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La libertà di stampa sui social: minacce, insulti e sentenze ribaltate

Ultimo aggiornamento martedì, 2 Marzo, 2021   20:43

EDITORIALE – Minacce, insulti, sentenze “ribaltate”. Sono tempi durissimi per la libertà di stampa. Ancora una volta è il “far web” dei social a martellare una categoria, rimasta come ultimo e fragile diaframma a difesa dell’espressione democratica. Una categoria che stavolta ha il nome e il cognome di Lorenzo Gugliara, corrispondente da Scordia per “La Sicilia“, vittima di pesanti minacce a mezzo Facebook per aver scritto un articolo di cronaca nera. Ancora una volta è un cronista locale a finire nel mirino di chi vuole tappare la bocca all’informazione. Confidando nel clima di generale delegittimazione che una politica interessata alimenta, trovando insospettabili sponde persino in qualche esponente del clero. Cioè proprio dove invece dovrebbe trovare argini e anticorpi.

“Nessun passo indietro davanti ai violenti, ai prepotenti e ai vili”, scrive l’Assostampa Siracusa, solidarizzando col collega che è pure consigliere nazionale della Fnsi.“Noi siamo attenti a far si che le voci libere del giornalismo siciliano non debbano temere nulla per il loro operato”, aggiunge l’Unione stampa cattolica, chiedendo “alle istituzioni e alle forze dell’ordine il massimo impegno per bloccare sul nascere l’ennesima intimidazione ai giornalisti siciliani”. L’intimidazione arriva pochi giorni dopo la protesta dei giornalisti siracusani, per la prima volta scesi in piazza a esprimere tutta la loro rabbia per l’auto incendiata al cronista Gaetano Scariolo.

Lorenzo Gugliara, consigliere nazionale Fnsi
(foto copertina, “Choose your weapon” di Banksy in mostra a Noto)

Non è un caso che l’Ucsi Sicilia parli di “ennesima intimidazione”. Se la delinquenza si spinge a minacciare tranquillamente attraverso i propri profili Fb con tanto di generalità e foto identificative, è perché in quello spazio virtuale conta di trovare impunità. E consenso “generalizzato”. Perché fake news e delegittimazione dei giornalisti hanno camminato di pari passo sul web, grazie a istituzioni così distratte da apparire quasi complici interessate di politiche dai metodi “eversivi”. Il risultato è che massacrare il lavoro e la reputazione di un giornalista sembra diventata una scorciatoia per facili scalate alla poltrona.

Un gioco semplice quello di ritagliare l’immagine di “nemico del cambiamento”, al cronista che mostra quotidianamente l’inganno di chi vuole cambiare tutto per non cambiare nulla. Basta farsi un giro per le strade, per toccare con mano come i post di Palazzo fanno a pugni con la realtà. Eppure il refrain è sempre quello: chi svela le bugie della sedicente #onestà a prescindere, “strumentalizza”. Oppure, “diffama a mezzo stampa”. E se un gip, insieme a un pm, riconoscono che quel giornalista ha solo esercitato un suo diritto costituzionale, allora il non luogo a procedere diventa una scandalosa archiviazione“. Perché la vera condanna, quella comminata dal tribunale dei social grazie a studiate operazioni di troll, non è per quello che si scrive: è proprio nel ruolo professionale che si svolge. O meglio, per il fatto che lo si esercita senza attenersi al copia-incolla delle edulcorate veline di Palazzo.

sit in dell’Assostampa in solidarietà del cronista Gaetano Scariolo

Il referente del meetup del M5S di Augusta ha postato su Fb un commento in cui si mette in dubbio l’operato di un giudice per le indagini preliminari che, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, ha emesso sentenza di assoluzione nei confronti del giornalista che era accusato di diffamazione a mezzo stampa”, è costretta nuovamente a scrivere l’Unione nazionale cronisti.Respingendo “qualunque tentativo di ‘ribaltare’ i pronunciamenti della magistratura in difesa della libertà di stampa, da qualunque parte provengano”.

La grillina che si è sostituita al tribunale è Chiara Tringali. Come politico ha tentato senza successo la nomination 5 Stelle alla Camera. E con ancora minore successo, da avvocato, ha provato a difendere le infondate tesi accusatorie dell’ex consigliere pentastellato Teo Paratore. Che dopo aver imperversato sui social con ogni genere di insulti contro la stampa locale, si era risentito per un articolo di fondo su LaNota7.it – firmato d Massimo Ciccarello – riguardante la sua pesante strumentalizzazione del feroce assassinio della giornalista maltese Dafne Caruana Galizia.

A chi rappresenta sul territorio un partito di governo che si è fatto largo a forza di velenosi sospetti contro chi gli si parava davanti, evidentemente non basta più l’avviso di garanzia per emettere sentenze definitive. E’ sufficiente che l’accusa venga partorita fra le sue fila, e si può pure fare a meno della magistratura per decretare giudizio inappellabile. L’Unci considera una pratica “inaccettabile definire ‘scandalosa archiviazione’ il decreto del Gip di Siracusa, che ha respinto ogni accusa nei confronti del cronista riconoscendogli il pieno esercizio di un diritto costituzionale”.

al convegno dell’Unci illustrate le sentenze a difesa della libertà di stampa

La #legalità fatta in casa, che va oltre il potere giudiziario e lo stesso dettato della Costituzione, sembra l’ennesima boutade di personaggi minori nel mare magnum della rete. Eppure è grazie a questo virtuale e quotidiano “gioco al ribasso” che, alla fine, si arriva a sequestrare un lenzuolo perché un ministro ritiene sovversivo il “restiamo umani” che porta scritto sopra. O a vietare ai disoccupati di protestare davanti i cancelli delle fabbriche, perché disturbano la stagione turistica. E se ciò si viene a sapere, è perché ci sono ancora cronisti che lo raccontano.

Magari qualcuno sarà anche “giornalaio”, come l’arciprete Palmiro Prisutto ha definito recentemente su Facebook qualche non meglio precisato giornalista, presumibilmente autore di articoli sgraditi sui festeggiamenti patronali. Però è proprio insultando nel mucchio, senza nemmeno darsi la pena di spiegare cosa e perché, che la poco evangelica esternazione va molto oltre l’umanamente legittimo risentimento. Perché offre l’autorevolezza del pulpito e la sacralità dell’abito talare a un clima di delegittimazione, nel quale ogni balordo si sente poi in diritto di sguazzare.

“Ditelo ancora che il nostro è un lavoro di merda, perché avete ragione”,aveva scritto il giornalista Seby Spicuglia, quando è stata incendiata l’automobile del collega e amico Scariolo”.Una professione che è persino diventata protagonista del videogioco“Sniper 3D Assassin”,tra i più scaricati dagli smartphone con 12 milioni di valutazioni. Il giornalista è la vittima da scovare e uccidere. “Rendilo famoso in un altro modo”, incita il programmatore ai killer virtuali. Si, di questi tempi è proprio “lavoro di merda”.Ma per fortuna ancora qualcuno continua a farlo, ringraziando Dio.

il videogioco “uccidi il giornalista”
Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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