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Gusto senza tempo: la colatura di alici di Cetara

Ultimo aggiornamento lunedì, 20 Marzo, 2017   11:58

Il tempo non è solo galantuomo ma anche “ambasciatore” di profumi e sapori che nonostante gli anni mantengono inalterato il loro fascino e bontà. Fragranze che galleggiano aggraziate nell’aria, e oltre a rammentarci il piatto in sé ci fanno sentire “vivi” e parte inoppugnabile del territorio…
Dove sta scritto che le ricette sono destinate a passar di moda, o a essere sostituite da ingredienti nuovi che saltano fuori ipso facto – facendo così “lo sgambetto” alle preparazioni proverbiali? Forse è (anche) così, poiché la gastronomia è una scienza in evoluzione perpetua! Ciò nonostante, esistono dei piatti, che in virtù delle loro qualità non solo stuzzicano il palato ma risvegliano i ricordi più remoti – elargendo una caterva di impagabili sensazioni. E non soltanto alle papille gustative! Allo scopo basti pensare alla Colatura di alici di Cetara – a tutti gli effetti – forziere di sapori, orgoglio della città di Cetara e vanto dell’“art culinaire” nazionale.
La Colatura di alici di Cetara è una delicatezza portentosa composta da alici, acqua e sale – metodo con cui il pesce (le alici della Costiera amalfitana) raggiunge completa maturazione. Salsa che ha origini vetuste e detiene una sorta di legame con il garum imbastito dagli antichi romani. La ricetta attuale, per un lasso di tempo, è rimasta “taciuta” nelle zigzaganti anse del tempo; in seguito, propriamente nel Medioevo, venne recuperata dai monaci – abituati a conservare le alici fresche in botti di legno grazie all’uso sapiente del sale e c’è chi dice anche dai naviganti che si imbarcavano per lunghe traversate. Il pesce così “alloggiato” rilasciava “un liquido” che filtrava attraverso il legno. Osservando questo “episodio” del tutto naturale, le popolazioni locali perfezionarono una tecnica destinata a divenire un capitale gastronomico, e cioè la celeberrima Colatura di alici di Cetara!
Nei fatti si trattava non solo di recuperare il buon “nettare” elargito dal prodotto pelagico, ma di imparare a concentrarlo e infine a renderlo impareggiabile. Il procedimento per la realizzazione della colatura è un diligente capolavoro – sorta di maestria migliorata con il lento “ruzzolar” dei secoli. Le alici, dopo essere state pescate, vengono pulite, eviscerate e mantenute sotto sale per un’intera giornata. In seguito, si depongono in botti ricoperte da strati di sale marino. Sulle stesse vengono adagiati “dei pesi” che hanno lo scopo di comprimere tutto il pescato. Man mano che passano le settimane, il pesce rilascia il suo fluido zeppo di gusto. E tal “nutrimento” è lo straordinario “calco” per poi realizzare la rinomata colatura.
Quanto ottenuto è poi conservato in capaci contenitori vitrei, in tal modo l’esposizione alla luce solare ne aumenta la maturazione, e ovviamente anche la concentrazione. Superati alcuni mesi, in autunno inoltrato, il succo posto a stagionatura viene raccolto e fatto passare di nuovo attraverso le botti contenenti le alici, per conferirgli ancor più saporosità. Successivamente è “purificato” con amorevole cura e all’inizio dell’ultimo mese dell’anno – la colatura di alici è finalmente pronta per dilettare i suoi tanti estimatori. Una maniera squisita per assaporarla è quella di fruirla come succulento condimento per la pasta (meglio se lunga come spaghetti o vermicelli) – forgiando così una chicca da leccarsi i baffi, specie se maritata a un calice di vino bianco locale. Una portata che essendo “magra” è indicata in molte occasioni.
Ancora una volta dal passato perviene una prelibatezza, che contribuisce a rendere la gastronomia campana una delle più stimate. Proprio così, perché è assodato che proprio la Campania è terra esuberante, che ci ha consegnato un’infinità di ingredienti irresistibili. Leccornie atemporali che si distinguono per soggettività – oltre che per lampante finezza. Risulta così chiaro – senza se e senza ma – il perché proprio nell’antichità questa rigogliosa terra fosse celebrata a tal punto da esser conosciuta quale Campania Felix.

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