Report Spiagge 2019: in Campania solo il 33% è libero GLOBAL LOCAL PRIMO PIANO di Marta Manzoni Scritto martedì, 30 Luglio, 2019 02:24 Ultimo aggiornamento mercoledì, 6 Novembre, 2019 10:21 Con 3967 concessioni demaniali marittime rilasciate lungo le coste della Campania, e con il 7% delle coste dove grazie all’inquinamento è impossibile farsi un bagno, la Campania è tra le regioni più privatizzate d’Italia. Basta vedere un’area turistica come la Costiera amalfitana, e già ad occhio rendersi conto di quanto sia vero questo dato che il report “Spiagge 2019” di Legambiente, mette nero su bianco. Una foto postata sui social network ha fatto scalpore perché dei bagnanti erano stati immortalati in Costiera amalfitana, con tanto di ombrellone posizionato alla foce del fiume Reginna Maior. Gli abitanti sanno che lì è vietato, ma chi vede che non c’è più uno spazio sulle spiagge (perché tutte privatizzate), cosa cerca se non un angolino tutto per sé (ignorando luoghi e usanze)? Chi non se lo può permettere, cosa deve fare se non “arrangiarsi” in qualche modo? Maiori, foto di bagnanti in un’area vietata (foce del fiume Reginna Maior) apparsa sui social E così i leoni da tastiera si sono scagliati contro gli ignari bagnanti, additando le colpe ai mancati controlli dei vigili urbani, e qualcuno deridendoli. Senza magari chiedersi il perché erano lì, in quel piccolo angolino (tra i pochi rimasti liberi a Maiori). Ora arriva l’impietoso report di Legambiente che ci dice come la Campania sia una regione dove le spiagge libere sono spesso un miraggio e in alcuni casi quelle presenti sono di serie B e poste vicino a foci dei fiumi, fossi o fognature dove la balneazione è vietata. A ciò va aggiunto l’impatto che ormai i cambiamenti climatici, l’erosione e il cemento selvaggio stanno avendo sulle coste campane ridisegnandole. Anche se si registra qualche buon esempio di attenzione all’ambiente (ma ancora troppo pochi sono i casi). E così leggiamo nel dossier che in Campania sono 3.967 le concessioni demaniali marittime, di cui 916 sono per stabilimenti balneari, 137 per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici, mentre le restanti sono distribuite su vari utilizzi. Per capire quanto delle coste campane è occupato da stabilimenti balneari occorre incrociare fonti diverse e verificare con le foto aree l’occupazione da parte degli ombrelloni, considerando anche le diverse dimensioni degli stabilimenti nelle Regioni italiane.Complessivamente si può stimare che le concessioni superano il 67% di occupazione delle spiagge campane. Ciò significa che solo il 33% del litorale è “free”. In Campania un caso limite è quello di Mondragone dove su 8,4 km di costa sono presenti ben 51 stabilimenti pari al 54 % di costa occupata. Alcuni lidi privati a Maiori (Costiera amalfitana) in una foto scattata da Andrea Fini. Nella foto di copertina, il litorale di Maiori con l’arenile occupato da stabilimenti balneari “Quando si parla di spiagge e concessioni non si dovrebbe parlare solo di Bolkestein come si fa in Italia – ha commentato Mariateresa Imparato, presidente Legambiente Campania – Si dovrebbe invece cominciare a ragionare su come valorizzare queste straordinarie potenzialità e come affrontare i problemi trovando soluzioni innovative, come fanno già molti Paesi europei dove si è scelto di premiare le imprese locali che scommettono sulla qualità e al contempo garantire che una parte maggioritaria delle spiagge sia garantita per la libera fruizione. La sfida che vogliamo lanciare ai balneari è di ragionare insieme sul futuro delle spiagge italiane partendo da una lotta ai veri nemici del litorale: l’erosione costiera, il cemento e i cambiamenti climatici. Sono i balneari i primi ad essere interessati ad avere prospettive credibili di lavoro e di sicurezza, ma anche ad isolare quanti compiono abusi e illeciti. La proposta è: ragioniamo assieme su regole per garantire un’offerta di qualità e al contempo l’accessibilità dei cittadini, su criteri che premino coloro che scommettono sulla valorizzazione del patrimonio ambientale e su strutture a impatto zero”. Se consideriamo anche i tratti di costa non balneabili per ragioni di inquinamento in Campania un ulteriore 7,5% della costa sabbiosa risulta non fruibile. In Italia non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione, tale scelta viene lasciata alle Regioni che il più delle volte optano per percentuali molto basse. La Campania ha imposto un limite minimo (ed irrisorio) del 20% della linea di costa dedicato a spiagge libere. Sul fronte economico permane la forte sperequazione nella definizione dei canoni concessori, con situazioni paradossali che fanno registrare il pagamento di canoni demaniali bassissimi per concessioni spesso molto remunerative (spesso meno di 2 euro a mq all’anno). Nel complesso nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui. Report-spiagge-2019-legambiente-Download I numeri parlano chiaro (basta vedere la tabella del report): l’Abruzzo con 114 km di lunghezza delle spiagge ha un totale concessioni demanio costiero pari a 1.456; la Calabria con 614 km di lunghezza spiagge ha ben 4.387 concessioni, così come la Liguria che ha meno chilometri utili (114) ma oltre 8.900 di concessioni. La Sicilia con 452 chilometri, 3798 sono le concessioni demanio costiero, ha il 22,2% di costa occupata da stabilimenti balneari. Contro il 67,7 per cento della Campania. Un fenomeno, quello delle privatizzazioni di interi pezzi di arenile, che però sta interessando un po’ alla volta (chi di più chi di meno) tutta l’Italia. E’ tempo di porre un freno.