Costiera amalfitana verso la tropicalizzazione: crescono più felci termofile dell’era Terziaria ARCHIVIO di Gianni Menichetti Scritto lunedì, 18 Aprile, 2011 08:17 Ultimo aggiornamento giovedì, 25 Maggio, 2017 08:30 La recente alterazione del clima globale dovuta alle elevate emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, conseguenza delle attività industriali e traffico terrestre ed aereo, è un processo irreversibile, almeno in breve tempo. Chi sostiene che i mutamenti climatici in natura hanno sempre avuto luogo, non si rende conto che ciò è avvenuto in periodi estremamente lunghi, nell’ordine di secoli, di millenni o di centinaia di migliaia di anni. Il mutamento a cui stiamo assistendo pare una questione di circa mezzo secolo. Personalmente l’ho notato in modo evidente specialmente da poco più di due decenni. La natura, ovviamente, si può adattare ai propri mutamenti, e attraverso lunghi periodi, le sue creature animali e vegetali, tranne poche eccezioni, riescono a sopravvivere. Ma il repentino sconvolgimento provocato dal genere umano potrebbe essere insormontabile. Ormai, siamo anche immuni a visioni o previsioni apocalittiche. Vorrei però fare una curiosa e direi, interessante osservazione. In alcuni valloni della Costiera amalfitana crescono antiche felci termofile, sopravvissute all‘Era Terziaria durante la quale il clima della costiera era sub tropicale. Non credo che l’Era glaciale abbia avuto dominio nel sud della nostra penisola, comunque in luoghi particolari come i nostri umidi valloni dove le escursioni termiche non sono estreme, queste antiche felci non si sono estinte. Ci stiamo nuovamente tropicalizzando? Direi proprio di sì, poiché le due felci di cui sto per parlare del genere Pteris, dopo di cui le due Cretica e Vittata, che fino a un ventennio fa erano sporadiche, stanno aumentando in modo esponenziale, specialmente, direi, negli ultimi cinque anni. La più alta concentrazione di queste rare felci, è proprio nelle mie immediate vicinanze, nel cuore del canyon dove vivo, il Vallone Porto di Positano. Un’altra pianta acquatica la Carex pendula, si sta espandendo a macchia d’olio negli ultimi due, tre anni. La minuscola piantina insettivora, pinguicola hirtiflora, seppure estremamente rara è qui presente nella parte superiore della forra. Anch’essa è un relitto dell’era terziaria. Le aree umide sono divenute così rare a causa dell’eccessive captazioni idriche, del disboscamento e del selvaggio abusivismo edilizio, “riqualificazioni” ed altri orribili eufemismi, che oggi sono riconosciute come zona di primaria importanza. Il Vallone Porto è una di queste. Immaginate che nel Via (Valutazione Impatto Ambientale) per gli assurdi progetti di dighe, cementificazione e imbrigliamenti, che spero mai e poi mai siano attuati, era stato definito “macchia mediterranea”! Il Capelvenere cresce qui come altrove cresce la paretaria, c’è una notevole presenza di Cyathodium, una epatica, che copre rocce e terreno dall’umidità più elevata. Uno studio su muschi e licheni in loco sta per essere completato dall’Università Federico II di Napoli. Infine, proprio davanti alla mia dimora, cresce una particolare pianta acquatica, l’Holoschoenus australis (noto come Giunchetto meridionale) Gianni Menichetti, Il Porto Il sito sulla biodiversità provincia di Salerno