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“Figli delle app”, soli e fake-dipendenti: Pira studia la generazione Dad

MESSINA – Figli delle app“. E’ un titolo che richiama esplicitamente il vecchio hit della pop star Alan Sorrenti, quello che il sociologo Francesco Pira ha scelto per lo studio su “Le nuove generazioni digital-popolari e social dipendenti”. Una ricerca che il professore all’università di Messina ha condotto in pieno lockdown, i cui esiti sorprendenti sulle nuove “fragilità” occupano l’intero terzo capitolo. Il suo sesto volume con Franco Angeli editore, nome prestigioso nelle pubblicazioni scientifiche, sarà nelle librerie dall’8 marzo al costo di 18 euro. Ad arricchire le 110 pagine di contenuti scientifici c’è pure la prefazione di Giovanni Boccia Artieri, ordinario dei Processi culturali e comunicativi a Urbino, definito “sicuramente uno dei massimi esperti nazionali e internazionali di dinamiche social“. Il quale, nel presentare il lavoro del collega siciliano, sottolinea come l’opera “ripercorre le varie tappe di evoluzione e addomesticamento delle tecnologie, mostrando le soluzioni che si sono proposte e le nuove domande che ne sono scaturite”. E non si tratta di meri esercizi accademici perché, scrive l’autore dei 12 capitoli dello studio, “questo volume è dedicato a tutte le vittime del cyberbullismo, del sexting, del revenge porn, del cutting e a chi ha perso la vita per inseguire una challenge“. Inglesismi che sono entrati prepotentemente anche nella cronaca nera quotidiana.

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Il 68 per cento ha un profilo fake, 2 su 3 si sentono soli.

sopra e copertina: Francesco Pira

Il professore Pira – saggista, giornalista professionista, columnist del quotidiano La Voce di New York – spiega che “la rivoluzione tecnologica è compiuta”. Adolescenti e preadolescenti “si muovono tra app e dimensione social in un fluire quotidiano”. Ma nemmeno giovani e adulti sfuggono alla spirale che porta “dalla non-comunicazione all’ipercomunicazione, alla vetrinizzazione dell’io, e sistematica manipolazione – consapevole o meno – della realtà, con impatti profondi sulle dinamiche di sviluppo della società“. Basta un giro su Facebook per trovare “insospettabili” anziani esibire un ego che si confonde spesso con l’alter ego. Non sorprende quindi che moltissimi internauti con meno anni di vita vissuta nel mondo reale, in quello virtuale se ne creano una parallela che è altrettanto “vera” nella loro percezione socio-psicologica. “Il 68 per cento ha un profilo falso, vivono su Instagram e Whatsapp, e il 60 per cento si sente solo“, sintetizza il ricercatore. Il dato emerge da un sondaggio online “La mia vita ai tempi del Covid“, compiuto fra aprile e maggio 2020 fra circa 2 mila ragazzi delle medie e delle superiori

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Da consumismo tecnologico individui senza identità.

Non sempre è un gioco, questa macroscopica tendenza a tenere aperto pure un canale di comunicazione fake. “Appare evidente come nell’era liquido-moderna l’inganno sia diventato centrale nei processi di comprensione del reale, e la distinzione tra vero e falso non sia più percepita”. Pira perciò concorda col grande sociologo Zygmunt Bauman, affermando che “il consumismo tecnologico rischia di trasformarci in individui senza storia e identità”. Le statistiche sono chiare. Nel campione analizzato, “praticamente il 96,6 per cento degli intervistati possiede uno smartphone, e oltre l’80 per cento ha un computer“. Dati che confermano “come la rivoluzione tecnologica sia ormai compiuta, la tecnologia è parte integrante delle loro vite”. Sono nuove e nuovissime generazioni che “si muovono tra app e dimensione social, in un fluire quotidiano h24 di interazioni, produzione di contenuti e creatività. Per la prima volta, l’e-learning è entrato nelle loro vite”. Una dotazione tecnologica resa necessaria dalla didattica a distanza, che ha ridotto il digital divide fonte di future sperequazioni sociali. Ma non è tutto oro quello che luccica con la Dad.

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Didattica a distanza ha accentuato isolamento ragazzi.

“Uno degli aspetti di maggiore interesse emerso è quello relativo alla tendenza a isolarsi rispetto all’ambiente familiare”. Staccato il collegamento temporaneo col docente, è rimasto permanente quello coi coetanei. Ma non con tutti, come avviene in un’aula scolastica, bensì solo con quelli selezionati per affinità virtuale“Sempre più dipendenti dal gruppo di pari, hanno vissuto una forte sensazione di isolamento, paura e scoraggiamento”. Quasi 2 su 3 ha ammesso “di avere provato questo sentimento”. Il disagio esistenziale ha sempre accompagnato il passaggio all’età adulta, basta ripercorrere la letteratura dall’Ottocento in poi. L’interrogativo è come i nuovi mezzi di socializzazione virtuale abbiano sostituito i tradizionali agenti di socializzazione“Questo libro intende analizzare le trasformazioni in atto, basandosi sui risultati delle ricerche condotte in 23 anni di studio sull’evoluzione dei modelli comunicativi prima e dopo l’avvento delle nuove tecnologie e alla digitalizzazione della società”. Pira lo definisce “un percorso attraverso generazioni che si sono evolute all’interno di ambienti sempre più tecnologici, immersi negli universi social, spesso da soli”. 

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All’inizio fu la tv, lo smartphone ha fatto il resto.

Il professore Pira premiato col Penna Maestra
a destra il sindaco di Noto, Corrado Bonfanti
a lato Pippo Cascio, presidente Agirt
(Giornalisti radiotelevisivi e telematici).

Lo studio inizia trattando del passaggio epocale “Dai nativi digitali ai mobile born“, muovendo i passi da “All’inizio fu la tv“. Nello sviluppo della televisione commerciale, riprendendo il pensiero del grande politologo Giovanni Sartori, è stato infatti individuato il ground zero del “processo di mediatizzazione” della società. Il messaggio era ancora unidirezionale, ma il grande pubblico iniziava a formarsi convinzioni e opinioni attraverso la simbiosi di suoni e immagini. Un connubio che stimola direttamente la ricezione sensoriale; l’emozione immediata inizia a prendere il sopravvento sulla mediazione intellettuale. In questo contesto si inserisce “L’era dei videogiochi“, vista come preludio alla percezione della inscindibilità del rapporto fra uomo e tecnologia. Quando arriva il momento che si passa “Dai cellulari agli smartphone– come intitola il terzo capitolo – l’interattività si focalizza sulla forza emotiva del messaggio da scambiare, non sul suo contenuto valoriale. I sociologi certificano che gli adolescenti iniziano “a costruire in modo significativo un nuovo modello relazionale, imperniato sull’uso combinato di parole e immagini mediate dalla tecnologia”. Con “I tablet per non farli piangere”, il quarto capitolo constata come questo processo opera ormai direttamente dalla culla. Ma “la tecnologia non è neutra“, avverte Pira, mettendo in guardia sul “grave rischio” quando i genitori abdicano distrattamente al percorso educativo dei bambini.

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L’agire degli individui orientato dagli sviluppatori.

“Il sogno umano e il sogno digitale” iniziano a combaciare pericolosamente, quando “lo sviluppo di app conducono gli individui a un agire orientato e guidato dalla tecnologia, o per meglio dire dai suoi sviluppatori. Nascono “I nuovi modelli comunicativi fra emoticon e emoji“, che semplificano il linguaggio portandolo a una moderna pittografia. Ma di fatto lo impoveriscono di tutte le complessità proprie del pensiero umano, e dei codici sviluppati nel tempo per condividerlo. Il risultato scontato, come titola il sesto capitolo, è che “Da grande voglio fare l’influencer“. Infatti, “i dati mostrano come per i giovani non vi sia più distinzione tra online e offline“. Il vero e il virtuale si confondono sullo stesso piano, perciò il “come” si sta sui social diventa fondamentale per definirsi ed essere definiti. Un caso di scuola è Chiara Ferragni, diventata esempio di successo grazie a “un fatturato complessivo che supera i 20 milioni di euro“. Praticamente non sa fare nulla in senso tradizionale, ma riesce benissimo a proporsi come modello accessibile per 21 milioni di follower in cerca di riferimenti a portata di click. Il lato oscuro della nuova favola digitale sono “Le nuove devianze: cyberbullismo e sexting“, cui si associano il “porno per vendetta”, le sfide che sfiorano l’incitamento al suicidio, la pubblica derisione per l’aspetto fisico. Costituiscono la dimostrazione che “la rete completamente libera da regole e da un’etica di fondo non funziona”.

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Connessi con tutti in una confortevole solitudine.

L’ultima sezione del saggio di Pira parla de “La generazione Netflix, quella che non legge i giornali“. Il tema portante è che “la contrapposizione tra semplicità d’uso delle tecnologie e la complessità del mondo sta generando una società individualista, dove gli individui credono di essere connessi con tutti ma vivono in una confortevole solitudine“. I 3 sottocapitoli analizzano il fenomeno con ampie statistiche. Le conclusioni lasciano alcuni interrogativi aperti, “per stimolare ancora la ricerca“. Anche se la constatazione su come “l’inganno sia diventato centrale nei processi di comprensione del reale, e la distinzione tra vero e falso non sia più percepita”, portano a interrogarsi su quale sia il futuro che si sta costruendo. E, soprattutto, chi se ne sta approfittando. Molti degli adolescenti “ke” ieri sperimentavano la neo-lingua abbreviata dei “tvb” e dei “cmq” negli sms, “oggi sono gli adulti appena diventati genitori; tutti accomunati nell’evidente dicotomia tra connessione e relazione”. Non a caso il volume si apre con la citazione di don Giovanni Bosco, che “dalla buona o dalla cattiva educazione della gioventù dipende un buon o un triste avvenire della società”.

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Libro dedicato alla tecnologia che condivide conoscenza.

L’autore, classe 1965, associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, si definisce un “immigrato digitale”. Era adolescente quando nelle radio libere impazzava “Noi siamo figli delle stelle”col suo accattivante refrain “senza storia, senza età, eroi di un sogno”. Oggi ammette che “il provocatorio titolo che ho scelto”, inusuale per un saggio accademico, nasce dal fatto che “non sono sicuro che essere figli delle app sia essere eroi di un sogno”. Dopo aver analizzato questionari e sondaggi, è giunto alla conclusione che questo “uso della tecnologia ci mostra come l’intuitività, l’immediatezza siano gli aspetti prevalenti che di fatto sembrano annullare quasi del tutto lo spazio per comprendere il contesto prima di agire. Così, l’azione viene prima della riflessione, che genera una risposta emotiva immediata e mediata dallo schermo”. Un sottile strato di cristalli liquidi che ha rivoluzionato e democratizzato il sapere, come fece la stampa a caratteri mobili sulla carta. Per questo, aldilà degli esiti talvolta sconfortanti dell’indagine, Figli delle app è dedicato “anche a coloro che usano le nuove tecnologie per trasmettere al mondo messaggi positivi e condividere conoscenza“.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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