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Catacombe di Siracusa, uno Strepitus silentii contro l’odierna cacofonia

Ultimo aggiornamento martedì, 2 Marzo, 2021   22:40

SIRACUSA – Nel “fragore del silenzio”, l’arcaica melodia del friscaletto avvolge le volte millenarie rischiarate dalle lucerne tremolanti. E quelle gallerie scavate da una Fede ancora incorrotta dalla mondanità, diventano Ponte. Forse con l’Oltremondo, col Tempo addirittura. Sicuramente con un Mondo “diverso”. E’ la magia di Strepitus silentii, arrivata al quindicesimo anno. Tutti i venerdì, sabato e domenica di agosto, alle 21 e alle 22,30, ripropone il tour teatralizzato alle catacombe di San Giovanni che ha già incantato circa 10 mila visitatori. Un successo, raccontano gli organizzatori di Kairos, alimentato dal passaparola. Turisti che si sobbarcano a cuor leggero persino l’incertezza della prenotazione, obbligatoria e a numero chiuso. “Me l’ha consigliato un amico: se vai a Siracusa non te lo devi assolutamente perdere”, è il commento che spesso compare nelle schede di valutazione.

La città moderna è tutto intorno, col traffico intasato e i mega-condomini della speculazione. Proprio accanto c’è il museo archeologico, a ricordare che questo modesto capoluogo di provincia era una grande metropoli capace di contendere a Atene, Cartagine e Roma il dominio nel Mediterraneo centrale. Ma sotto i ruderi della originaria chiesa normanna, il caos della storia e delle auto tace. Dietro la facciata sopravvissuta a quel terremoto del 1693 che “figliò” il barocco siciliano, si immagina l’altare dove potrebbe aver celebrato San Paolo. Con più probabilità, secondo antichissima tradizione, vi predicava il proto-vescovo Marziano, mandato dall’apostolo Pietro dalla lontana Antiochia per fondare una delle primissime comunità cristiane.

Un chiostro senza enfasi attaccato alla chiesa che si considerava la prima cattedrale fuori le mura, fa da anticamera all’ingresso dell’Ade cristiano. Proprio lì, quando le tenebre sono appena calate sul santuario delle Lacrime che incombe accanto con le sue arroganti tonnellate di cemento armato, aspettano i “ragazzi” della cooperativa di “Turismo, cultura, eventi”. Come moderni Virgilio accompagnano nel sottosuolo il gruppo di visitatori. Non più di 25 per volta, perché le catacombe paleocristiane sono innanzitutto luogo di meditazione. Dentro quelle gallerie ricavate allargando il tracciato di un precedente acquedotto romano, i turisti-pellegrini trovano tre “vestali” e un “archeologo”.

I 4 attori sono annunciati dalla melodia di Luciano Maria Moricca e dallo zufolo in canna costruito dallo stesso Romualdo Trionfante, che ha composto l’armonia con la stessa maestria profusa nelle musiche dei Cantunovu. Gli interpreti appaiono nei punti più significativi sotto il profilo storico-artistico. Più che spiegare, “raccontano” questo giacimento culturale straordinario, secondo per grandezza e importanza solo agli sconfinati complessi di Roma. Marinella Scognamiglio, Doriana La Fauci e Caterina Pugliese diventano “vergini” votate a questo nuovo Credo annunciato da un giudeo condannato a morte per crocifissione, vietata per i cittadini romani tanto era considerata infamante.

Marinella Scognamiglio (ufficio stampa Arcidiocesi).
Copertina, l’ingresso alle catacombe di San Giovanni.

Le prime cristiane sono interpretate in semplici e anonime vesti bianche. Spiegano la fede fanciulla di chi vedeva nella croce l’insegnamento di un Cristo povero, quando ancora nemmeno si poteva immaginare che potesse essere brandita contro poveri cristi arrivati dal mare. Interpretano i riti per i defunti, che una religione appena uscita dalla persecuzione imperiale vuole chiamati a “nuova vita”. Lorenzo Faletti – di volta in volta studioso seicentesco, archeologo ottocentesco o apologeta della Chiesa primitiva – ricuce quel rapporto fra Scienza e Fede che per i contemporanei è ormai imprescindibile. Ma ciò che la voce narrante restituisce agli ascoltatori è il metodo scientifico figlio dell’Illuminismo. Non c’è spazio invece per la tecnologia di consumo. Cellulari, videocamere e macchine fotografiche devono stare ben conservate.

In questo viaggio temporale fra migliaia di tombe scavate fra il III e il IV secolo come una città sotterranea, con tanto di cardi a intersecare il decumano massimo, non c’è posto per i selfie. Il “ricordo” bisogna inciderselo dentro, interiormente. Così ha stabilito la Pontificia commissione di archeologia sacra, che amministra l’area. Non ci sono eccezioni nemmeno per i cronisti. Perché c’è un momento in cui anche l’opportunità di apostolato offerto dalla “pubblicità” giornalistica, diventa secondaria rispetto alla meditazione. L’orologio contabilizza che il “percorso” nelle gallerie, scrigno di dipinti devozionali sopravvissuti alle ingiurie del tempo ed epigrafi ancora leggibili, è durato un’ora in tutto. Le espressioni di chi torna in superficie, invece, fanno intuire che il “viaggio” spirituale non è ancora terminato. Forse durerà a lungo, forse addirittura tutta la vita: chi può mai leggere l’Imperscrutabile?

Un aiuto a “tornare” nel presente, comunque, lo fornisce l’afa che attanaglia i polmoni disabituati dal fresco microclima delle catacombe. Un’altra mano a riconciliarsi col mondo terreno la danno gli sponsor, l’enologo Gaetano Blundo e il pasticciere Franco Neri. Moscato di Siracusa e paste di mandorla sono offerti, ma farebbero ugualmente presto a sparire dal tavolo. Perché nel biondo intenso di quel profumato vino liquoroso dalle antiche origini, e nella fragranza di quel dolciume mediterraneo che incrocia in sé culture e religioni diverse, c’è proprio l’essenza stessa di un continente chiamato Sicilia.

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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