Migranti e barcone, Di Pietro avverte Di Maio: non sono pecora belante ERROR404.ONLINE di Massimo Ciccarello Scritto venerdì, 5 Luglio, 2019 04:02 Ultimo aggiornamento martedì, 2 Marzo, 2021 21:17 AUGUSTA – Il “Giardino della memoria” non si farà più nella chiesa all’aperto del Monte. Lo ha confermato la sindaca Cettina Di Pietro, intervenendo nella seduta consiliare del 4 luglio. Il memoriale con il barcone della morte avrà una diversa collocazione nel territorio comunale di Augusta. Ma la nuova sistemazione, ha fatto sapere la grillina, “verrà comunicata successivamente”. Ufficialmente, quando gli atti propedeutici “arriveranno a conclusione”. Sostanzialmente, appena l’amministrazione 5 Stelle individuerà il momento politicamente più opportuno. Riservandosi un colpo a sorpresa, come quello di installarlo al porto commerciale. Dove la stessa Autorità portuale si farebbe carico delle spese. Contatti fra Comune e Adsp per la sede a San Domenico. I contatti fra Comune e Adsp si sono fatti più intensi negli ultimi mesi. Quando il presidente Andrea Annunziata ha chiesto uno spazio di rappresentanza all’interno del Palazzo di città. Ottenendo come controproposta la concessione di un’ala nel convento di San Domenico, se le floride casse portuali si faranno carico di completarne i restauri. Tecnici della Port authority sono già stati incaricati di valutare i costi complessivi. E nel pacchetto di “collaborazione” fra i due enti potrebbe rientrare anche il Giardino della memoria, a cura e spese dell’Autorità di sistema. Il Giardino della memoria si farà al posto dell’hotspot? L’area del vecchio hotspot a Punta Cugno.Copertina, il senatore Pisani ascolta la sindaca Di Pietro che si smarca dal governo. L’area prescelta per ricordare le tragedie della migrazione potrebbe essere la stessa dove, per anni, è stata allestita la tendopoli di accoglienza agli sbarchi. E dove era prevista la costruzione del più grande hotspot italiano, prima che la politica dei porti chiusi ne cancellasse la realizzazione. Il piazzale è sostanzialmente in disuso da quando il governo ha cancellato Augusta dalla rotta delle Ong. Col relitto in cui hanno trovato la morte oltre 700 migranti, tornerebbe a rappresentare il luogo simbolo dove migliaia di disperati hanno trovato la fine di un dramma e l’inizio di una speranza. Schermi contesta la collocazione del barcone a Venezia. “Quel barcone per me è una bara“, ha detto Di Pietro ai consiglieri. Eppure lo scorso aprile non ha esitato a concederla per un anno allo svizzero-islandese Christoph Buchel, grazie al “tramite di una giornalista di Repubblica”. Allo scopo di esporla come “arte concettuale” alla Biennale di Venezia.“Dove si trova davanti a un bar, senza nulla che ne ricordi il significato, né il ruolo svolto da Augusta nell’accoglienza”, ha fatto notare Giuseppe Schemi. il barcone in mostra a Venezia col titolo “Barca nostra”.(foto sopra e sotto tratte dal profilo Fb del giornalista Youssef Ouled) Relitto parcheggiato sul molo senza alcun cenno storico. E’ stato proprio il suo ex vicesindaco, ora consigliere con Diem25, a costringere la sindaca a riferire in aula. L’interrogazione chiedeva conto del destino riservato a quel peschereccio fatiscente, affondato il 18 aprile 2015 e recuperato un anno con una spesa di 10 milioni di euro. Ceduto dalla Marina al Comune, e quasi contemporaneamente consegnato all’artista per il progetto “Barca nostra”. Che sostanzialmente si è ridotto a un trasloco sul pontile davanti l’antico arsenale della repubblica marinara, dove resta parcheggiato in secca. Senza nemmeno un cartello che spieghi quale storia terribile abbia, né il ruolo svolto dalla città che l’ha prestato. La sindaca: effetto voluto per indurre a informarsi. “Secondo quanto mi ha spiegato l’artista, che in quanto tale segue logiche diverse da quelle comuni, il barcone deve incuriosire il visitatore e spingerlo a documentarsi”, racconta Di Pietro ai consiglieri. Citando persino il New York Times, che grazie a questa trovata si sarebbe occupato del ruolo di Augusta nell’accoglienza. In realtà il quotidiano della Grande Mela ha citato solo per inciso la città, come sede del Comitato 18 Aprile che ha promosso il Giardino della memoria. E lo ha fatto in articolo del 6 maggio, dove l’efficiente ufficio stampa dell’artista riusciva a fare promuovere l’installazione prima della sua inaugurazione. Ma anche il New York times stronca la scelta: indecente. A quel reportage di Elisabetta Povoledo, il Nyt ne ha poi fatto seguire un altro il 20 maggio. Lo firma Jason Farago, e fa una recensione critica dell’edizione 58 della mostra d’arte. Quando tratta di “Barca nostra”, le sue parole sembrano riecheggiare gli stessi concetti espressi in aula da Schermi. “Anche contemplare la sua forza come un’opera d’arte è indecente”, scrive il critico del giornale Usa. Da cimitero sottomarino a sfondo per i selfie naif. E’ meno aulico, ma indubbiamente più incisivo, il commento apparso sul profilo social di Youssef M. Ouled . Il giornalista di origini marocchine, collaboratore di “Es Racismo“, pubblica alcune foto del visitatore-tipo davanti il barcone. E scrive:“Non c’è migliore immagine di questa che mostra ciò che l’Europa è e ciò che l’Europa fa ai nostri fratelli migranti. Nel 2015 questa barca è affondata con 800 migranti a bordo. Il suo naufragio è stato convertito in un’esposizione a Venezia. Le nostre morti, il loro ozio”. Sotto c’è l’immagine dei tavolini affollati da chi aspetta l’aperitivo, con il barcone da sfondo. E quella di un paffuto visitatore in occhiali da sole e Coca cola in mano, che sorridente si scatta un selfie davanti il relitto-installazione. Scintille con Triberio quando ricorda le contraddizioni. Questa “provocazione artistica” forse smuove altre coscienze di quelle che appaiono nelle istantanee. Ma certamente indigna molti di coloro che alla Biennale non sono andati, anche se non rientrano nella categoria di coloro che potevano essere le possibili vittime. Di Pietro ha cercato di negare un effetto profanazione. Ma lei stessa non ha resistito alla tentazione di un autoscatto davanti il relitto, insieme all’assessora Giusi Sirena, quando sono state invitate all’inaugurazione della Biennale. Giancarlo Triberio quella foto ricordo gliel’ha rinfacciata in aula, insieme alle tante ambiguità della grillina sulla questione migranti. Dal silenzio sulla Sea watch davanti il porto chiuso di Augusta, quando gli altri sindaci della provincia scendevano in strada dietro lo striscione “Scendeteli”. Alla fiaccolata “Restiamo umani” sul sagrato della Matrice, che la sindaca ha seguito trincerata dietro i vetri del suo ufficio a Palazzo di città. L’assessora Sirena e Di Pietro in posa davanti il barcone dopo l’inaugurazione della Biennale.(foto tratta dalla pagina Fb della sindaca) Pathos sugli sbarchi e amnesia sullo sciopero della fame. Di Pietro ha reagito male a quel promemoria del capogruppo del Centrosinistra. Aveva infatti appena cercato di svicolare alle questioni etico-politiche sollevate da Schermi, profondendosi in un accorato “amarcord” sull’emergenza sbarchi vissuta in prima persona quando è diventata sindaco. Una narrazione carica di pathos, dalla quale aveva opportunamente omesso la minaccia di sciopero della fame contro l’immigrazione incontrollata dei minori. Il nuovo slalom 5 Stelle: porti chiusi e accoglienza. All’iniziativa “pannelliana” dell’emergente sindaca augustana aveva dato ampio risalto persino il Blog di Grillo, organo ufficiale del Movimento e termometro delle carriere 5 Stelle. Quel post di consacrazione nell’olimpo pentastellato ora è sparito, come tutto quanto è stato pubblicato prima che si insediasse il governo gialloverde. Non sono scomparse invece dalla memoria collettiva le tante prese di posizione venate di xenofobia, che pure nel dibattito sono affiorate dai banchi della maggioranza. Nonostante le linee-guida della Casaleggio cerchino adesso di dare ai grillini la divisa del poliziotto buono, che si contrappone al quella del cattivo col distintivo Lega, le vecchie idee non si camuffano così facilmente dall’oggi al domani. Beneventano: “fascista” l’attacco di Fichera a Sea watch. Lucia Fichera, consigliera 5 Stelle “compatisce” i migranti ma stronca le Ong. Così è accaduto che alla macedonia “Italia accogliente ma coi porti chiusi”, dove“non è vero che i migranti muoiono in mare”, a Lucia Fichera è scappato pure di dire che la “pseudo-capitana della Sea watch stava facendo morire servitori dello Stato”. Sfornita delle finezze dialettiche dell’avvocata Di Pietro per barcamenarsi fra vecchie idee e nuovi indirizzi politici, il confuso e ambivalente intervento della consigliera grillina si è preso un istintivo giudizio politico di “fascista” dal solitamente compassato Alfredo Beneventano. Ne è venuta fuori una bagarre verbale, rientrata dopo che il consigliere d’opposizione ha lasciato i lavori. Duri con le Ong? “Colpa del lassismo precedente”. Anche Di Pietro non è arrivata alla fine. Ma prima di andarsene, ha riservato a Triberio una carrettata di aspre polemiche sull’operato ambiguo “del suo governo Pd“. Cercando di far passare il messaggio che sulla politica muscolare dell’attuale governo è responsabile il governo Renzi, “che si prendeva i migranti per far chiudere un occhio sui conti pubblici”. I porti chiusi di oggi per colpa dell’accoglienza pregressa. Col corollario che le vecchi politiche migratorie hanno portato l’Italia del #cambiamento a sfiorare le misure lacrime e sangue adottate con la Grecia. La seduta a San Biagio ha riservato anche questa inedita versione, riveduta e corretta, del collaudato “colpa delle amministrazioni precedenti”. “Non sono una pecora belante”, Di Pietro avverte il capo. Ma la vera novità è stato l’insistere della grillina Di Pietro intorno al fatto di “non essere diretta con l’auricolare”, che “non è una pecora belante”, che il suo sogno è mettere a “ingresso paese il cartello Augusta città dell’accoglienza“. A chi è stato mandato il messaggio, del quale dovrà probabilmente farsi latore il senatore Pino Pisani che le stava accanto, sembra abbastanza chiaro: il vicepremier e capo politico M5s Luigi Di Maio. Non altrettanto chiaro è cosa abbia scatenato questa “umanitaria” proclamazione di indipendenza . il post del giornalista marocchino Ouled.