto, zucchine alla scapece,  parmigiana di melanzane. Avevano una gran fame  e mangiavano a bocca piena assaporando ogni boccone. Era una soddisfazione vedere come ripulivano i piatti con la immancabile scarpetta. Noi bambini aiutavamo ad apparecchiare, sparecchiare, portare l’acqua, il vino. Un’impresa di famiglia! Ognuno – dai più grandi ai più piccoli – eravamo coinvolti. 

Antonella Dell’Orto con le sue albicocche

Le albicocche insaccate 

Nel piano terra della casa c’era un grande magazzino dove le albicocche venivano” insaccate”, cioè si selezionavano  e si riempivano cassettini, pronti per i mercati. Il lavoro delle donne e dei bambini.

I cassettini erano di legno, sul fondo ci veniva posto un foglio di carta pane, e tutt’intorno un cartoncino, per proteggere la frutta. L’albicocca è un frutto molto delicato e va trattato con cura se non si vuole rischiare di consegnare marmellate.  Questo era il compito di noi bambini.

Le donne invece al bancone  riempivano le cassettine con una cernita, tutta nelle mani, di calibro e di maturazione: ”Menate ‘e man!” urlava ogni tanto il caposquadra di turno, e automaticamente il ritmo di lavoro incalzava e le mani ancor più leste. Quel richiamo cadenzato funzionava da incitamento a lavorare con più sveltezza e a non intrattenersi troppo in chiacchiere e pettegolezzi che spesso prendevano il sopravvento.

Poi si passava all’”accoppulatura” quelle più belle venivano messe sull’ultimo strato perché, si sa, anche l’occhio vuole la sua parte, di questo se ne occupavano le più esperte.

A quei tempi risale la mia  prima rivendicazione sindacale. Don Nicola, seduto su una sedia, che sembrava un trono, dava la paga a tutti. Arrivato il mio turno, dopo una settimana di lavoro, voleva liquidarmi con 1500 lire?  Dopo un’arringa accorata descrivendo tutti  i lavori fatti, l’emotività prese il sopravvento e scoppiai a piangere dalla rabbia. Ha sempre prevalso il cuore sulla ragione nell’affrontare le questioni. Ancora oggi mi capita, e c’è chi se ne approfitta scambiando questo per debolezza. Intanto don Nicola mi raddoppiò la paga.

Da quarant’anni la coltivazione delle albicocche 

Il papà e la sorella di Antonella Dell’Orto

Sono passati più di 40 anni e ancora oggi con la mia famiglia ci dedichiamo alla coltivazione delle albicocche e da qualche anno anche delle susine. Mio padre ha continuato a piantare frutteti di albicocche nella Piana del Sele.

Le varietà vesuviane tutte. Dalle dolci pellecchielle alle corpose Vitillo, alle più rustiche cafone.

Oggi in azienda sono presenti 15 varietà di albicocche e il prossimo autunno ne impianteremo uno dedicato alle varietà autoctone in via di estinzione candidandoci a diventare Agricoltori custodi.

Il grosso del raccolto viene commercializzato con i grossisti e segue i canali della grande distribuzione e delle industrie di trasformazione. Ogni anno che passa le problematiche da affrontare sono tante. Le sfide dei mercati globali sono sempre più impegnative e i cambiamenti climatici a volte riservano amare sorprese ai coltivatori a campo aperto, come siamo noi. 

Stamm’ sott u ciel” dicevano i vecchi contadini e ancora è così. Ma noi abbiamo scelto l’agricoltura biologica e non abbiamo voluto ricoprire di plastica la nostra Madre Terra. Scelte coraggiose e controcorrente, con rischi maggiori. Ma questo è il prezzo che si paga ad essere anche un po’ sognatori, oltre che imprenditori, ma siamo contenti e orgogliosi di questo.

BIORFARM, adotta un albero

La “nuova generazione” della famiglia Dell’Orto

Da qualche anno grazie a Biorfarm abbiamo avuto l’opportunità di indirizzare una parte del prodotto verso una filiera corta e, dal campo le albicocche appena raccolte, le confezioniamo in scatole e arrivano direttamente a casa delle persone che durante l’inverno hanno adottato gli alberi e scelto di ricevere un quantitativo di frutta fresca appena raccolta.

Mi ricordo ancora la prima telefonata fiume con Osvaldo Di Falco di Rossano Calabro che, con Giuseppe Cannavale di Caserta sono gli ideatori della start up. Il più grande frutteto digitale italiano. Praticamente con loro sono diventata un agricoltore digitale. Ho una app sul mio cellulare attraverso la quale mi vengono notificate le adozioni.

Aggiorno costantemente il quaderno di campagna dove annoto le pratiche colturali in modo che l’adottante segue le operazioni che si svolgono in campagna. Poi appongo sugli alberi i cartellini con il loro nome. Fotografo e carico sulla piattaforma. Dietro ogni nome c’è una persona, una storia, un’attesa e una speranza. In questo tempo sospeso e di attesa è stato bello vedere che in giro per l’Italia ci sono state persone che hanno deciso di credere in noi e che ci hanno sostenuto adottando i nostri alberi.

La nostra squadra, costituita dalle donne della famiglia, è già al lavoro per organizzarsi per la imminente campagna di raccolta. Ritorneremo attorno al bancone a “insaccare” la frutta. Quanti fatti ci racconteremo. Quante chiacchierate, e tra un albicocca, un caffè e un panino con la mortadella ritroveremo il tempo perduto.

E così nella Innovazione ritroviamo il passato e l’importanza di tessere relazioni. Ogni cassettino sappiamo che è destinato ad una famiglia e curiosi, ogni volta leggiamo il nome dei paesini dove verrà consegnata la nostra frutta: dalle valli del Trentino alla splendida Sicilia, e viaggiamo con la fantasia. Spesso le persone ci scrivono per ringraziarci e ci raccontano le emozioni che hanno provato nel riscoprire sapori che sanno di antico.

Quest’anno ci stavamo preparando anche per un aspetto molto importante, al quale teniamo molto, il turismo esperenziale. Già lo scorso anno abbiamo ospitato famiglie che venivano a conoscere il proprio albero per raccoglierne direttamente i frutti e per trascorrere un fine settimana nel nostro splendido territorio. Per quest’anno, conosciamo bene i motivi, questo non sarà possibile e allora, in quella scatola che noi spediremo racchiuderemo qualcosa di più. Sarà  la speranza per un  futuro in cui potremo ritrovarci felici, sotto un albero di albicocche a godere dei frutti di Madre Natura.

*Antonella Dell’Orto e famiglia

La fioritura degli albicocchi

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