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Ias sequestrato: non depurava i reflui industriali, crisi a Petrolchimico Priolo

PRIOLO – Ias, cronaca di un sequestro annunciato. Non è un fulmine al ciel sereno, il provvedimento della magistratura di Siracusa sul depuratore industriale, notificato il 15 giugno con effetti deflagranti sull’intero Polo petrolchimico. Da quattro anni, infatti, la società consortile di Priolo deve adeguare gli impianti di trattamento alle normative ambientali indicate dalla Procura. Ma un braccio di ferro giudiziario con il consorzio Asi, su contratti scaduti e canoni non versati, ha bloccato il reperimento dei finanziamenti necessari all’ammodernamento. Si tratta di lavori per 12 milioni di euro, che il consiglio di amministrazione voleva reperire con un mutuo bancario. Trovando però porte chiuse, quando gli istituti credito hanno scoperto le potenziali passività della Spa, derivanti da liti pendenti davanti il tribunale. Ma soprattutto che dovevano prestare soldi a un gestore con la convenzione scaduta da tempo, e rinnovata di anno in anno per non bloccare l’attività delle raffinerie. Un gioco di scatole cinesi fra società consortili a capitale pubblico, ingranaggi di una Regione ostaggio della politica da veti e interessi incrociati, che alla fine si sono bloccati da soli. Inceppando quel delicatissimo meccanismo a orologeria della raffinazione petrolifera, sulla quale si regge l’economia di un’intera provincia.

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Attività produttive Ars, Cafeo: in gioco l’esistenza di un intero settore produttivo portante.

Giovanni Cafeo.

“Il sequestro dell’impianto Ias, se da un lato apre interrogativi sul ciclo della depurazione, dall’altro spalanca le porte della chiusura delle aziende del Petrolchimico, avverte Giovanni Cafeo, deputato regionale di Prima l’italia. “Il problema è comprendere dove dovranno conferire i reflui industriali; certo non potranno conservarli in eterno”, scrive in una nota stampa, diffusa subito dopo la notizia del sequestro. Il segretario della commissione Attività produttive all’Ars ritiene “necessario svolgere gli accertamenti, ma è altrettanto indispensabile individuare una via d’uscita rapida perché c’è in gioco l’esistenza di un intero settore produttivo, colonna portante del territorio siracusano e siciliano”. Il suo documento conclude facendo notare che “la zona industriale siracusana sta già pagando un prezzo alto, e rischia di chiudere per via di una Transizione energetica poco sensibile al settore petrolifero, e per le sanzioni Ue legate alla guerra in Ucraina che stanno mettendo in fuga Lukoil“.

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La matassa di 12 milioni per le vasche di depurazione che nessuno vuole prestare al buio.

E’ stata proprio la multinazionale russa la prima ad alzare il coperchio sulle ridotte capacità di depurazione dell’impianto Industria acque siracusana. Come le altre aziende del Petrolchimico, la società petrolifera fa parte dell’Ias come socio di minoranza, attraverso la sua consociata Isab. E’ il rappresentante di quest’ultima che interviene all’ultima seduta del Cda, convocata il 18 febbraio scorso per discutere di “criticità aziendali con riferimento al finanziamento per investimenti”. In quella riunione si fa il punto sulla controversia con la “ex Asi in liquidazione”, proprietaria delle strutture. Concesse in gestione alla Spa con capitale misto pubblico-privato, attraverso una convenzione che prevede un canone annuo di circa 450 mila euro. Somme che tuttavia non vengono versate dal 2006, con una parentesi fra il 2012 e il 2015, perché trattenute in compensazione di lavori che spettavano alla proprietà. Ne sono scaturite due controversie, per circa 6 milioni di euro complessivi. Cause che alla fine sono andate a compromettere la ricerca dei 12 milioni necessari per adeguarsi alle prescrizioni della Procura, indicate dall’inchiesta No Flyche nel 2019 aveva portato a un primo sequestro del depuratore. “E’ alquanto difficile trovare un finanziatore esterno che metta a disposizione una somma così ingente, a fronte di una convenzione scaduta e alla sussistenza del rilevante contenzioso giudiziario”, dichiara a verbale l’avvocato incaricato dall’Ias, Gianluca Rossitto. Ma la vera mazzata arriva dal rappresentante del socio di Lukoil.

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A febbraio la denuncia di Isab in Cda del consortile: Asi mai informato soci su limiti impianto.

sopra e copertina, il depuratore consortile Ias.

L’ingegnere Claudio Geraci, delegato da Isab, “evidenzia che ad oggi la stessa fattibilità degli impegni presso la Procura sono messi in discussione dai recenti eventi”. Il manager si riferisce ai nuovi limiti fortemente stringenti imposti alla sua raffineria, in sede di Autorizzazione integrata ambientale, sulla quale poi è intervenuta una sospensiva dal Tar del Lazio. Intanto però lo stabilimento si è trovato col cerino in mano, dato che i suoi reflui non potevano più essere depurati dall’Ias, “poiché quest’ultimo non è tecnicamente in grado di trattare alcuni inquinanti presenti negli affluenti”. Con un paradosso degno di un racconto del compatriota Gogol, Lukoil doveva prima depurarsi da sé i liquami industriali, e poi inviarli già ripuliti al depuratore consortile. Perciò “il socio Isab rappresenta la sua sorpresa e la sua preoccupazione per il fatto che l’ex Asi in liquidazione, nella duplice veste di proprietario dell’impianto di depurazione e di socio di maggioranza, non abbia mai ritenuto necessario informare gli altri soci di tale limite strutturale dell’impianto”. Ma il consorzio in mano a un liquidatore regionale, non è l’unico a praticare il gioco delle tre carte.

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A vuoto road map adeguamenti chiesta da industrie:”Priolo e Melilli sapevano ma hanno taciuto”.

Il rappresentante di Isab fa pure mettere a verbale che “il Comune di Priolo e il Comune di Melilli, nella loro qualità di soci di minoranza non hanno mai ritenuto necessario informare gli altri soci di tale limite strutturale dell’impianto, a loro chiaramente noto come emerso dalla conferenza dei servizi dello scorso 10 gennaio”. La presidente Patrizia Brundo cerca di mettere una pezza allo scontro nel Cda, proprio quando deve decidere dove trovare i soldi per ammodernamenti necessari a uscire dall’inchiesta penale. Perciò dichiara che “per quanto concerne la conferenza dei servizi, l’Ias non è stata messa a conoscenza e meno che mai ha potuto partecipare”. E assicura il socio che si sente trattato da serie B, che la Spa lo affiancherà nel probabile ricorso contro restrizioni lamentate come “discriminatorie”. Fra l’altro dal sapore fortemente politico, piuttosto che di tutela di tutela ambientale, considerati tempistiche e soggetti coinvolti. Già nel Cda del 10 gennaio, le altre aziende del Petrolchimico avevano avvertito della necessità “di una road map di realizzazione del progetto Reo, congruente con il cronoprogramma e le osservazioni tecniche della Procura”. E avevano sollecitato l’Asi a rinnovare la concessione all’Ias, senza la quale nessuna banca avrebbe concesso prestiti per 12 milioni. Ma l’Irsap, nel cui calderone è finito il consorzio in liquidazione, aveva nel frattempo indetto un bando europeo per la gestione dell’impianto. Contro il quale il gestore in proroga ha fatto ricorso al Tar; e come in un gioco di specchi, gli adeguamenti alle vasche di depurazione si sono impantanati.

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Disastro ambientale aggravato: in mare 2.500 tonnellate idrocarburi, 77 all’anno di nocivi in aria.

Sabrina Gambino, capo della Procure di Siracusa.

Al ginepraio tessuto dai soci pubblici, dal “multiforme ingegno” quando c’è da prendere tempo, ha messo un punto fermo la Procura retta da Sabrina Gambino. Mandando tutto al Gip di Siracusa, che ne ha condiviso le conclusioni. Disastro ambientale aggravato, è la contestazione di reato che il 15 giugno ha portato al sequestro dell’impianto, insieme alle quote societarie e al patrimonio aziendale di Ias. Il comunicato degli inquirenti parla di provvedimento dettato dalla “enorme quantità di sostanze nocive abusivamente immesse in mare e in atmosfera, dalla loro tossicità e nocività per la salute dell’ambiente e degli uomini, dalla durata dell’abusiva emissione e dal numero di persone potenzialmente interessate dalla loro diffusione”. I periti giudiziari avrebbero accertato “la totale inadeguatezza dell’impianto, allo smaltimento dei reflui industriali immessi dalle società coinvolte”. Calcolando, fra il 2016 e il 2020, “l’immissione non consentita in atmosfera di circa 77 tonnellate all’anno di sostanze nocive (fra cui alcune cancerogene come il benzene) e di oltre 2.500 tonnellate di idrocarburi in mare”. L’amministratore giudiziario si è subito insediato, per far funzionare almeno la depurazione civile di Priolo e Melilli, l’unica consentita. “Per impedire che il depuratore continuasse a operare sulla base degli attuali titoli autorizzatori, ritenuti non conformi a legge, non più efficaci da oltre un decennio e comunque solo parzialmente rispettati”, le industrie invece non possono conferire. Dovranno trovare un altro modo per liberarsi delle scorie. E lo stesso dovrebbero fare gli elettori.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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