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La “rivoluzione verde” non abita più qui

I Verdi non sono più in Parlamento dopo la cura-Percoraro Scanio. Unico Paese: in Olanda, in Francia o in Germania rappresentano una forza più che ragguardevole. Da noi zero. E si sente.

di VITTORIO EMILIANI*

La “rivoluzione verde” non abita più qui? Più deboli le proteste delle associazioni ambientaliste che, per le loro gestioni, ricevono finanziamenti dal governo e dalla Regioni. I Verdi? Scomparsi dall’Italia. Si arretra gravemente rispetto alla legge del ’91, governo Andreotti-Martelli.

La legge definita dai naturalisti e dagli ambientalisti più agguerriti “Sfasciaparchi” è in discussione alla Camera. Il presidente della commissione Ambiente, Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente, aveva giurato che le peggiori nefandezze sarebbero state eliminate, ma, tranne poche eccezioni, il testo è rimasto integro, cioè nefasto. “Una pietra tombale”, secondo Fulco Pratesi. A Montecitorio tuttavia si è acceso su di essa un dibattito vivace animato, anche in una conferenza stampa, soprattutto dall’on. Serena Pellegrino di Sinistra Italiana. Anche altri si stanno impegnando per evitare le falle più disastrose che la legge Caleo, voluta da tutto il Pd prima della scissione, apre nella valida legge-quadro approvata nel ’91 e firmata, non a caso, da Antonio Cederna (Sinistra Indipendente) e da Gianluigi Ceruti (Verdi). Con un governo ecologista? Era un pentacolore Andreotti-Martelli. Ministro, è vero, Giorgio Ruffolo. E questo dato fornisce la misura esatta della regressione culturale e politica dal ’91 ad oggi.

I Verdi non sono più in Parlamento dopo la cura-Percoraro Scanio. Unico Paese: in Olanda, in Francia o in Germania rappresentano una forza più che ragguardevole. Da noi zero. E si sente. Contro la legge Lupi per l’urbanistica, il senatore verde Sauro Turroni fece ostruzionismo da solo, con successo. Chiedetegli una consulenza. Ma anche le associazioni per la tutela della natura e del paesaggio hanno perso forza, smalto, incisività. Alcune addirittura approvano la sostanza della legge Caleo criticandola appena. Purtroppo succede così ogni volta che una associazione non vive di solo tesseramento e volontariato ma di progetti e di gestioni economiche finanziate dallo Stato o dalle Regioni. Si stabilisce inevitabilmente un grado di dipendenza che abbassa in modo oggettivo il livello della critica e della denuncia. Né può essere diversamente. C’è chi lo chiama ironicamente “il parastato ambientalista”. Nella Sinistra, molto frastagliata, si oscilla fra il sostegno “ideologico” radicale ai NO TAV e latitanze frequenti sul piano del contrasto a legge come lo Sblocca-Italia, o altre che abbassano controlli, verifiche, garanzie.

I parchi nazionali in Italia

Il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, fautore della legge Caleo, è stato del resto di una linearità assoluta. “I Parchi italiani non possono essere più visti come i luoghi della conservazione: devono mettersi in gioco nella grande sfida di sviluppo sostenibile del nostro Paese”. In parole povere devono rendere produrre affari, sviluppo, profitti, devono procurarsi royalties (come la legge prevede) da cavatori, petrolieri, metanieri, costruttori di sciovie, ecc. Intanto la legge mette nei Consigli di Amministrazione gli agricoltori come categoria, neanche quelli già da tempo integralmente biologici. Una prima lobby, poi si vedrà.

Ancora Galletti: “Un quarto di secolo fa lo sviluppo sostenibile non era declinato come lo è oggi in ogni settore dell’economia”. Ve ne siete accorti voi? Noi no. Ci saranno verifiche strategiche ovviamente sui progetti per i Parchi Nazionali. Peccato che la stessa Associazione dei dirigenti dei Parchi faccia notare che “i rappresentanti del Ministero nei Consigli direttivi, che per legge dovrebbero essere esperti di ambiente e biodiversità sono invece quasi sempre politici locali dell’Udc”. E i direttori dei Parchi Nazionali? Sempre Galletti precisa che in politichese che “viene introdotto un nuovo metodo di selezione, la governance sarà aperta alle espressioni del territorio”. Ciò vuol dire che qualunque dirigente pubblico locale da almeno cinque anni (alla Asl, in Comune, alla Agenzia delle entrate) potrà essere direttori Parco Nazionale.

Del resto lo stesso ministro è andato nel luglio scorso a Bormio a cucinare di persona lo “spezzatino” dell’ormai ottuagenario (pensate) Parco Nazionale dello Stelvio diviso in tre porzioni, una alla Lombardia, una alla Provincia Autonoma di Bolzano e un’altra a quella di Trento, con un ruolo “importante per i Comuni” in modo di essere più vicini agli abitanti. E magari ai cacciatori. Nessuno ne dubita. Intanto però, mentre da noi si fanno a pezzi i Parchi nazionali, l’Europa progetta un Parco europeo delle Alpi Centrali. Insomma facciamo proprio ridere. O piangere. Dopo essere stati all’avanguardia in materia di aree protette negli anni ’90 e oltre, creando ben 18 nuovi Parchi Nazionali, presieduti e diretti da esperti e scienziati veri dal ’91 al 2007. Specie coi governi Andreotti, Ciampi, Amato e Dini. Tutti “rivoluzionari” rispetto a Renzi e a Gentiloni. La “rivoluzione verde” non abita più qui.

*Vittorio Emiliani è un giornalista, saggista e scrittore, presidente del Comitato per la Bellezza

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