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Il geologo Di Benedetto: Costiera amalfitana, l’eterno conflitto tra natura e territorio

Ultimo aggiornamento sabato, 8 Febbraio, 2020   01:17

di VITTORIO DI BENEDETTO*

Tra  il  19 e 20 dicembre 2019  si è verificata in Costiera amalfitana una non  inedita serie di rotture di preesisenti equilibri instabili, potenzialmente diffusi su tutto il versante sud dei Monti Lattari.

Si sono ripetuti dissesti storici e periodici di più o meno forti precipitazioni pluviali, manifestatisi con forme di scorrimento della parte corticale sedimentaria poggiata sulle rocce calcaree e dolomitiche concentrate sulle aree che costeggiano l’intera viabilità. 

Una delle tante frane registrate in Costiera amalfitana

Data la sfavorevole  morfologia il fenomeno ha coinvolto, oltre il detrito  superficiale di varia natura, il trasporto di alberi invadendo le arterie di comunicazione con ulteriore isolamento della costiera verso Salerno e tra i centri abitati. In concomitanza, alcune  macere fiancheggianti a mezza costa le strade, in parte hanno ceduto alla spinta dei retrostanti terreni   e gli effetti di questi rapidi  movimenti  sono legati  alla forza di gravità che imprime  a  questa massa detritico-sabbiosa satura di acqua piovana mista a massi rocciosi velocità ed energia cinetica in grado di portare a rottura   parapetti del ciglio stradale come a Cetara, Scala,  Ravello, altrove.  

La costruzione delle strade in costiera, belle e attraenti, ha fatto superare secoli di isolamento  dei centri urbani dopo la fine del ducato autonomo, dovuto alla morfologia estremamente accidentata. Su di esse, fin dalla costruzione,  pende una situazione di pericolo che poteva e doveva essere  in buona parte evitata se non fossero stati modificati i progetti iniziali.

La strada è l’opera di ingegneria più legata alle condizioni geologiche, quelle affioranti  nel territorio non sono del tutto idonee alla viabilità  attuale che esige un risanamento per il pericolo diffuso di crollo di massi (vere e proprie frane) e  la mancata sistemazione idraulico-forestale estesa ai pendii sovrastanti le arterie di collegamento. Si riprenderà questo aspetto nella sintesi di queste osservazioni.

Caduta massi in Costiera amalfitana

La natura dei due tipi prevalenti di dissesto: rottura macere e scivolamenti della coltre superficiale

  1. Le macere e relativi terrazzamenti, disposti parallelamente alle isoipse  con i benemeriti prodotti agricoli, sottintendono un’eccellente opera che ha ridotto, non del tutto, l’azione erosiva delle acque piovane e della gravità agenti sui pendii  ripidi e instabili.  Queste semplici costruzioni, se eseguite da persone con esperienza trasmessa senza testi scritti, sono di facile messa in opera, assicurano la tenuta dei terreni coltivi a ridosso dell’alzata (la costa ).  Nei secoli  questa particolare sistemazione è stata favorita anche dal basso costo data la facilità della materia prima abbondante localmente, le pietre calcaree. Il concio lapideo  sbozzato è il  tessuto base tenuto insieme dal reciproco attrito con e senza malta, dei due  sistemi il secondo è più  elastico adattandosi meglio alle irregolarità, l’intera struttura  è  di  facile manutenzione. La funzionalità e la vita di esse dipende da un insieme di fattori di natura idraulica : 1)  se il terreno da difendere è molto ripido, al fine di farle  reagire meglio alle spinte statiche si ricorre alla sezione trasversale con pendenza verso monte adottando angoli di scarpa variabili, coordinando un’idonea fondazione, 2) se la macera deve reggere in equilibrio la massa dei terreni coltivi l’origine delle spinte statiche risale alla quantità di acqua piovana assorbita nel terrazzamento. L’acqua, penetrando tra le particelle del terreno, riduce l’attrito e la coesione molecolare delle masse  limo-argillose innestando  spinte  statiche  sui conci per  ristagno dell’acqua  se non esiste il drenaggio, meccanismo noto da sempre. Se i conci  non sono ben sbozzati e incastrati per sviluppare resistenze di attrito (crescente con la superficie di contatto), possono sconnettersi con creazione di vuoti e successiva rottura della macera. Da ciò la multipla accortezza: 1) per evitare l’insorgere delle spinte dei terreni saturi sul paramento interno si procede alla messa in opera del setto drenante, il vespaio, elemento di protezione costituito da pietrame a granulometria ghiaiosa la cui funzione è quella di prosciugare il terreno, emungere l’acqua assorbita aumentando la capacità portante  della macera e della fondazione. L’opera si completa con feritoie praticate nel setto della macera, più diffuse verso la parte basale,   ottenendo notevole contributo all’allontanamento dell’acqua 2) la macera deve essere fatta con pietre di larghezza non inferiore allo spessore del muro, soprattutto alla base, conferendo una   resistenza  in blocco e praticando vie di fuga delle acque piovane per evitare  erosioni e sgrottamenti  che  comprometterebbero  l’intera operaLa rottura delle macere  sulle  rotabili per Ravello, Pontone, Minori, Scala,  è da attribuire all’assenza del setto drenante, posizione ortostatica e difetto di fondazione stabile. I  terreni spingenti, in realtà limitate zolle,  hanno agito su una superficie neoformata concava per perdita di coesione dovuta alla lenta e prolungata pioggia.Le strade sono state invase da masse di detriti  e grossi massi già presenti
  2. Movimento verso il basso della  coltre di terreni  in equilibrio limite (erosione accelerata )

Danni  maggiori, per puro caso solo ai parapetti delle strade e autoveicoli,  sono stati causati dallo scorrimento  della coltre sedimentaria  che ricopre  i pendii calcareo dolomitici con trasporto di alberi.  Gli scivolamenti, simili  alle più pericolose colate di fango, sono  stati causati dalla perdita di coesione dei terreni di copertura  dovuta  alle pressioni  idrauliche di una parte dell’acqua  pluviale che non ha avuto modo di penetrare in profondità  per contrasto di permeabilità tra la  coltre molto più porosa delle sottostanti rocce calcaree. Anche questo meccanismo è noto. I pendii e molte aree sovrastanti le carreggiate sono privi di  impianto di difesa idraulico-forestale con trincee, cunette, paletti di consolidazione della coltre di copertura, per cui le erosioni hanno scalzato gli alberi fino all’affioramento delle radici molto ridotte e non in grado di assicurare l’ancoraggio. Il pericolo di erosioni può proseguire in quanto una parte dell’acqua di pioggia,  durata quasi 24 ore, è penetrata in profondità e riaffiorerà ovunque seguendo i circuiti carsici. Si rilevano molti alberi in equilibrio instabile pronti ad essere abbattuti da raffiche di vento. 

Allarme-fiume ad  Atrani

 Il torrente  Dragone  nell’ attraversare  il centro abitato vanta, si fa per dire, una situazione imperdonabile:  subito a valle di  una restrizione dell’alveo,  si incontra il tratto tombato costruito fine anni 1970/inizio anni 1980  (al momento  non si ricorda la data precisa). La copertura  ha profilato  una sezione idraulicamente insufficiente, sede delle esondazioni del 1987 e 2010,  dimezzando il periodo di ritorno di questo pericolo.

Atrani, il giorno dopo l’alluvione del 10 settembre 2010

La  pioggia caduta sul bacino, durata molte ore ma con medio-bassa intensità,  ha ingrossato il torrente con un tirante di 30-40 cm  rilevato sulla predetta  sezione alta 2.60 m per 3.10 m. Alcuni cittadini chiedevano  informazioni sul  reale  pericolo, si sono rassicurati  osservando il torrente   che, pur brontolando,  incurante di dissesti (?) avvenuti a monte,   proseguiva il percorso senza la minaccia dell’onda di piena. Il torrente è un fedele termometro della quantità di acqua che cade sull’intero bacino imbrifero, le condizioni meteo e la portata del torrente non facevano prevedere pericoli venturi, ma stampa e TV hanno riportato notizie differenti dalla reale situazione (popolazione in preda al panico) con segnalazione  addirittura di una frana che minacciava, e minaccerebbe, il torrente e l’abitato. L’evento del 2010 è stato molto più forte, ha interessato il  comprensorio costiero salernitano, in un giorno di pioggia furono registrati 130 mm, nella zona ristretta a  Scala e Atrani in poco più di un’ora l’intensità di pioggia  è stata  80.8 mm, forte pioggia ( cfr. Convegno Flat Model a Fisciano ). 

Nei mesi di novembre e dicembre sul Mediterraneo orientale si formano  anticicloni estesi dalla Grecia alla Turchia e oltre con  richiamo di  una  vasta corrente caldo-umida, lo scirocco, che dalle aree sud-est  del nord Africa  si  dirige verso nord  apportando precipitazioni sulla fascia tirrenica   e adriatica.  Il fenomeno atmosferico 2019  è stato più massiccio perché le correnti sciroccali sono state rinforzate dalle onde di ROSSBY che con ciclo decennale (variabile ) apportano periodi più caldi e più freddi, il  clima per definizione  in eterno cambiamento. I dati pluviometrici in elaborazione indicano che su una vasta superficie sono caduti 200 mm di pioggia durata quasi 24 ore,  ma gli effetti al suolo mutano, in quanto terrazzamenti e  corsi d’acqua rispondono diversamente in funzione delle caratteristiche pluviali (durata e distribuzione dell’intensità), nel caso Atrani il corso d’acqua, con notevole pendenza, ha smaltito senza affanno l’acqua ricevuta sull’area  idrografica.

Il tratto della Statale Amalfitana 163 chiusa per un mese e riaperta il 13 gennaio 2020

                                                                  SINTESI

Lo scenario  che si è presentato dopo la pioggia ha messo in evidenza la fragilità dell’ambiente costiero che può essere isolato dalla rottura di parte di una macera.  Tenendo presente  il paesaggio,  rappresentato dai terrazzamenti  diffusi e le caratteristiche della pioggia,  il numero delle macere   che ha subito una rottura  per scivolamento di una zolla  del   terrapieno contenuto è  inferiore alla decina. Si ricorda che nel 1924  l’abitato di Vettica fu distrutto con tragiche conseguenze per il crollo di una serie di terrazzamenti, motivo per cui  in Italia fu introdotto il concetto operativo di rischio  idrogeologico.  A Cetara  il torrente con letto ricoperto è esondato con effetti simili  alle vicende del 2010 ad Atrani, non noti i mm di pioggia caduti sul bacino torrentizio. 

I pericoli in costiera, tralasciando mareggiate e  scosse sismiche di intensità non elevata, sono le esondazioni dei corsi d’acqua e i dissesti. Questi ultimi  hanno due nature, antropica e naturale. 

Il tracciato delle strade è stato condizionato dalla morfologia che ha avuto un ruolo determinante nell’elevare il grado di pericoli e rischi riportato dettagliatamente nella cartografia del Piano Assetto Idrogeologico. Essendo strade di montagna a mezza costa, per evitare le pendenze elevate  nel collegare i centri urbani, esse sono state allungate con sviluppi tortuosi della sede stradale. La combinata minaccia della macere e dei pendii instabili  eleva il rischio in una morfologia già sfavorevole. 

L’altro pericolo naturale e  diffuso: la catena dei M. Lattari è una serie di massicci  fratturati per motivi legati all’orogenesi, le rocce sono attraversate   da superfici di scivolamento formatesi per effetto delle tensioni meccaniche agenti, come detto, in fase di orogenesi. Queste superfici a franapoggio sono evidenti sulla falesia che costeggia la SS 163 a Castiglione di Ravello   appena prima di Atrani. Le situazioni di potenziale instabilità  da  incrocio di piani di frattura  che isolano massi in equilibrio limite  sono presenti fino alle quote più alte.  Il masso franato che ha  bloccato in località Capo d’Orso  la viabilità  per Salerno si è  staccato a quota 550  m circa s.l.m., indipendentemente dagli incendi. Il tracciato stradale, come è stato  fatto  nella prima metà dell’800 è da considerarsi una sfida alle leggi della natura.La soluzione dei dissesti, che teoricamente può apparire semplice, presenta nella pratica  difficoltà sia per la vastità del fenomeno che per accidentalità morfologiche Un  esempio di intervento di risanamento con ottimi risultati è presente sulla strada Ravello-Chiunzi con la tecnica dei gabbioni che hanno resistito egregiamente all’azione erosiva dell’acqua pluviale e l’aerazione assicurata dai gabbioni tende a prosciugare i terreni. Precedentemente un buon tratto della carreggiata veniva invaso da uno strato di detriti e pomici. In molti tratti della costiera le gallerie avrebbero evitato  problemi. Nonostante questi pericoli, l’insediamento umano si è concentrato sulle zone basse e senza sfuggire i versanti montani. 

                                                                         * Vittorio  Di  Benedetto, geologo

Nota del direttore: Riceviamo questo contributo del geologo Vittorio Di Benedetto e lo pubblichiamo integralmente. Questa testata crede fermamente nel pluralismo delle opinioni ed è sempre aperta al dialogo e al confronto. 

Tuttavia ci occorre precisare che questo giornale non si trova concorde con l’affermazione “In molti tratti della costiera le gallerie avrebbero evitato problemi…”. In linea teorica non ci sarebbe nulla da obiettare, se non si prendesse in considerazione il fatto che si sta parlando di una Strada Statale come la 163 amalfitana che costituisce un unicum. La soluzione al problema delle frane non può essere affrontata alla stregua di qualsiasi altra arteria, ma richiede soluzioni coraggiose e innovative che tengano principalmente in conto la conservazione dell’aspetto ambientale e paesaggistico. Pensare di risolvere il problema, sia pure con qualche sporadica galleria, non solo va contro l’approccio conservativo a questo bene Unesco, ma rischia seriamente di essere un “cavallo di Troia” attraverso il quale far passare il concetto che il sottosuolo possa essere tranquillamente bucherellato in base alle esigenze politico-elettorale degli amministratori di turno. E’costiera sin dalla sua nascita è stata al fianco delle associazioni che si oppongono a questa soluzione e continua ad esserlo tuttora. 


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