Tu sei qui
Home > ERROR404.ONLINE > Bartolo ad Augusta porta le storie di un mare non più “nostro”

Bartolo ad Augusta porta le storie di un mare non più “nostro”

Ultimo aggiornamento mercoledì, 3 Marzo, 2021   00:26

AUGUSTA – Arriva da Lampedusa e porta le storie del “nostro mare”. Quando Pietro Bartolo approda ad Augusta, l’8 maggio, il libeccio sferza la città come a prepararne l’arrivo. E appena si presenta alla porta della fondazione Giuseppe Catalano, in via Epicarmo, questo vento da sud-ovest sembra riempirsi improvvisamente di tutte le 350 mila voci ascoltate dal medico dei migranti. In quell’isola piantata come un faro di speranza davanti le coste dell’Africa, “da 28 anni li accolgo e li assisto; e forse sono il dottore che al mondo ha effettuato più visite cadaveriche”.

Si presenta così alla ventina di famiglie impegnate nell’accoglienza, che si sono radunate per ascoltarlo. Qualche frammento di quella tragedia che si consuma ininterrottamente davanti le coste siciliane, l’hanno ascoltato pure loro. Direttamente dagli sguardi dei protagonisti con la pelle diversa che hanno accolto in casa. Però sentire dall’ospite quanta bestiale crudeltà un essere umano può infliggere a un altro essere umano, fa ammutolire anche i più “assuefatti”. Come se soltanto col silenzio più profondo, quasi sacrale, si potesse lanciare l’urlo più forte.

Sono racconti di inenarrabile efferatezza, raccolti nell’ambulatorio medico di una frontiera dove ancora vengono sbarcate le vittime dell’orrore, che la politica della “pacchia finita” vuole tenere lontana dalle telecamere. Ad ascoltarli ci sono anche due ragazzi che ce l’hanno fatta a sopravvivere. Alla fine accetteranno persino di farsi fotografare per la stampa, concessione rara per chi si è lasciato dietro molti familiari e molte storie. Ma in questo incontro organizzato dal Collettivo Antigone e dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione col consigliere comunale Giancarlo Triberio e il deputato regionale Giovanni Cafeo, pure loro ascoltano immobili vicende che risvegliano incubi non ancora sopiti. E mai forse lo saranno.

Come quello di un bimbo di 4 anni che si prendeva scrupolosamente cura della mamma, paralizzata dalla vita in giù per le innumerevoli violenze sessuali subite. Aggrediva chiunque le si avvicinasse, perciò per essere pulito e rivestito è stato portato in un’altra stanza. Lì si è scoperto che era una femminuccia e nella vagina nascondeva un involto con un po’ di denaro, tutti i loro averi. È stata portata dove sono conservati i giocattoli arrivati in dono da mezzo mondo, per regalarle un peluche. L’ha rifiutato, perché la bambina in lei era sparita per sempre”.

Bartolo non si ferma un attimo. Vuole ricordare a “gente senza cuore, senza valori, senza sentimenti, che pensano solo al potere”, che quando prendono decisioni sui disperati lo fanno sulla loro pelle. Letteralmente. Perché uno dei “giochi” preferiti degli aguzzini nei campi di concentramento libici, è quello di far diventare “bianchi” i migranti provenienti dall’Africa nera. “Ne abbiamo salvato uno col braccio scarnificato, non ci siamo riusciti col fratello a cui avevano strappato l’epidermide da tutto il corpo”.

Valerio ha 10 anni e per essere bianco non ha dovuto subire nessuna tortura, perché ha avuto in sorte di nascere alcune centinaia di chilometri più a Nord. Però già è pienamente consapevole su cosa accade fuori dalla fortezza Europa. È questo che spiega lo scolaro nel suo discorso di saluto a un medico, che porta nei tratti e nei modi tutti i popoli che si incrociano nel Mediterraneo. “Un mare di vita che è diventato un cimitero, con i suoi 40 mila morti stimati. Un mare che per i lampedusani è tutto e in cui si ritrovano tutti”, con i cognomi che richiamano genti greche, arabe, spagnole. Un condensato della Sicilia ancora più concentrato, come soltanto vento, sole e mare implacabili possono fare.

Un mare che Pietro Bartolo si porta dentro. Lo aspettano alla sede Pd per un rituale incontro elettorale insieme all’eurodeputata Caterina Chinnici. Li fa aspettare. Prima vengono le famiglie che accoglie la gente arrivata dal mare. La sua è una famiglia di pescatori. E come tutte quelle che vivono del mare e sul mare, con tutti coloro che hanno a che fare col mare si sentono legati da un rapporto di fratellanza. Lui stesso è stato marinaio ed è stato naufrago. A 17 anni è caduto in acqua dal natante dov’era imbarcato. Ci hanno messo 4 ore per ritrovarlo. “Aspettavo la morte, per questo so cosa pensa ognuno di quelli che viene recuperato”. Era pieno agosto, ma lo hanno ripescato intirizzito. “Non ho parlato per un anno, per questo ora parlo così tanto”. E a tutti quelli del “prima qualcun altro” non resta che ascoltare e imparare.

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

Lascia un commento:

Top