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Russia, la guerra è solo su Tik tok. Il sociologo Pira: schiera gli influencer

Ultimo aggiornamento domenica, 27 Marzo, 2022   20:41

MESSINA – “Le testate giornalistiche più autorevoli sono sicuramente le fonti di informazione maggiormente affidabili durante un conflitto“. Il Bignami per districarsi nel diluvio di notizie sulla guerra in Ucraina lo fornisce Francesco Pira, sociologo all’università di Messina nonché componente dell’Osservatorio internet e soggetti vulnerabili del Corecom Sicilia. Ma soprattutto giornalista professionista, formatore dell’Ordine ed ex inviato in Iraq durante la prima guerra del Golfo. E’ con l’esperienza della penna impugnata sfidando la pericolosa sorveglianza della polizia segreta di Saddam, che oggi dalla cattedra di Comunicazione interviene sull’ultimo colpo inflitto alla libertà di stampa in Europa. “Trovo davvero inquietante che la Russia abbia chiuso Facebook ma non Tik Tok, social cinese, e che abbia definito tutta l’informazione non favorevole al Cremlino come fake news“. Una scelta che solo in apparenza appare legata a una politica estera che strizza l’occhio alla Cina in chiave anti-americana. Infatti il social di Pechino “funziona per influenzare le nuove generazioni“, cioè quelle che un libro di storia magari non lo aprono nemmeno a scuola. E orientano la proprie opinioni su influencer come Ale Ivanova, che ritiene Vladimir Putin un uomo di pace e si è detta stupita del fatto che il presidente russo sia considerato un guerrafondaio“.

Chiuso Facebook ma non il social cinese più seguito dai ragazzi in occidente.

copertina, foto di Andrè Luis Alves scattata a Leopoli, (da Twitter).

Come associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Pira studia da anni gli effetti della disinformazione. Tanto che Confassociazioni lo ha chiamato a presiedere l’Osservatorio nazionale sulle fake news, espressione che sintetizza quel cocktail di notizie dove il vero si mescola abilmente col verosimile e col falso, per indurre scientificamente a conclusioni fuorvianti. Infatti, in controtendenza all’orientamento dei pacifici coetanei globalizzati, Ivanova ha giustificato le operazioni armate”. Anche se nessuno può dire fino a che punto la influencer sia davvero in buona fede, resta il fatto che la sua opinione rischia di diventare per i giovani il solo feedback “di successo”. Quello che ti fa aggiungere like, sommandosi alle voci a senso unico che nelle echo-chambers della Rete alimentano il “pregiudizio di conferma”, diretto ad avvalorare le verità di comodo sulla guerra. “Soprattutto dopo che l’ente statale russo che controlla le telecomunicazioni ha stoppato il social americano, ma non quello cinese”, gli spazi informativi si sono notevolmente ristretti. E non solo nei telefonini della Russia, diventati l’unico mezzo con cui le madri hanno avuto notizie dai soldatini spediti al fronte durante la leva.

Carcere per chi sfugge alla censura del Cremlino, Novaya Gazeta non si fa zittire.

“Gli stessi giornalisti russi che dissentono dalla linea del Presidente rischiano multe da 5 milioni di rubli (44 mila euro) e fino a 15 anni di reclusione: altro che libertà di informazione, siamo decisamente oltre la censura”, commenta Pira. La scure del Roskomnadzorm sulla stampa ha fatto scappare da Mosca le grandi testate occidentali, Bbc e Rai comprese. E ridotto al silenzio quelle non allineate al divieto di usare parole come guerra e conflitto. “Il coraggio dei giornalisti della Novaya Gazeta di continuare a lavorare, è il segno che esiste ancora un giornalismo di opposizione che non arretra nemmeno di un millimetro”, dice il professore. Ma quel giornale è diretto da Dimitrij Muratov, insignito del Premio Nobel per la Pace 2021 con la motivazione che “il giornalismo basato sui fatti e l’integrità professionale lo hanno reso un’importante fonte di informazioni, su aspetti censurabili della società russa raramente menzionati da altri media“. Su quella testata che ha raccontato dellafabbrica di trollcon cui il Cremlino inondava di fake news Europa e Stati Uniti, per destabilizzarne la tenuta sociale, ci scriveva Anna Politkovskaja. Misteriosamente assassinata proprio quando i suoi articoli inchiodavano l’entourage di Putin, aggiungendosi a un elenco che contempla sei reporter uccisi mentre scrivevano per quel giornale.

La sede di Novaya Gazeta dopo l’annuncio del Nobel 2021 per il suo direttore.
PER APPROFONDIRE: Nobel per la Pace a due cronisti, premiato il giornalismo senza censure

Il professore di Comunicazione: i reporter sul campo sono testimoni importanti.

“Anche quello che sta accadendo ai giornalisti che sono inviati di guerra in Ucraina è terribile”, afferma Pira. Nel 1992 è stato inviato in Iraq da Videomusic, per un reportage sugli effetti dell’embargo nel popolo iracheno. “Accompagnato passo passo da funzionari del ministero, con un interprete inaffidabile perché visibilmente alle loro dipendenze, e con la consapevolezza delle microspie piazzate in albergo”. Proprio durante quei dieci giorni di riprese si è scatenato il terzo raid americano. “Ho provato cosa significa documentare mentre ti bombardano“, racconta il professore siciliano. Perciò oggi ha cognizione di causa, quando afferma quanto “un reporter sia testimone importantissimo su quanto accade, perché coi suoi occhi può far vedere gli altri”. Infatti, “andando sul posto mi sono reso conto come la realtà fosse diversa rispetto il racconto che conveniva agli Stati“. Anche se “la disinformazione non è un fatto nuovo, visto che la prima fake news della storia possiamo farla risalire all’assedio di Troia, oggi raccontare la guerra è molto più complesso”. Perché la comunicazione è parte integrante della stessa strategia militare.

L’esperto della Rete: Putin alimenta paura perché “guerra nucleare” è la più cercata su Google.

“Il bombardamento di una centrale nucleare fa parte della strategia di sovvertire l’equilibrio del terrore, locuzione usata durante la guerra fredda per descrivere la pace tenue tra le due superpotenze“, spiega Pira. Come coordinatore didattico del Master in Esperto in comunicazione digitale, non gli è sfuggito il gioco di Putin. “Il capo del Cremlino sa che il mondo è terrorizzato dall’uso delle armi nucleari. Lo dimostra il fatto che in queste ore, sui motori di ricerca, parole come ‘guerra nucleare’ o ‘Terza guerra mondiale‘ sono tra le più cercate in tutto il mondo”. Per districarsi in “una Rete nata per cogliere le emozioni, dove è l’emotivismo che muove gli utenti”, servono fatti che sfuggono alla propaganda, che tuttavia “solo robuste redazioni attrezzate per il fact-cecking possono distinguere dalle bufale“. E di queste ce ne sono tante. “Come la ragazza che ha simulato un allarme aereo per ricevere like, o il filmato uscito dopo la visita di Papa Francesco all’ambasciata russa per fermare la guerra, che mostra presunti soldati ucraini crocifiggere un prigioniero russo”. A supporto della narrazione di comodo, “attualmente girano molti video vecchi di 4 o 5 anni presentati come attuali”.

L’ex inviato sul Golfo in guerra: gli stessi occhi terrorizzati dei bambini ucraini e iracheni.

Il professor Pira in Iraq come reporter.

Molti convinti no-covid poi diventati militanti no-vax, oggi ripetono in fotocopia le tesi di un Putin obbligato a difendersi dalle “provocazioni della Nato“, con una torsione logica nelle argomentazioni introvabile nei grandi media giornalistici. Se per certe tesi si abbeverano ai medesimi pozzi contaminati dallo stesso avvelenatore, oppure sono i social stessi che catalizzano naturalmente tutti i “contro” al mainstream per partito preso, lo potranno dire solo approfonditi studi di psicologia sociale. O le indagini degli esperti in cyber security e signal intelligence. Nell’immediato, il sistema informazione nel mondo libero subisce la disinformazione dei regimi totalitari, scontando il cieco svuotamento delle redazioni. “Meno giornalisti ci sono a disposizione, più si riducono le possibilità di un approfondito controllo delle fonti“, osserva Pira. Che di quella sua lontana esperienza di reporter in un teatro di guerra, “giornalisticamente la più bella della mia vita nonostante la paura dei bombardamenti”, si porta dietro un ricordo affiorato in questi giorni prepotentemente:“Sto rivedendo nei bambini ucraini gli stessi occhi terrorizzati dei loro coetanei iracheni”. Ma per farli vedere a tutti ci deve essere qualcuno a raccontarlo.

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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