Tu sei qui
Home > PRIMO PIANO > Il Cammino dei Picentini in tre giorni e cinquanta chilometri di verde

Il Cammino dei Picentini in tre giorni e cinquanta chilometri di verde

Ultimo aggiornamento martedì, 21 Luglio, 2020   15:44

La seconda edizione del Cammino nel Parco Regionale dei Monti Picentini: riflessioni a caldo sulle tracce di una natura da vivere e proteggere 

Le gambe stanche ma tenaci, gli occhi sazi di verde e di azzurro, la mente distesa e soddisfatta da una scansione del tempo ormai dimenticata, un sogno per chi vive la frenesia delle città affollate e sporche, dove la meta non è raggiungere la vetta di un monte, individuare una sorgente o consumare una merenda su un prato, ma riprodurre la routine alienante che si ripete a ogni sveglia.

Sulla vetta del Montagnone di Nusco

Queste sono le sensazioni più immediate che avverto al termine del Cammino dei Picentini, la seconda edizione di un percorso interamente a piedi durato tre giorni e 50 kilometri attraverso il polmone verde che separa e congiunge le province di Avellino e Salerno, facendole sentire più vicine, livellando le differenze e mettendone in risalto i caratteri più forti (sapori, profumi, asprezze e genuinità) legati alle tradizionali attività montane che accomunano entrambi i versanti. Un unicum paesaggistico, storico e culturale dominato dalla presenza massiccia di acque che lo rendono il serbatoio dell’Italia meridionale – bacino imbrifero tra i più importanti d’Europa – e, per dirla con il compianto senatore Franco Ortolani a proposito dell’assoluta necessità di tutela e conservazione, il “santuario dell’acqua potabileche irriga e disseta la Puglia, Napoli e metà della Campania. Non è poca cosa. Un susseguirsi di vette maestose in un ambiente lussureggiante punteggiato di borghi pittoreschi dove permangono, al fianco di un’indole riservata e testarda, ospitalità e saperi tramandati con devozione, frammentati e recisi dal terremoto e dall’emigrazione, ma mai abbattuti. 

Il Cammino dei Picentini 2: la storia e i protagonisti 

Fabio Guerriero, presidente del Parco regionale dei Monti Picentini con un pastore

E’ difficile descrivere con occhi neutrali un’esperienza segnante di così grande valore: ideato e promosso dall’Ente Parco Regionale dei Monti Picentini grazie alla visione di un presidente – Fabio Guerriero – fuori dal tempo e dagli schemi, camminatore, architetto, curioso e fedele alla sua missione nei panni non di burocrate ma di esploratore ammaliato dalla bellezza e dalle sinergie possibili, e portato avanti grazie a una rete di sensibilità affini (tra cui Vito Rago, Davide Urciuolo, Giovanni Maiurano Stella, Federico Russo, Mario Preziosi, Antonio del Gaudio, Gianluca Basile, Arcangelo Iapicca ed altri ancora), quest’anno ha avuto luogo dal 26 al 28 giugno e ha voluto disegnare un’ideale direttrice nord- sud partendo da Nusco, sede operativa del Parco, fino a Campagna dopo aver toccato le località di Laceno – nel comune di Bagnoli Irpino – ed Acerno, attraverso la rete dei sentieri in gran parte segnata dal CAI. Anche quest’anno l’obiettivo era molteplice: consolidare una rete principale per il trekking di media-lunga durata; toccare con mano eventuali criticità e quantificare l’impegno necessario; verificare l’adeguatezza dei punti di accoglienza e ristoro; compattare un gruppo di lavoro poliedrico e affiatato in vista dell’immediato rilancio turistico. A questa edizione ho avuto l’onore di prendere parte anche io che scrivo – in qualità di cartografo e riscopritore della natura dei luoghi – insieme a Peter Hoogstaden, CEO e anima nomade della Genius Loci Travel, riferimento nel mondo dell’escursionismo, profondo conoscitore del territorio e “guru” dell’offerta turistica sostenibile, e al professor Alessandro Di Muro, archeologo e scopritore di molti tesori nascosti dalle polverose pieghe della storia locale. Ne sono scaturite idee, riflessioni, amicizie, risate, emozioni, coccolati dopo decine di guadi, salite scoscese e panorami mozzafiato, da una impeccabile macchina dell’accoglienza allestita dagli amministratori locali e dalla comunità pulsante dei borghi attraversati. E’ stata l’occasione di studiare e tracciare in maniera compiuta itinerari che avevo finora solamente sognato o percorso in modo frammentato, ma soprattutto di riacquistare fiducia e speranze, da tempo rimosse, verso la possibilità di una tutela degli ambienti più selvaggi grazie all’intreccio di una gestione oculata e di un turismo finalmente consapevole e non invasivo, capace di attraversare con passo rispettoso, cuore attento e occhio vigile alcuni dei luoghi più suggestivi, preziosi e ancora intatti dell’Appennino meridionale. 

L’altopiano di Laceno

Le tappe del Cammino 

La prima tappa: partiti da Fontigliano, fresca località che apre le porte dei Monti Picentini allo splendido abitato di Nusco, si è raggiunta la vetta del Montagnone, e giù fino ai prati di Laceno in un susseguirsi di pascoli e vallate, sorpresi da una invasione di migliaia di coccinelle. Come sorpresa finale, abbiamo avuto accesso a un ramo periferico delle Grotte del Caliendo, guidati dall’esperienza di Raffaele Basile, e terminando la giornata con una accoglienza oltre il comune da parte del vice-sindaco di Bagnoli Irpino, a base di soppressate, vino e caciocavallo impiccato, per poi pernottare alla Taverna Capozzi

Un rospo Comune (Bufo Bufo) presso le Grotte del Caliendo

La seconda tappa: dai faggi centenari del Colle del Leone e del Prato L’Acernese, a mille metri tra le cime del Cervialto (1809) e della Raiamagra (1667) in un mistico susseguirsi di risorgenze d’acqua e cascate lungo la fiumara del Tannera e i valloni Cupone e Pintarrino, regno della salamandra pezzata, della poiana e del ghiro – avvistati e fotografati presso la fonte di Dongiovanni e a Vallebona – siamo giunti ad Acerno, crocevia di acque con le sue cartiere, ferriere e antiche miniere di lignite. Una cena a base di tartufo orchestrata da Noemi Iuorio, presidente dell’Associazione Tartufai Italiani con il suo staff ed il pernottamento nell’ex convento di Sant’Antonio, al centro della cittadina, hanno concluso un’altra incantevole giornata. 

Foto di gruppo alla partenza da Acerno sotto un cedro monumentale

La terza ed ultima tappa: sotto la guida di Roberto Di Lascio, dopo una visita agli antichi insediamenti industriali, che oggi lasciano spazio a giochi d’acqua e flora autoctona, abbiamo risalito due diversi rami del Tusciano, tra cui il vallone Puzzunito, con la singolare sorgente Stennecchiata, che emerge distesa su un’ampia superficie, camminando per oltre 15 km sulle orme lasciate dal lupo attraverso il Varco Crocecchiole, la Costa Calda, Vallimala e Sierpico fino ad entrare nel borgo di Campagna, racchiuso come in uno scrigno nella valle in cui si incontrano i fiumi Atri e Tenza. Il nostro arrivo è stato seguito dalla visita all’intenso museo multimediale dedicato alla memoria delle vittime del nazifascismo internate nell’antico convento di S. Bartolomeo e dalla scoperta della spettacolare ingegneria idraulica di un paese modellato dall’acqua. 

La cascata di Tenza

Un cammino oltre i semplici passi: istruzioni per il presente

Superando gli stereotipi romantici che possono facilmente edulcorare l’esperienza montana, relegandola a una ricerca  del “bello” spesso svincolata dal contesto sociale, camminare è prima di tutto un atto di amore e di riconoscenza verso il territorio che ci accoglie e ci sostenta. Dal dopoguerra a oggi, tanti abusi sono stati perpetrati in nome della noncuranza per la biodiversità che riunisce sotto un unico denominatore la fauna, la flora e la geologia di ambienti così peculiari, e le soluzioni per contrastarli sono state spesso inefficaci, frammentarie e poco coordinate tra loro. Il passaggio dell’uomo può sempre tradursi in un atto di sopraffazione per una natura ancora poco contaminata, se non viene guidato dalla giusta esperienza e dalla premessa di rispetto e umiltà. Ma l’ambiente appenninico ha bisogno dell’uomo per preservarsi e rigenerarsi, purché questi sappia rispettare le leggi di natura e porsi dei limiti nella propria azione, sia di curiosità e svago, sia di sostentamento economico.

Le cime del monte Calvo e Pizzo Corno presso Campagna

Siamo eredi di un passato dove la vita rurale era sinonimo di enormi sforzi e divario sociale, e siamo cresciuti in un presente in cui lo sviluppo economico ha prodotto nuove subalternità attraverso il depauperamento delle risorse primarie e la rottura, in tempi vertiginosi, di equilibri millenari: siamo tutti chiamati a cercare in un’etica planetaria la chiave di volta per ristabilirli in maniera durevole, soprattutto laddove la lancetta dell’integrità è assestata su valori ottimistici e ci indica con chiarezza la strada per invertire la rotta. L’impegno dei singoli, delle comunità e delle istituzioni deve indispensabilmente orientarsi verso il bene comune. Per questo c’è tanto da fare, primo tra tutti promuovere educazione, informazione e conoscenza per arginare il puro sfruttamento per interessi privati e scoraggiare la fruizione ingorda dei luoghi, affinché possano continuare ad essere attraversati in uno scambio reciproco di bellezza ed impegno. 

Il Parco dei Monti Picentini, già baciato dalla natura, dal clima e da un progresso sopraggiunto in maniera non troppo violenta, da oggi sembra avere una fortuna in più: un presidente dinamico e straordinariamente determinato, radicato nel proprio territorio come il muschio sulla roccia, e un nuovo generoso gruppo di briganti moderni, pronti a impegnarsi per una meritata rivitalizzazione e a dare battaglia per la sua conservazione. 

Lascia un commento:

Top