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Uscita dal lockdown: come cambierà il lavoro per oltre sei milioni di italiani

Sono sei milioni e 145 mila i lavoratori cosiddetti di “prossimità” in Italia, secondo un report realizzato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro Roma. Camerieri, commessi, operatori sanitari, infermieri, medici, estetiste, parrucchieri, allenatori: tutti lavori che necessitano di un contatto diretto con i clienti. E come cambierà questo genere di lavoro durante la fase 2 del lockdown?  Cosa dovremo aspettarci una volta che finirà il periodo di quarantena? 

Tra le cose più certe (in attesa di una disposizione che arrivi dal governo) è che si dovrà necessariamente cambiare se si vorrà garantire la necessaria distanza di sicurezza che il covid-19 ci impone di avere ancora, almeno fino a quando il virus sarà in circolazione. E garantire contestualmente che l’economia ritorni a garantire un reddito. 

Occupati lavoratori di prossimità

Così il 26,5% dell’occupazione italiana si troverà ad affrontare più di un “problema” di organizzazione del lavoro. Non solo mascherine e guanti, obbligatori per tutti, ma anche dispositivi specifici di protezione e una riorganizzazione dell’attività per garantire quel distanziamento sociale destinato ad accompagnarci ancora per i prossimi mesi.

L’uscita dal lockdown imporrà a molte di queste professioni un cambiamento, non sempre facile, della modalità di lavoro – ha spiegato Rosario De Luca, il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro – Bisognerà fare i conti con una revisione dell’organizzazione dei luoghi di lavoro, assicurare il contingentamento degli accessi, fornire protezioni individuali e garantire una maggiore attenzione all’igiene e alla cura dei locali. Si tratterà di un cambio epocale, di cui peraltro non se ne conosce la durata. E ciò renderà particolarmente difficile l’adattamento ai nuovi modelli organizzativi delle aziende più piccole”.

I camerieri, tra i lavori di prossimità

Il primo grande gruppo (1 milione 723 mila lavoratori, il 28%) è rappresentato da commercianti e addetti alle vendite. Un universo molto vario che va dall’alimentare (che non ha mai smesso di lavorare), salvo rare eccezioni, all’abbigliamento, uno dei settori più penalizzati dalle chiusure. A seguire, gli esercenti e gli addetti alle attività di ristorazione (1 milione 154 mila, il 18,8%) che dovranno agire con un diverso modello organizzativo. A partire dagli spazi, che dovranno inevitabilmente essere riprogettati per garantire adeguata distanza (tra tavoli e persone), fino ai tempi di lavoro. 

La riapertura purtroppo sarà accompagnata da inevitabili esuberi di organico, non solo per effetto del blocco delle attività a partire da marzo, ma anche per la contrazione del giro d’affari che caratterizzerà i prossimi mesi. 

Ci sono poi le professioni sanitarie, impegnate in prima linea nell’emergenza sanitaria da Covid-19: 976 mila gli addetti tra tecnici (radiologi, fisioterapisti, etc) e figure qualificate nei servizi sanitari e assistenziali (infermieri, operatori sanitari, etc), a cui si aggiungono 302 mila medici.

Settore che dovrà largamente rivedere procedure e tecniche di lavoro per garantire quanto più possibile la sicurezza propria e dei pazienti: dai dispositivi di sicurezza alla formazione su tecniche e procedure di prevenzione da adottare.

Al quarto posto (con 776 mila occupati, il 12,6%) ci sono poi tutti quei lavori che riguardano la fornitura di servizi personali: parrucchieri e barbieri, estetisti, massaggiatori, logopedisti, etc. Professioni che dovranno altresì riorganizzare gli spazi, contingentare le entrate, fare maggiore attenzione per l’igiene e la cura dei locali e degli strumenti di lavoro.

Infine, uno dei settori di cui si è parlato forse meno è rappresentato dai tanti operatori che svolgono servizi di pulizia a domicilio (449 mila, il 7,3%), per lo più sospesi nel corso dell’emergenza, che saranno i primi a riprendere. In questo caso è facile pensare che, a parte la temporanea sospensione dell’attività, poco cambi all’interno delle mura domestiche, salvo il rispetto di quelle norme minime di sicurezza che ormai contraddistinguono ogni rapporto sociale, anche in famiglia. E che per molto tempo dovremmo abituarci ad avere. 

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