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Legambiente: Ias disastro ambientale annunciato, le città siano parte civile

PRIOLO – “La Regione e le amministrazioni comunali di Siracusa, Melilli, Priolo e Augusta si costituiscano parte civile in caso di rinvio a giudizio degli odierni indagati”. Sul sequestro del depuratore Ias per disastro ambientale, Legambiente si mette fuori dal coro dei peana per il destino del Petrolchimico. I circoli dei quattro comuni industriali non solo ritengono “necessario” che i sindaci dell’hinterland, e il presidente della Sicilia, si presentino in giudizio per tutelare i danni alla salute delle loro popolazioni. Ma ritengono “doverose le dimissioni del Consiglio di amministrazione, che deve “chiedere scusa per non aver saputo vigilare e amministrare un impianto così importante per la salute dei cittadini. Il comunicato diffuso dagli ecologisti il 19 giugno, “ora che un po’ di polvere si è posata dopo il clamore sollevatosi”, mette in fila fatti e circostanze di quello che appare un provvedimento giudiziario annunciato. Non a caso il j’accuse ambientalista porta l’eloquente titolo “come il disastro politico ha determinato il ‘disastro ambientale‘”. Perché è proprio la negligenza dei Palazzi, ad aver determinato una situazione dove la pezza può diventare peggiore del buco. Con le raffinerie in affanno per adeguarsi ai limiti tabellari di depurazione, attraverso propri impianti di trattamento o modifiche dei cicli produttivi, che oltre a essere costosi richiedono soprattutto tempo. E nel frattempo, cosa scaricano in mare le loro condotte?

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“Politici tacciano, non sono credibili: o si sono nutriti alla mammella Ias o sperano ricompense”.

“Intanto sarebbe più che opportuno, tacciano tutti quei politici che più o meno apertamente mettono in dubbio l’azione della magistratura, sminuiscono l’evidenza dei fatti e paventano drammatiche e definitive chiusure delle aziende del Polo industriale: non sono credibili, di qualunque parte essi siano”, scrive Legambiente. Aggiungendo che “parecchi di loro si sono nutriti alla mammella Ias, hanno preteso la poltroncina in Cda per sé stessi o per i loro amici, hanno contrastato chi da lungo tempo denunciava gli scandali”. I circoli ecologisti scrivono che vogliono “dare un contributo di conoscenza e qualche indicazione per uscire dal pantano”. Ma per arrivare a una soluzione, deve innanzitutto farsi da parte chi non è mosso da ragioni squisitamente ambientali. “Altri politici, forse sperando in future ricompense, si mostrano difensori d’ufficio degli inquinatori e di chi commette crimini contro l’ambiente. Altri ancora, finora del tutto incapaci di incidere e cambiare le cose, con un attivismo tanto parolaio quanto inutile, ci tengono a far sapere che ‘io l’avevo detto’”.

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“Tanti fingono stupore ma si sapeva del depuratore non all’altezza dei reflui industriali”.

le vasche di trattamento Ias.
copertina: il depuratore consortile (foto Facebook).

Legambiente non cita nessuno, ma bastano le rassegne in copia-incolla dei comunicati usciti dopo il sequestro, per trovare nomi e appartenenze politiche. “Tanti oggi fingono stupore per l’intervento della magistratura e per la gravità dei reati contestati: ma come definire diversamente da ‘disastro ambientale’, il sistematico convogliamento di reflui industriali a un depuratore che non era in grado di trattarli?”. Riprendendo le perizie della Procura, il comunicato cita le “13 tonnellate all’anno di cancerogeno benzenerilasciate in atmosfera. E le “oltre 2.500 tonnellate, nel solo periodo 2016/2020, di idrocarburi finiti a un miglio fuori dalla costa nel golfo di Augusta“. Per questo, sottolineano i circoli ecologisti della zona industriale, “lo stupore è fuori luogo; da sempre gli addetti ai lavori sanno che questa è la ragione per la quale dallo Ias provengono odori nauseabondi, nonostante i tanti soldi spesi per costruire un impianto di captazione dei vapori e deodorizzazione rivelatosi insufficiente e perciò mai attivato”. Lo sbigottimento della politica è definito “ancor più fuori luogo sapendo che l’inchiesta ‘No Fly’, per la quale a febbraio 2021 sono stati notificati gli avvisi di conclusione indagini, riguarda proprio questo aspetto. E che diverse delle persone fisiche e giuridiche coinvolte sono le stesse di oggi”.

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I problemi già emersi nel 2019 dalla visita della Commissione parlamentare sulle ecomafie.

Si tratta, sottolinea Legambiente, di “argomenti e fatti emersi nel novembre 2019, anche durante la visita della Commissione di indagine sul traffico dei rifiuti ad Augusta e Priolo, e l’audizione degli organi di controllo”. Anche se “alcuni dicono che la cattiva gestione dello Ias è una storia vecchia, pochi si chiedono perché da tanto tempo questo impianto sia gestito così male, tanto da determinare oggi il rischio reale che venga fermato”. Eppure “il depuratore consortile, frutto delle battaglie sindacali e ambientali, è un impianto vitale per l’ambiente e la salute delle persone”. Infatti, venne “costruito con i soldi pubblici:quelli del progetto speciale numero 2 della Cassa del Mezzogiorno“. Fondi messi dallo Stato “con lo scopo di consentire alle aziende del Petrolchimico di depurare i loro reflui, visto che gli stabilimenti erano allora privi di propri adeguati sistemi di depurazione”.

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“Conquista ambientale cui si aggrapparono profittatori, e quel blitz del ’98 finito in prescrizione”.

Enzo Parisi, riferimento storico di Legambiente.

Il depuratore della zona industriale nacque per proteggere le popolazioni, vittime di un inquinamento che entrava nella catena alimentare ittica. Ma “alla conquista ambientale si aggrapparono subito i profittatori e i politici: società pubblica con soci privati che si fanno carico delle spese; presidente e consiglio di amministrazione nominati dai partiti; direttore indicato dai privati; ricchi gettoni di presenza; consulenze milionarie e contratti di utenza per i reflui industriali (quelli che stabiliscono cosa e come devono scaricare le aziende nel depuratore) molto sensibili alle esigenze della parte industriale“. Erano i tempi ante-euro, con le casse degli Enti generosamente alimentate col debito pubblico. “Nel 1998 un presidente ‘anomalo’ come Pippo Ansaldi, rende pubblica l’enormità degli sprechi e denuncia le carenze tecniche. Si accorge pure che qualcosa non va, e un blitz notturno scoprirà che i reflui troppo pesanti da digerire vengono inviati a riciclo di giorno, e scaricati in mare senza alcuna depurazione di notte”. Ne venne fuori un processo penale nel quale Legambiente si costituì parte civile, trasferito da Siracusa ad Augusta per questioni di competenza”. Una scabrosa vicenda giudiziaria, poi conclusa “con la prescrizione di tutti i reati contestati”.

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“Subito estromesso il presidente del Ias che denunciò sprechi e imbrogli nei trattamenti”.

Legambiente ricorda come dopo quell’inchiesta un nuovo impianto petrolchimico non entrò mai in funzione, sospettando che nella scelta abbia pesato la vigilanza rafforzata sui reflui in previsione di conferire. E ricorda anche come “il presidente che allora denunciò venne subito estromesso; tutti gli altri hanno dormito sogni beati in compagnia dei loro consigli di amministrazione. Intanto i fanghi si accumulavano nelle discariche interne, fino a esaurirle e sovraccaricarle (tanto da provocarne la rottura del fondo e il percolare di veleni). Un’enormità di denari è stata spesa per trasportare in discariche esterne, al sud come al nord Italia, centinaia di migliaia di tonnellate di fanghi. Inoltre dal 2010 al 2013, con circa 30 spedizioni marittime ne sono state esportate via nave a Rotterdam oltre 250 mila tonnellate, per svuotare le due discariche interne. Una spesa folle di circa 60 milioni di euro, sostenuta dalle aziende del Polo. Dopo lo scandalo ‘Mare Rosso‘, con la definitiva chiusura nel 2005 dell’impianto clorosoda, la produzione di fanghi si è drasticamente ridotta”.

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“Priolo e Melilli nel Cda però loro delegati distratti sui controlli: ma quali interessi difendono?”.

Legambiente pone alcune domande retoriche. “Perché gli industriali si accollano questi costi mostruosi? Perché preferiscono conferire all’impianto reflui ricchi di idrocarburi, metalli pesanti e sedimenti fangosi. anziché modificare cicli e processi produttivi in modo da evitare questi gravi effetti collaterali?”. La risposta la trovano grazie alle contestazioni della Procura. “Dal 2016 al 2018 il Cda dell’Ias non ha adeguato i contratti d’utenza riducendo i limiti quantitativi e qualitativi dei reflui industriali in ingresso nell’impianto”. I circoli ecologisti si aspettano che “anche i Comuni soci dello Ias, Priolo e Melilli, siano chiamati a rispondere – se non davanti ai magistrati almeno davanti al popolo inquinato – della loro distrazione, della mancanza di controllo di ciò che da troppo tempo avviene a danno della collettività: i loro rappresentanti in Cda che ci stanno a fare, quali interessi difendono?”. La polemica sottesa all’interrogativo aleggia pure nella considerazione che “se è questo il modo di pensare e di agire della classe dirigente locale, allora è difficile credere che i fondi del Pnrr possano essere impiegati utilmente per la transizione ecologica ed energetica”. Il documento conclude chiedendo “che la Regione chiuda la Spa, stabilisca regolamenti e linee guida per i contratti d’utenza, e con bando pubblico affidi a privati la gestione del depuratore dietro pagamento di canone”. Inoltre “che l’impianto sia assoggettato a procedura di Autorizzazione integrata ambientale“, e che la aziende “si dotino di impianti di pretrattamento, o adeguino gli esistenti in modo che i reflui siano conformi alla legge”.

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Tempi di adeguamento, off the record ambientalista: rischio blocco attività produttiva c’è.

Il lungo e articolato comunicato di Legambiente non lo ammette, ma nei circoli riconoscono che “il rischio d’un blocco dell’attività produttiva c’è”. Nel breve periodo le industrie possono tamponare, prolungando la fase di trattamento interno dei reflui e modificando in parte i cicli produttivi. Ma col depuratore consortile messo ko, ogni raffineria deve farsene uno proprio. E oltre i tempi tecnici per progettazione e finanziamento imprevisti, ci sono quelli burocratici legati alla sfilza di autorizzazioni per lo scarico dentro il porto di Augusta. Perciò, mentre l’inchiesta penale fa il suo corso ai sensi di legge, tocca alla politica sbrogliare al più presto la matassa. Che ha lasciato ingarbugliare quando la Regione, attraverso l’Asi in liquidazione proprietaria del consortile, non ha rinnovato la convenzione con Ias. Col risultato di rendere impossibile reperire nel mercato finanziario, i 12 milioni necessari all’adeguamento richiesto: chi presterebbe tutti quei soldi a una Spa che potrebbe sparire dall’oggi al domani, non avendo alcuna garanzia contrattuale di continuare la gestione dell’impianto fino a ripagare il debito? Considerati gli interessi nazionali in gioco, anche alla luce della particolare situazione internazionale, è probabile che un decreto governativo introduca qualche deroga ai limiti di immissione dei reflui in mare. E ancora una volta ambiente ed economia si troveranno su una bilancia, dove chi paga in salute non coincide con chi ricava profitto.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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