Ötzi, viaggiatore delle Alpi da 5.300 anni riposa al Museo archeologico di Bolzano CULTURA VIAGGI di Massimo Ciccarello Scritto martedì, 8 Gennaio, 2019 15:33 Ultimo aggiornamento mercoledì, 29 Maggio, 2019 19:50Un capo e un cacciatore, sicuramente. Forse pure un mercante e, probabilmente, un esploratore. Ai suoi tempi era tutto questo: oggi, invece, è soltanto “Ötzi”. Lo hanno chiamato così, col nome tedesco delle Alpi Venoste sui cui stava viaggiando, e arriva dal passato. Un tempo così remoto, che l’umanità aveva appena scoperto come una pietra riscaldata potesse diventare resistente metallo. Adesso riposa al museo archeologico di Bolzano, dopo un viaggio durato 5 mila anni, e suscita meraviglia in tutto il mondo. Perché “l’uomo del Similaun” è vissuto nell’età del rame, è stato ferito a morte da una freccia in selce mentre attraversava quel passo alpino, ed è stato sepolto da una nevicata. Fino al 1991, quando una coppia di escursionisti provenienti da Norimberga si è allontanata dal sentiero di trekking e lo hanno visto affiorare da quei ghiacci vhe lo hanno conservato intatto, insieme alla sua stupefacente attrezzatura. Il libro di Angelika Flechinger sull’uomo venuto dal ghiaccio La mummia parzialmente disidrata è conservata in una struttura museale appositamente costruita per lui, dentro una sofisticata camera sterile tenuta a bassa temperatura. Come in vita – dentro teche ad alta tecnologia – lo circondano quegli stessi oggetti che si portava dietro nelle sue peregrinazioni. Un ritrovamento archeologico senza precedenti, finora unico nel suo genere, che ha aperto una finestra sorprendente sui nostri progenitori. Uomini intelligenti come noi, e per certi versi ancora di più considerato come sfruttavano quello che la natura poteva offrire per farli sopravvivere. Ötzi si portava dietro due funghi essiccati con proprietà antinfiammatorie, antiemorragiche e antibiotiche. Aveva bacche dal pessimo sapore ma dall’alto contenuto energetico, due ceste dove trasportare le braci tenute vive avvolgendo i tizzoni in foglie d’acero. Se doveva comunque accendere un fuoco, aveva un altro tipo di funghi altamente infiammabili. E se doveva riparare qualcosa, aveva con sé tutta l’attrezzatura necessaria per cucire o sagomare una pietra, coltellino in selce compreso. Il lungo arco da un metro e 80 se lo stava ancora costruendo, mentre 3 frecce erano già pronte all’uso e il materiale per prepararne altre si trovava dentro la faretra rinforzata. Si copriva di pelli cucite, si difendeva dalla pioggia con una mantella di fibre vegetali. Portava calzature che erano un capolavoro di tecnologia, fatte di pelliccia e un’imbottitura di erbe essiccate. Tutto perfettamente conservato, come gli abiti del nonno che saltano improvvisamente fuori da un vecchio armadio. Bolzano, l’edificio del Museo Archeologico Il museo di Bolzano racconta al visitatore tutto quello che la moderna tecnologia ha permesso di sapere sull’uomo venuto dai ghiacci. Era alto per la sua epoca, un metro e 60. Ed era molto anziano per chi viveva nell’eta del rame, circa 45 anni. Soffriva di artrite, aveva parassiti intestinali, un menisco malridotto, e diversi tatuaggi probabile residuo di cure con agopuntura. Nei capelli portava tracce di sostanza che testimoniano lunghe peregrinazioni in ambienti diversi e distanti, sorprendenti per quell’epoca. L’ascia in rame, oggetto più unico che raro considerato che la materia prima arrivava dalla “lontanissima” Toscana, racconta che aveva uno status elevatissimo nel suo clan. Chi era Ötzi? Perché è stato ucciso? A queste domande nemmeno l’attrezzatissimo Museo Archeologico di Bolzano è in grado di rispondere. A molto altro invece si, grazie al centro ricerche che è stato fondato appositamente. Di anno in anno, col progresso delle indagini scientifiche, l’uomo venuto dai ghiacci racconta molto. Dal Dna ha rivelato che non ci sono più discendenti per parte di madre, mentre i pronipoti per parte di padre si trovano adesso in Corsica e, in misura minore, in Sardegna. Quel viandante ucciso all’inizio di un’estate di 5.300 anni fa avrà ancora molto da raccontare, per farci capire da dove veniamo. E, chissà, magari ci aiuterà pure a comprendere dove andiamo.