Art of Neapolitan “Pizzaiuolo”: l’Unesco riconosce l’arte del pizzaiuolo napoletano come Patrimonio Culturale Immateriale. Ed ora? STORIE UNESCO HERITAGE di Marta Manzoni Scritto giovedì, 7 Dicembre, 2017 17:49 Ultimo aggiornamento giovedì, 21 Dicembre, 2017 18:22 Più che la pizza è “l’arte del pizzaiuolo napoletano” ad essere diventata Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, durante il 12° Comitato che si è svolto sull’isola di Jeju, Corea del Sud. Il riconoscimento che ha impegnato già dal 2000 una raccolta firme avviate da Alfonso Pecoraro Scanio, all’epoca Ministro dell’Agricoltura, ha portato anche ad un record mondiale: 2 milioni di firme raccolte in più di 100 Paesi e coinvolgendo 600 ambassador, insieme ai pizzaiuoli napoletani che in queste ore stanno festeggiando il risultato con un’euforia che non ha eguali. Ma quali sono stati i motivi per cui si è avuto questo riconoscimento? Pecoraro Scanio con alcuni maestri pizzaioli napoletani “L’arte del “Pizzaiuolo” napoletano è una pratica culinaria che comprende quattro diverse fasi relative alla preparazione dell’impasto e alla sua cottura in un forno a legna, comportando un movimento rotatorio da parte del fornaio – si legge nella motivazione – L’elemento nasce a Napoli, la capitale della Regione Campania, dove oggi vivono e si esibiscono circa 3.000 Pizzaiuoli. I pizzaiuoli sono un legame vivente per le comunità interessate. Ci sono tre categorie principali di portatori – il Maestro Pizzaiuolo, il Pizzaiuolo e il fornaio – così come le famiglie di Napoli che riproducono l’arte nelle loro case. L’elemento promuove incontri sociali e scambi intergenerazionali, e assume un carattere spettacolare, con il Pizzaiuolo al centro della loro “bottega” che condivide la loro arte. Ogni anno l’Associazione Pizzaiuoli Napoletana organizza corsi focalizzati sulla storia, gli strumenti e le tecniche dell’arte per continuare a garantirne la fattibilità. Il know-how tecnico è garantito anche a Napoli da specifiche accademie e gli apprendisti possono apprendere l’arte nelle loro case familiari. Tuttavia, le conoscenze e le abilità vengono trasmesse principalmente nella “bottega”, dove i giovani apprendisti osservano i maestri al lavoro, imparando tutte le fasi e gli elementi chiave del mestiere”. Quindi è l’arte del fare la pizza, il “pizzaiuolo” così come viene chiamato con il suo nome dialettale, ad essere riconosciuto come “Patrimonio Culturale Immateriale”. Un know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere. Le pizzerie sono delle “botteghe” d’arte della pizza. Il luogo dove avviene l’incontro tra l’artigiano e il buongustaio. Tra una generazione di maestri pizzaiuoli che si trasmette anche nelle famiglie e che è diventato un elemento distintivo in tutto il mondo. Ma quello che occorre anche evidenziare è che accanto all’arte c’è l’uso delle materie prime che allo stesso modo raccontano di questa tradizione e della sua bontà gastronomica. Il festeggiamento dei pizzaioli napoletani per il riconoscimento Unesco Senza un accorto e ricercato uso di una buona farina, di un ottimo olio e pomodoro, di un’eccellente mozzarella e dei sapori che ne fanno ricordare le “stagioni eterne” di questo piatto, non ci sarà riconoscimento Unesco che tenga. Perché poi ci sarà la “battaglia” inevitabile delle imitazioni. Da oggi tutti si definiranno di “scuola napoletana”, anche chi vanta una storia diversa e non secondaria. L’obiettivo è stato raggiunto. Ma ora bisognerà meritarlo e non farlo diventare solo un “fattore” di orgoglio che potrebbe sfociare in altro “folclore”.