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Petrolchimico in zona rossa sismica, Legambiente: impianti stati adeguati?

AUGUSTA – A distanza di 32 anni dal terremoto di Santa Lucia, la Regione “scopre” che il Polo petrolchimico di Augusta è adagiato su una faglia altamente sismica. La rivoluzione copernicana sulla classificazione dell’area industriale come “zona rossa“, è arrivata con la nuova mappa di rischio per Sicilia. Dove quasi tutto il Siracusano, insieme con una porzione del Sud est ragusano, figura nella ristretta lista delle province più geologicamente pericolose. Una poco invidiabile catalogazione condivisa insieme alla Valle del Belice e alla costa meridionale del Messinese, dove ci sono ancora i segni delle devastazioni causate dalle scosse e dal maremoto. Delle implicazioni che la mappatura aggiornata avrà sui territori in fascia di massimo rischio, ne parleranno l’11 giugno gli ordini di ingegneri, architetti, geologi e geometri. Riuniti al centro congressi di Rosolini, per discutere “dei cambiamenti nella progettazione con l’ingresso in Zona 1, la più alta in Italia“. Un vero e proprio summit di esperti sul piano scientifico e burocratico, nella provincia dove maggiori sono le sfide della red zone“, sia per estensione territoriale che per le criticità.

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Rete delle professioni, ingegner Floridia: amministrazioni si attrezzino anche culturalmente.

Enzo Parisi.

Ma se tutti gli ordini professionali coinvolti affermano che “hanno le competenze e le risorse per progettare in Zona 1 senza problemi”, per Legambiente la questione diventa molto più ampia. Investendo la sicurezza degli impianti di raffinazione, “che già da tempo avrebbero dovuto essere adeguati ai criteri più stringenti imposti dall’evento tellurico del 1990“. Interventi “sui quali invece nulla sappiamo”, nota il portavoce ambientalista, Enzo Parisi. Che concorda col coordinatore della rete delle professioni, l’ingegnere Sebastiano Floridia, quando questi dice che “le amministrazioni devono attrezzarsi, sotto l’aspetto organizzativo e culturale, per affrontare il problema qualora dovesse presentarsi. La popolazione deve sapere quali e dove sono i Centri di raccolta, i comportamenti e le procedure da tenere in caso di sisma“. Parisi dal canto suo nota che “in effetti gli edifici pubblici strategici, come scuole e ospedali, non sono stati adeguati. E laddove si è intervenuto, come nel restauro del municipio di Augusta, non si è fatto rispettando gli standard più elevati”.

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Mappa rifatta a 32 anni dal “terremoto dei silenzi” che nei tg di Stato fu “a 50 chilometri da Noto”.

Legambiente lo diceva già prima del 1990, che la ricorrente ciclicità degli eventi disastrosi imponeva rapidi rafforzamenti antisismici, nelle strutture destinate a fronteggiare le emergenze. La forte scossa con epicentro 5 chilometri al largo di Brucoli, però è arrivata prima. E in quella notte del 13 dicembre, migliaia di terremotati augustani scoprirono dai telegiornali nazionali che il loro dramma era indicato come “un sisma a 50 chilometri da Noto“. La presenza di impianti petroliferi che potevano innescare un effetto domino, aveva indotto Roma a cambiare la geografia. Quello che sarebbe passato alla storia locale come “il terremoto dei silenzi” – dal titolo di un pamphlet pubblicato da un giovane viceparroco chiamato don Palmiro Prisutto – si è poi portato dietro la scabrosa questione di un Petrolchimico che stava dove geologicamente non poteva stare. E come accaduto con l’Atrazina nell’acqua potabile della Pianura padana, che non potendo abbassarne i livelli si è alzata la soglia di legge, nella zona industriale si è mantenuta una classificazione sismica inferiore al rischio certificato dagli eventi. Una distopia sopravvissuta un trentennio, fino all’aggiornamento 2022 che ha scoperto l’acqua calda.

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Legambiente, Parisi: Piano risanamento prescriveva adeguamenti impianti, l’hanno fatto?

“Questa della catalogazione sismica è stata una questione presentatasi ciclicamente, senza che accadesse nulla. L’ultima a riproporla è stata una perizia a sostegno del no al rigassificatore, spiega Parisi. Il quale ricorda come “il Piano di risanamento ambientale prevedesse espressamente uno specifico adeguamento antisismico degli impianti”. Raffinerie strette nella morsa della crisi di mercato, delle bonifiche di pertinenza e dei parametri ambientali resi sempre più stringenti, lo hanno poi fatto? “Qualcuna ha detto di aver provveduto, ma non abbiamo contezza di quanto e cosa fatto”, puntualizza il portavoce di Legambiente. Per saperlo basterebbe andare negli archivi degli uffici tecnici comunali, dove le relative pratiche urbanistiche dovevano necessariamente passare. Ora che l’intero hinterland industriale è certificato come “zona rossa”, forse qualche associazione ecologista farà un accesso agli atti per verificare i dossier. Sicuramente però dovrebbero farlo le amministrazioni che reggono i Comuni, responsabili legali della salute e della sicurezza delle loro popolazioni.

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Nel 2008 il campanello d’allarme del pontile Erg crollato per cedimento: e se c’è una scossa?

“Sono verifiche da non sottovalutare”, dice ancora l’ambientalista, “perché non ci dimentichiamo che nel 2008 è crollato un pontile della Erg“. Un incidente strutturale senza conseguenze, “ma che ci ricorda come i cedimenti siano nell’ordine delle cose”. Cioè, se accadono in tempi normali, a maggior ragione bisogna metterli in conto durante un terremoto. Se n’è reso conto persino uno Stato creativo con geografia e mappe di rischio, quando c’è da salvaguardare gli interessi nazionali e i bilanci multinazionali. Forse non è solo una eccezione geologica che l’unica zona gialla, in un’isola quasi per intero arancione, sia nell’Agrigentino dove il governo vuole realizzare il rigassificatore. Comunque il decreto del presidente della Repubblica, che nel 1995 approvava il “piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Siracusa – Sicilia orientale”, è esplicito riguardo lo “studio sismico dell’Area industriale”.

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Nel 1995 il Dpr per studi sismici dettagliati su raffinerie che stavano dove non si poteva.

Alla voce “Situazione di riferimento”, il Dpr evidenziava “la mancanza di uno studio sistematico e omogeneo, che definisca l’adeguatezza delle principali strutture impiantistiche nei riguardi delle sollecitazioni indotte dall’evento sismico, non consente la quantificazione delle conseguenze per gli insediamenti industriali potenzialmente associabili al verificarsi di un evento sismico”. Perciò stanziava 950 milioni di vecchie lire, dando alla Regione 2 anni di tempo per “studi sismici di dettaglio al fine di pervenire alla stima del rischio sismico (massima accelerazione al substrato roccioso, calcolo dei relativi spettri di risposta, serie temporali di accelerazione, analisi di amplificazione locale) volta alla determinazione dei parametri sismici di progetto al piano campagna per le diverse zone omogenee dei siti industriali del Polo”. Cioè, geologi e ingegneri dovevano verificare puntualmente come stessero effettivamente le cose, ma la mappa sismica restava comunque sotto la soglia di pericolo massimo. Uno dei tanti giochi di prestigio sulla testa delle popolazioni dell’hinterland, dove la realtà dei rischi è sempre superata dalla “fantasia” delle carte.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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