Movimento 5 Stelle primo partito in Italia. Grillo spazza via la Seconda Repubblica ARCHIVIO di E'costiera Scritto martedì, 26 Febbraio, 2013 11:55 Ultimo aggiornamento lunedì, 10 Luglio, 2017 15:56 Il primo partito in Italia – perchè il voto alla Camera è quello che ha l’elettorato più ampio, e quindi più rappresentativo – non é neanche un partito, ma é un movimento senza soldi, senza “amici“, senza storia e senza sedi, che 5 anni fa non esisteva nemmeno nella scheda elettorale. E che ha per ispiratore e leader un comico che mette buonumore anche quando dice cose da farsi strappare i capelli. Se non si parte dal 25,55 per cento del Movimento 5 Stelle ottenuto nelle preferenze per Montecitorio, qualsiasi analisi sulle elezioni politiche 2013 diventa un inutile esercizio retorico. I GRILLINI, NON SOLO PROTESTA. Liquidare la valanga di consensi a M5S come voto di protesta frutto della crisi economica, significherebbe continuare a non voler capire cosa si agita nel profondo della societá italiana. Certo ci potrà anche essere come componente principale la protesta, dietro quei milioni di voti alle liste del comico genovese, ma soprattutto c’è l’esigenza prepotente di un cambiamento, accompagnata dal grave deficit di rappresentanza del sistema politico nel suo complesso. Se le élite culturali ed economiche non arrivano a comprendere questo, che ora ha l’oggettivitá del dato numerico e non solo quello della speculazione intellettuale, allora c’é il rischio che la deriva sociale imbocchi strade che rendono davvero ingovernabile il Paese (altro che borse ballerine, con una tempistica che solleva più di un sospetto su una serena valutazione economica della risorsa Italia). DIMENTICARE LO SPREAD. Quando Berlusconi ha detto “non ce ne può importare di meno“, certamente ha esagerato ma ha pure interpretato perfettamente il pensiero di una consistente percentuale di italiani. Che non avranno studiato economia alla Bocconi sotto il professor Monti, ma due conti nelle loro tasche se li sanno fare. E alla fine delle manovre anti-spread vi hanno trovato solo tasse a livelli insostenibili per bilanci familiari spolpati dall’inflazione reale, disoccupazione galoppante favorita dallo smantellamento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, potere d’acquisto ai minimi termini, e prestazioni statali al lumicino. Così il “giaguaro da smacchiare”, irriso con il solito snobismo radical-chic da una sinistra ancora ancorata al concetto di popolo-massa, in neppure due mesi è riuscito “da solo” ad un recupero prodigioso, che ha portato il Pdl al 21,56 per cento alla Camera. Cioè a meno di 4 punti percentuali da quel Pd che avrebbe dovuto vincere a mani basse. LA SICUMERA DEI DEMOCRATICI. Bersani e compagni erano sicuri di andare al governo quasi per investitura “divina“, al punto da trascurare qualsiasi esposizione convincente del proprio programma. Dedicando invece la campagna elettorale alla enunciazione delle alleanze di governo “per dopo“. Il risultato è stato un 25,41 per Montecitorio, che in via Sant’Andrea delle Fratte dovrebbe aprire un serio dibattito. Innanzitutto sulla capacitá rimasta a questo “partito di massa” di saper leggere la società nel suo insieme, anziché limitarsi a sondare gli umori degli entourage del proprio establishment. Forse sono state proprio le primarie a certificare, agli occhi dell’elettorato potenziale, questa incapacità. La vittoria schiacciante del “vecchio” segretario politico contro il “giovane” Renzi, potrebbe essere stata vista da molti come la rappresentazione plastica di un apparato che si autoperpetua, e sterilizza ogni forma di novità che emerge fuori dagli schemi. QUANDO I MONTI PARTORISCONO UN TOPOLINO. Si chiude con un modesto 8,3 per cento alla Camera, l’avventura elettorale del professor Monti. Precettato in fretta e furia dal Ppe, dove Angela Merkel spadroneggia dopo l’eclissi di Sarkozy, era sostenuto dalla grande finanza anglosassone e dal cartello confindustriale allestito da Montezemolo. La missione: sbarrare la strada al ritorno del Cavaliere (nei salotti buoni considerato alla stregua di un barzellettiere), e condizionare pesantemente un eventuale premierato Bersani (guardato con sospetto dalla cancelliera tedesca). Non é riuscito a fermare la rincorsa di Berlusconi, e non ha i numeri per imporre l’agenda al segretario democratico (a meno che il Pd non decida di mettere in liquidazione quel che resta di questo partito nato con l’ambizione bipolarista). In compenso il rettore della Bocconi ha liquidato definitivamente Fini, con il suo tentativo di un centrodestra fuori dall’ombrello berlusconiano, e ha fatto retrocedere Casini da ago della bilancia a peones parlamentare (con un misero 1,78 per cento raccolto dall’Udc). PARLAMENTO SENZA ALI. L’elettorato ha bocciato tutti i tentativi di creare, sia a destra che a sinistra, forze esterne ai grandi blocchi. Ma anche le liste che si erano messe sotto l’ombrello delle grandi coalizioni sono riuscite a stento a ritagliarsi un mero ruolo di testimonianza. Sel di Vendola al 3,20 per cento, con un dato inaspettato proprio in Puglia, e la Lega al 4 per cento scarso, danno l’impressione di raccogliere più che altro il consenso “interessato” di chi ha beneficiato della loro attivitá di governo. Per Fratelli d’Italia e Grande Sud, pur occupando qualche poltrona parlamentare, il progetto politico “autonomo” dal Pdl si può ritenere giunto al capolinea. I PM CONDANNATI DAI NUMERI. Il pubblico ministero antimafia Antonio Ingroia, e l’ex pubblico ministero antitangenti Antonio Di Pietro, sostenuti dall’ex pubblico ministero anticasta Luigi De Magistris, con il 3,2 per cento raccolto da Rivoluzione civile non sono riusciti ad arrivare nemmeno alla soglia di sbarramento. Ma più che una sconfitta elettorale, è una sconfitta prettamente “sociale”. Specialmente quella subita da Di Pietro, che per quasi un ventennio ha incarnato la “via giudiziaria” ai problemi della politica. Quando il blocco di potere Dc-Psi paralizzò ogni forma di rinnovamento delle istituzioni, trasformando lo Stato nella cinghia di trasmissione di partiti gestiti da un notabilato autoreferenziale, il deficit di rappresentanza del corpo sociale venne colmato da una parte coraggiosa della magistratura. I giudici di Tangentopoli e quelli dei pool antimafia, sostenuti da un enorme consenso, diedero la spallata alla Prima Repubblica. UNA RIFONDAZIONE DELLA POLITICA. Quando anche la Seconda repubblica “bipolare” si é avvitata in se stessa, perdendo sempre più il contatto con l’elettorato, una sorta di “partito dei giudici” ha riprovato a farsi interprete delle istanze di rinnovamento. Stavolta, però, anche i numeri delle urne hanno bocciato questo tentativo. Probabilmente perché pure il potere giudiziario, con le sue carenze strutturali e le sue contraddizioni, è percepito come parte del problema e non come soluzione (a prescindere dalla buona volontà e dallo spirito di sacrificio dei singoli magistrati). Il plebiscitario consenso agli “sprovveduti” neofiti di 5 Stelle dimostra, fra l’altro, che l’elettore vuole essere rappresentato da persone “come lui”. Arrabbiati ed entusiasti, magari anche un pò ingenui e con un pizzico di utopismo, ma che può incontrare al bar o a spingere (e non a farsi spingere) il carrello del supermercato. Perché l’elettore comune, dopo tanti “salvatori della patria”, ora fa un ragionamento semplice: se il deputato ha i suoi stessi problemi, troverá le soluzioni di cui ha necessità sicuramente meglio di chi frequenta solo salotti buoni.