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Augusta riparte coi fiori d’arancio, la prima riapertura è un matrimonio

Ultimo aggiornamento mercoledì, 3 Marzo, 2021   13:57

AUGUSTA – La fase 2 ad Augusta ha il profumo dei fiori d’arancio. Non ci poteva essere nulla di più ben augurante che un matrimonio, a segnare la cronaca su questo primo giorno di ripartenza dopo il lockdown. Anche se Sabrina Speciale e Giuseppe Baffo hanno trovato a San Giuseppe Innografo solo gli 11 invitati concessi dalle norme sul distanziamento, comprensivi di testimoni e genitori, è come se tutta la città fosse stata presente in quella parrocchia al Monte. Dove la mattina del 18 maggio due innamorati hanno lanciato la scommessa di metter su famiglia, in un momento in cui le statistiche registrano le rinunce a proseguire persino nelle procreazioni assistite già prenotate. Nessun fotografo ha immortalato l’inedita cerimonia nuziale con guanti e mascherine. Ci hanno dovuto pensare due amici con macchine amatoriali, e il malvestito cronista imbucatosi all’ultimo momento come fuori quota, per registrare il ricordo di questo “giorno più bello”. Che da fatto privato è diventato evento collettivo, trasformandosi senza volere in un pezzo di storia cittadina

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Non solo perché sostanzialmente le nozze di Sabrina e Giuseppe sono la prima “manifestazione” pubblica ad Augusta, dopo l’allentamento dei divieti sugli assembramenti. Ma anche perché segnano l’inizio di una nuova “normalità”, molto diversa da come si era abituati a concepirla. In un certo senso “più autentica, come ogni cosa di questi tempi”, commenta don Giuseppe Mazzotta a fine celebrazione. Il parroco ha dovuto dire messa in questi mesi solo in diretta streaming. E ora suona a tutti un po’ strana, questa “riapertura” delle chiese così singolare. Con i dischi verdi e bianchi a indicare i segnaposto come allo stadio, le frecce a terra per segnalare il percorso obbligato di entrata e uscita come in un tour museale, e coi dispenser di disinfettante piazzati dappertutto manco ci si trovasse in un supermercato. Ma così ha imposto il governo, così ha accordato la Conferenza episcopale italiana, e così applica diligentemente il sacerdote, chiamato per primo a sperimentare le funzioni post-Covid

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Coro e organista sono stati sostituiti da basi musicali pre-registrate. Dalla liturgia è totalmente sparita l’esortazione a scambiarsi il segno di pace. E prima di distribuire la comunione il prete deve indossare i guanti bianchi, con la stessa solenne gestualità di un chirurgo, per consegnare l’ostia nelle mani disinfettate dei fedeli tese a distanza. Restituire a Cesare ciò che è suo, sicuramente toglie quella “coreografia cui spesso guardano i ragazzi che si sposano”, commenta don Mazzotta. Tuttavia la “spettacolarità” connessa a un matrimonio pre-Coronavirus, in un certo senso, conferisce la giusta solennità laddove manca la percezione della profondità sacramentale.

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Ma le pauperistiche misure anti-contagio, in questo caso, più che togliere hanno aggiunto. “Non ci è mancato nulla, la cosa più importante per noi era ricevere il sacramento del matrimonio”. Sabrina e Giuseppe lo affermano senza enfasi, con voce ferma e sguardo luminoso. Eppure avevano tutto pronto per le nozze del 19 marzo, quando l’epidemia ha deciso diversamente. Questa egittologa di 32 anni e il suo promesso, commercialista quarantunenne, alla fin fine potevano aspettare ancora. E avere la loro fastosa cornice di parenti e amici tirati a lucido. Invece hanno preferito così, coi fratelli a fare da testimoni per restare dentro il “numero legale“, rinunciando agli altri 40 già a suo tempo invitati. “Le persone più importanti erano qui”, tengono a puntualizzare, senza lasciarsi un attimo le mani ora abbellite dalle fedi. Scherzando, ma non troppo, aggiungono che tutto sommato “c’è stato meno di quel ‘cuttigghio’ caratteristico dei matrimoni”. 

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Lo sparuto drappello di “privilegiati” ammessi alla funzione ai sensi del Dpcm, non si è persa una parola. Per non farla perdere nemmeno a chi non poteva partecipare, ci ha poi pensato papà Enzo. Che ha equamente diviso la sua attenzione fra la figlia all’altare, e il telefonino con cui riprendere tutto a beneficio di chi non c’era. Ha però dovuto mollare lo smartphone quando, insieme alla moglie e ai testimoni, sopra la coppia appena sposata ha steso il lenzuolo bianco con la colomba ricamata in oro. Un cerimoniale dell’antico rito greco-bizantino, ancora in uso nelle messe ortodosse, che simboleggia l’invocazione alla discesa dello Spirito santo.

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“La sobrietà di questa cerimonia sofferta è un insegnamento per tutti i ragazzi”, ha sottolineato don Mazzotta alla fine della funzione. Nell’omelia aveva ricordato che “in ogni matrimonio si ripetono le nozze di Cana“. In quel brano evangelico letto durante la messa c’è il racconto della moltiplicazione del vino, venuto a mancare proprio sul più bello della festa. Un inconveniente che Sabrina e Giuseppe hanno evitato già in partenza, visto che ricevimenti e viaggi di nozze sono ancora una chimera. “Ci sarà tempo per festeggiare”, dicono gli sposini, prima di allontanarsi con l’auto di famiglia. Li aspetta un trattenimento così selettivo, da poter entrare tutti nel tavolo della cucina di casa. Che poi, alla fine, è quanto di meglio due innamorati possano desiderare.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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