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Libertà di stampa in pericolo, mobilitazione internazionale

Ultimo aggiornamento mercoledì, 9 Gennaio, 2019   17:22

L’uomo dell’anno questa volta non è un leader politico, né un premio Nobel: è un giornalista. Anzi, “il” giornalista. O meglio, quei giornalisti “guardiani” della libertà d’informazione, fondamento di ogni democrazia. La rivista Time ne ha individuati 9 per tutti, distribuiti in vari continenti, perché i tentativi di imbavagliare non conoscono frontiere. Così nella lista del magazine statunitense, esemplificativa ma non esauriente, c’è l’opinionista saudita Jamal Khashoggi, vittima di un delitto di Stato proprio dentro il suo consolato di Istanbul. Ci sono i 5 reporter dell’americana “Capital Gazette”, uccisi da un squilibrato che ha fatto irruzione nella redazione di Annapolis perché “ce l’aveva con quel giornale”. E poi ci sono Wa Lone e Kyaw Soe Oo, due giovani croniste birmane condannate a 7 anni di carcere per aver raccontato il genocidio della minoranza Rohingya, La filippina Maria Ressa invece è ancora viva e libera, anche se ogni giorno sfida censure e minacce di ogni tipo per denunciare le violenze del regime instaurato da Rodrigo Duarte.

Sono 9 nomi di colleghi “lontani”, ma terribilmente vicini. Perché nel cuore della democratica Europa fondata sulla libertà di stampa, si uccide e si intimidisce. Come nelle monarchie autocratiche, come nei regimi militari, come nelle nazioni dove le pistole si comprano al supermarket. L’hanno ricordato Ordine dei giornalisti e Fnsi, insieme ad Articolo 21, il 13 dicembre a Roma. In una conferenza stampa con Corinne Vella, sorella della “investigative reporter” maltese Daphne Caruana Galizia, fatta saltare in aria per metterla a tacere. Nel suo blog denunciava costantemente i legami fra esponenti di governo e imbarazzanti traffici internazionali. Mostrando la “cartolina” turistica di Malta come il paravento per un “porto delle nebbie” ai confini dell’Unione europea, piantato ad appena 90 chilometri dalla Sicilia crocevia di molte trame. Quella stessa Sicilia dove Paolo Borrometi è stato condannato a morte da un capomafia, perché “un murticeddu ogni tanto ci vuole per dare una calmata a tutti”.

Il boss è stato intercettato e arrestato, e il giornalista siciliano vive sotto scorta ma continua a scrivere di mafia e politica. Sfuggono invece alle statistiche quanti gettano la spugna, fermati dall’uso distorto del sistema giudiziario. L’osservatorio Ossigeno per l’informazione, sempre il 13 dicembre, ha presentato proprio a Palermo la “mappa dei giornalisti minacciati in Italia”. Ed è venuto fuori che la stragrande maggioranza viene intimidita con querele temerarie. Il 92 per cento di finiscono con l’assoluzione, ma nel frattempo il procedimento penale ha svolto lo scopo per il quale era stato avviato: paralizzare i free lance e i piccoli editor. Da questi passa la quasi totalità dell’informazione locale, e proprio loro non possono permettersi continue spese legali. A differenza di chi li vuole imbavagliare, che può contare su introiti che non vuole far portare alla luce. I riflettori giovano poco agli affari, figurarsi al malaffare. Così, dove non arrivano legislatori da anni “distratti” sulla questione ai limiti della compiacenza, ci prova la Federazione della stampa. L’ha chiamata “scorta mediatica”, e fa rilanciare su una miriade di testate le inchieste che si volevano tacitare. Forse non finiranno mai su Time magazine, ma sono altrettanto importanti per la comunità di loro lettori e per la libertà di tutti.

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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