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Incendiano l’auto al cronista Scariolo, giornalisti in rivolta

Ultimo aggiornamento venerdì, 19 Giugno, 2020   17:53

SIRACUSA – Si devono forse cercare fra i “colletti bianchi” i mandanti dell’attentato che, nella notte fra il 9 e il 10 maggio, ha incendiato l’auto del giornalista siracusano Gaetano Scariolo. Liquido infiammabile è stato sparso sulla sua Ford Fiesta parcheggiata sotto casa, distruggendo il vano motore. La squadra mobile sta indagando sull’episodio cui è rimasto vittima il cronista che segue nera e giudiziaria per il Giornale di Sicilia, e che cura le corrispondenze da Siracusa per l’Agenzia Italia. Immediata la reazione degli organi di categoria, cui hanno fatto seguito quelle della politica, dei sindacati e delle organizzazioni imprenditoriali. L’Assostampa ha indetto un sit in di solidarietà per il 13 maggio, in largo XXV Luglio. “Incendiamo le coscienze, noi siamo fatti così” si terrà alle 9,45, alla presenza dei vertici regionali.

L’auto del cronista (in copertina, Gaetano Scariolo)

LA NOTA – Dopo le minacce di morte a Paolo Borrometi, un altro giornalista del Siracusano finisce nel mirino della criminalità. Ma stavolta qualcosa sembra non quadrare nella tesi di un attentato di matrice delinquenziale. Le cronache di Scariolo si sono sempre mantenute nell’alveo del rigore professionale supportato da fonti istituzionali. Un metodo che anche la malavita più dozzinale rispetta, come anni fa ha appurato uno studio del giornalista Prospero Dente, attuale segretario provinciale dell’Assostampa. Magistrati, investigatori, psicologi, e persino gli stessi protagonisti in negativo della “nera” erano concordi su un punto: finire sui giornali, negli ambienti della malavita, fa “curriculum”. Meglio ancora se è una testata importante.

Non sono i delinquenti comuni che restano infastiditi dagli scoop che nascono dal seguire meticolosamente le inchieste e i processi. Non sono i boss a irritarsi delle “aperture” figlie degli approfondimenti sui fascicoli giudiziari e sulle vicende collegate. Sono altri, cui fa comodo lasciare certi “dettagli” ai margini dell’attenzione. Non si brucia l’auto a un cronista come Scariolo per un articolo sgradito, o per provare a impedirgli di scriverlo. Per quello bastano le poche centinaia di euro necessarie a confezionare alla meno peggio una querela pretestuosa, o un risarcimento danni temerario. Salvo il caso di uno psicopatico, a comprare benzina per rovinare una Fiesta è quasi sempre qualcuno in giacca e cravatta. E magari con un titolo di studio importante incorniciato alle spalle di una scrivania monumentate.

Scariolo ha scritto di tutto e su tutti, col suo stile ironico e a tratti graffiante, ma mai così tranciante da risultare offensivo. Chi l’ha colpito forse lo ha scelto come simbolo. Ha scelto lui per avvertire tutti gli altri. “Ditelo ancora che il nostro è un lavoro di merda, perché avete ragione”. Nel diluvio di solidarietà, è questo sfogo del collega Seby Spicuglia che meglio coglie il senso di un gesto intimidatorio diretto a ogni giornalista che non si ferma al copia-incolla dei comunicati. Lo ha affidato ai social, perché è in quella suburra virtuale che incuba la delegittimazione di un lavoro difficile e malpagato. Eppure essenziale, perché altrimenti non si spiegherebbe la reazione così forte e immediata arrivata da ogni settore della società.

La provincia di Siracusa è al centro di molte delicate inchieste su fatti di mafia e corruzione”, sottolinea Claudio Fava. Il presidente della Commissione antimafia regionale puntualizza che “è indispensabile la massima attenzione nella tutela di chi quotidianamente racconta senza omissioni questi fatti”. Cgil, Cisl e Uil hanno invece diramato una nota congiunta, dove dicono che “non possiamo che sostenere moralmente e quotidianamente il lavoro di cronisti che rappresentano tante problematiche e questioni legate al nostro territorio”. Confindustria avverte di “non abbassare la guardia, certi che la libertà di stampa è uno dei principi fondanti delle legalità e della democrazia”.

Pippo Zappulla e Ninni Gibellino definiscono “inquietante che a subirlo sia un giornalista, cui va garantito il diritto di informare correttamente senza alcuna pressione o condizionamento improprio”. Per il coordinatore regionale e cittadino di Articolouno, “quando si attenta alla libertà di informazione si lede uno dei capisaldi fondamentali della democrazia e del vivere civile”. “Quanto più le notizie pubblicate sono scrupolose e verificate, tanto più fanno fastidio alla criminalità e al malaffare”, commenta Francesco Italia, sindaco di Siracusa. Impossibile dare conto di tutti gli interventi sulla vicenda, accomunati dalla preoccupazione che si sia colpito quel giornalista scrupoloso per dare un “esempio” a tutti gli altri.

L’Unci non abbandona i colleghi minacciati e li sostiene nella battaglia per la legalità”, scrive il Gruppo siciliano e la sezione provinciale dell’Unione cronisti. I giornalisti telematici dell’Agirt considerano i colleghi che “raccontano con amore e coraggio le dinamiche del divenire quotidiano, un capitale sociale che abbiamo tutti il dovere di difendere”. L’Unione stampa cattolica “chiede alle istituzioni il massimo impegno per fare luce sull’ennesima intimidazione a giornalisti siciliani”. L’Assostampa provinciale nota che “gli attestati di stima e la solidarietà espressa dimostrano che i giornalisti sono ancora visti come baluardo di legalità e democrazia”. Il segretario Dente scrive che “nessuna intimidazione potrà mai fermare il lavoro giornalistico”.

Però le istituzioni devono fare la loro parte. C’è un Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica che già una volta ha affrontato il caso delle intimidazioni alla stampa. La notizia di quell’iniziativa della prefettura ha avuto il suo giusto rilievo. In tempi normali sarebbe bastato. In questi tempi difficili, no. Quella benzina non è stata perciò gettata solo sull’utilitaria di un cronista di nera e giudiziaria. Ma è stata lanciata come una sfida allo Stato stesso. O almeno agli organi periferici che lo rappresentano, talvolta in modo un po’ troppo sornione.

Molti di noi sono stati minacciati, perseguitati, offesi, diffamati, messi al margine. Non sempre ve lo raccontiamo degli agguati e dei piccoli o grandi segnali che ci dicono che siamo in pericolo, che siamo nel mirino. Impantanati in querele temerarie partorite solo per far sentire il collega accerchiato, per tappargli la bocca. Ma siamo anche coloro che alzano la testa, che pongono le domande scomode, che non credono solo ai comunicati stampa, che fanno centinaia di telefonate fino a quando non si ottiene una risposta. A dare fuoco a una macchina coperti dal buio non ci vogliono le palle. A fare il nostro lavoro, spesso, si”. Lo scrive Seby parlando dell’intimidazione a Gaetano, ma è come se lo scrivessimo tutti.

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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