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1693-2023: 330 anni dal terremoto che colpì la Sicilia orientale 

Ultimo aggiornamento lunedì, 15 Maggio, 2023   20:08

Il terremoto del 9 e 11 gennaio 1693 che colpì la Sicilia orientale, è considerato l’evento più forte della storia sismica italiana. Ci furono 54.000 vittime e da allora in quest’isola dominata in quell’epoca dagli spagnoli (1412-1713 detta l’età dei Vicerè) tutto cambiò. Quest’anno (2023) ricorrono ben 330 anni da quell’avvenimento che ha segnato profondamente la Val di Noto, con le sue città che cambiarono aspetto, trasformandosi nelle “città barocche” che oggi conosciamo e che sono fonte di attrazione turistica. Molti gli eventi pubblici (organizzati da associazioni locali come Acquanuvena di Avola, l’Archeoclub di Noto, la Società Augustana di Storia Patria) che ricordano questo capitolo di storia che ha determinato evidenti cambiamenti in questa zona.

La mappa della Sicilia con l’intensità del terremoto del 1693


Come ha sottolineato l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: “Questo terremoto rappresenta una vera e propria “pietra miliare” nella storia sismica del nostro paese. Nell’attuale versione del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI11) risulta essere il più forte evento sismico (Mw=7.4) avvenuto negli ultimi 1000 anni sull’intero territorio nazionale. Inoltre, per vastità dell’area colpita, numero di vittime e gravità degli effetti provocati, è tra i terremoti maggiormente distruttivi della storia sismica italiana”. Ci furono danni gravissimi ad Augusta, Melilli, Floridia, Avola (l’attuale Avola Vecchia) e Noto (quella che è oggi Noto Antica) e in tante altre città della provincia di Catania, Siracusa e Ragusa.
A Catania, la storia ci racconta di come venne già danneggiata dall’eruzione dell’Etna del 1669. Molti palazzi e abitazioni, chiese e monumenti, subirono lesioni diffuse. A Siracusa molti edifici furono lesionati, alcuni rimasero pericolanti, ma nel complesso i danni furono meno gravi rispetto a Catania. La scossa fu avvertita fortemente, ma senza danni, a Messina e a Malta, e sensibilmente fino a Palermo
“.

Il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI11), classifica questo terremoto tra le più alte dell’intera area mediterranea.

Le cronache del tempo e i documenti ufficiali del governo spagnolo parlano di migliaia di vittime e della distruzione di quasi 60 città.

Documento storico in cui si racconta del terremoto del 1693

Con una magnitudo pari a 7,3 della scala Richter, costituisce, assieme agli eventi di Catania del 1169 e di Messina del 1908, il sisma più violento mai registrato in tempi storici in Italia.
L’ultimo forte terremoto che ha interessato la Sicilia sud-orientale è quello del 13 dicembre 1990, chiamato “terremoto di Santa Lucia” o “di Carlentini(nome del santo venerato in quel giorno e della località maggiormente colpita).

Il terremoto del 1693– soprattutto la grande scossa dell’11 gennaio – ebbe un incredibile impatto anche sull’ambiente naturale, producendo effetti d’intensità e dimensioni notevoli su un’area molto vasta. In molte località della Sicilia orientale, sparse tra Messina e l’area iblea, si aprirono fenditure nel terreno dalle quali, in molti casi, furono segnalate fuoriuscite di gas o di acque calde e altri materiali fluidi. Nel territorio ibleo, dove si ebbero i massimi effetti, ci furono frane e smottamenti, che in alcuni casi sbarrarono e ostruirono corsi d’acqua portando alla formazione di nuovi invasi. Tutto il periodo sismico fu, inoltre, accompagnato da un’intensa attività dell’Etna.

La popolazione si ridusse in modo drastico in molte località. La statistica ufficiale, redatta nel maggio 1693, riporta circa 54.000 morti, di cui quasi 12.000 nella sola Catania (il 63% dei circa 19.000 abitanti di allora); 5.045 (51%) a Ragusa; 1.840 (30%) ad Augusta; 3.000 (25%) a Noto; 3.500 (23%) a Siracusa, e 3.400 (19%) a Modica. Per molte di queste comunità significò ricominciare a vivere in altri luoghi. Iniziò poi il periodo della ricostruzione e della rinascita abbellendo le città con lo stile barocco introdotto durante l’amministrazione spagnola.

La ricostruzione e la nascita delle “città barocche”

All’indomani del terremoto il Vicerè Giovan Francesco Paceco, duca di Uzeda, si ritrova alle prese con i centri abitati distrutti e da ricostruire “cosi come vogliono i Siciliani”. Risolve il problema affidandone l’incarico a Giuseppe Lanza, duca di Camastra, che coordinerà tutte le operazioni sul territorio, di alcune interessandosi direttamente, come a Catania e a Noto.

Un anno dopo il terremoto il piano di ricostruzione per Catania è pronto. Catania diventerà così una “città con strade larghe e diritte, piazze, palazzi e chiese costruiti con la pietra nera espulsa dall’Etna ed il calcare chiaro”, con un senso della scenografia che renderà unico il Barocco Siciliano.
La ricostruzione dei centri urbani avviene, in genere, secondo uno schema razionale a scacchiera (Avola e Grammichele) o seguendo un impianto moderno di arterie ortogonali, a griglia come a Noto e a Catania.

La bellezza del barocco siciliano a Noto

L’esempio di Noto è sotto gli occhi di tutti: la ricostruzione avvenne rapidamente grazie alla nobiltà locale e alle autorità ecclesiastiche del tempo, regalando poi capolavori di architettura e arte, realizzati interamente nello stile barocco. Noto realizza quella che viene definita “la perfetta città barocca”.

Nei piani architettonici si tengono conto di vari criteri, tra cui la volontà di non ricreare la struttura medievale (con vicoli stretti) e la necessità di avere piazze e strade principali ampie. La possibilità di erigere difese fortificate efficienti in un’epoca in cui era ancora presente la minaccia delle scorribande dei corsari saraceni. Nel 1693 le strade, con il loro impianto medievale, erano molto strette avevano reso più disastrosi gli effetti del sisma ed avevano limitato l’efficacia dei soccorsi. Architettonicamente i nuovi impianti urbanistici pianificati creano la possibilità di ampie prospettive e scenografie urbane come quelle realizzate da Giovan Battista Vaccarini a Catania, Rosario Gagliardi a Noto e da Andrea Palma nella piazza del Duomo di Siracusa. La Cattedrale o la Matrice nelle “nuove città” vengono collocate al centro per riflettere la globale centralità della Chiesa; intorno alla coppia costituita da Cattedrale e Palazzo Vescovile vengono costruiti i Conventi. Accanto alle fastose dimore dell’aristocrazia e degli ordini religiosi vengono create strade e piazze, quasi “salotti urbani”, sedi degli incontri sociali della borghesia e delle feste, delle processioni e delle fiere delle classi popolari.

Mentre la Storia fa il suo corso (la Sicilia passa dagli Spagnoli ai Savoia poi agli Austriaci ed infine ai Borboni) è tutto un “cantiere” di progettazioni, demolizioni e costruzioni. In tutto ciò eccelle l’intervento progettuale di architetti formatisi a Roma, assorbendo le lezioni berniniane e soprattutto borrominiane, sulle quali in Sicilia innestano gli slanci delle tradizioni locali, della loro fantasia e libera creatività. Ricordiamo Giovan Battista Vaccarini, Stefano Ittar, Rosario Gagliardi, Giacomo Amato, Angelo Italia e così via, formatisi a Roma nei cantieri e alla scuola dei grandi maestri.

Nel 2002 le città del Vallo di Noto sono state inserite dall’Unesco nella lista del Patrimonio dell’Umanità: rappresentano il culmine del Barocco europeo con la loro omogeneità stilistica, ricostruite tutte insieme. “I sontuosi ed eleganti palazzi, le chiese dai preziosi interni e dalle stupefacenti facciate intarsiate, le trame urbane intessute secondo un unico stile, rendono questa zona sud orientale della Sicilia un eccezionale esempio di influenza architettonica sul territorio e rappresentano una delle massime espressioni al mondo del Tardo Barocco europeo. Lo stile che viene comunemente chiamato “barocco del Val di Noto” si distingue da una città all’altra soprattutto per l’utilizzo dei diversi materiali usati per la costruzione: ad esempio a Catania il barocco è grigio-scuro per l’uso della pietra lavica, mentre a Noto assume il luminoso color miele della pietra locale”.
L’inglese Anthony Blunt, storico dell’Arte, sintetizza così la sua idea di “barocco siciliano”: può essere “affascinante o repellente, ma comunque il singolo spettatore possa reagire, questo stile è una manifestazione di esuberanza siciliana e va classificata tra le più importanti ed originali creazioni di Arte sull’isola”. Il Barocco Siciliano si potrebbe definire:
Imponente, scenografico, fastoso, con le grandi facciate di chiese e palazzi, con le lunghe scalinate, le fontane fantasiose, le sculture ornamentali, il ferro battuto. Palazzi con gli imponente portali racchiusi tra colonne, lunghe file di balconi con mensole in pietra lavorata. Luminosità particolare.

Il nuovo asse viario di Augusta

Augusta, Piazza Duomo

In una locandina in ricordo dei 330 anni dal terremoto, la Società Augustana di Storia Patria ricorda la trasformazione avvenuta nella città di Federico II : Il nuovo asse viario di Augusta, nato da una moderna concezione di tessuto urbano, ha permesso la ricostruzione della Chiesa Madre e del Palazzo Comunale prospicienti nell’agora sorta con i proventi della vendita della “neve”. Nacque altresì il nuovo monastero delle benedettine e l’attigua chiesa di S. Caterina d’Alessandria, furono riedificati i palazzi delle nobili famiglie Omodei, Zuppello, Tumscitz, Pignato, riedificate le chiese confraternali e conventuali, le modeste case di pescatori, contadini e salinari, le case nobilitate di naviganti e mastri d’ascia.
Nell’architettura militare rifiorirono il Castello Svevo e il Castello di Brucoli, le fortezze a mare e la Ricevitoria dell’Ordine Melitense. Questa nuova Augusta, sorta dalle macerie del terremoto, è la testimonianza tangibile di un popolo laborioso che ha voluto ricominciare con impegno, forza e coraggio, un segno di ripartenza che rende onore alla nostra comunità.
Fare memoria di questa dolorosa pagina della nostra storia è un atto di riconoscenza nei confronti di chi ci ha preceduto nella consapevolezza che tutti noi siamo chiamati quotidianamente ad operare nell’opera di ricostruzione del bene comune per una rinascita possibile”.

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Maria Rosaria Sannino
Giornalista professionista, cronista, reporter di viaggi, appassionata di fotografia e reportage.
http://www.twitter.com/mrsannino

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