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Messe ancora negate, la resistenza della Chiesa al Monte di Augusta

Ultimo aggiornamento mercoledì, 3 Marzo, 2021   13:44

AUGUSTA – La Fede ai tempi del Coronavirus è una borsa con un po’ di spesa della Caritas, che un immigrato con moglie e figli da sfamare divide spontaneamente col dirimpettaio africano che non ha proprio nulla da mangiare“E quel cingalese dall’animo così nobile non era nemmeno un frequentatore della parrocchia, rivela don Giuseppe Mazzotta. Il parroco di San Giuseppe Innografo racconta le tante storie di una comunità allontanata “a forza” dai sacramenti celebrati, quando ha appena finito di officiare la messa vespertina. Dal momento in cui il Dpcm ha proibito anche le funzioni religiose, il sacerdote che si occupa delle anime residenti al Monte va avanti a forza di dirette Facebook“Un sacrificio necessario, che paradossalmente ha rinforzato i legami comunitari anziché affievolirli”, dice il prete dell’ultima parrocchia istituita ad Augusta. Quando pronuncia il suo “andate in pace” guardando dritto nel telefonino, quasi ignorando le due suore che assistono alla cerimonia religiosa insieme al cronista, non si è ancora spento l’eco delle polemiche partite dalla Conferenza episcopale italiana. Quando ha visto escludere dalla fase 2 le celebrazioni in presenza di fedeli, equiparando le assemblee eucaristiche alle sale d’aspetto di estetiste e parrucchieri.

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Don Mazzotta: se rispettiamo distanze, che problema c’è?

“In effetti non capisco che problemi possano portare le messe, se si rispettano le distanze e tutto il resto. Sarà responsabilità del parroco un’osservanza rigorosa, come atto d’amore per tutti, non possiamo giocare sulla pelle delle persone”, commenta don Mazzotta. Le funzioni religiose non sono uno spettacolo teatrale, né il cristianesimo è una religione di tipo individuale-meditativo. La “Ecclesia” è fondamentalmente la comunità dei fedeli riuniti intorno alla celebrazione dell’Eucaristia, e “spezzare il pane insieme è trovare le motivazioni per la solidarietà“, considera il parroco. Sottolineando che la messa comunitaria è anche un bene per la società“, perché raccoglie tutte le tensioni che la attraversano e le canalizzano verso valori positivi“Ho visto poveri occuparsi di altri poveri“, testimonia il prete. Eppure di ragioni per occuparsi d’altro, anziché aiutare l’altro, ne avrebbero in abbondanza.

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“Preoccupazioni per il futuro, molti senza più lavoro”.

“C’è molta preoccupazione per il futuro, perché tanti che andavano avanti alla giornata sanno che non avranno più da dove ripartire“, osserva ancora don MazzottaSe l’Istat vuole avere una radiografia reale del Paese deve andare nelle parrocchie, a guardare “le file sempre più numerose, caotiche e disordinate quando si distribuiscono i viveri della Caritas“. Nelle chiese non fanno le conferenze stampa su buoni pasto che per molti sono ancora fantomatici: i pasti li danno e basta. Insieme a una parola di conforto, che è molto più importante di quanto si creda. “Le messe quotidiane in streaming sono molto seguite, forse più di prima. Si capisce quali sono le esigenze più profonde, si guarda maggiormente all’essenziale. In un certo senso, quello che il percorso di fede ha perso in quantità lo ha guadagnato in qualità. L’incertezza non ha affatto allontanato, anzi i legami si sono rafforzati con le privazioni”. Anche se “l’esigenza di essere l’uno per l’altro ha trasformato la frequentazione in comunione spirituale“, è chiaro che ancora a lungo non si possono mettere le chiese in coda alle riaperture. Non solo perché comincia a suonare sospetto questo “diritto alla salute” interpretato da un gruppo ristretto al potere, in un modo che sostanzialmente continua a prevaricare altre libertà fondamentali come quella di culto e di riunione. Ma anche perché senza la manutenzione spirituale alla comunità eucaristica, il “sistema parrocchia” non può reggere a lungo nella sua funzione di supplenza territoriale alle carenze di uno Stato disorganizzato e assente.

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Nella chiesa di oggi “impossibile fare catechismo online”.

“La mancanza delle persone si sente”, dice suor Noemia. La vocazione l’ha portata dal Paranà brasiliano fino a questa parrocchia augustana, dove le favelas sono “invisibili” ma altrettanto reali. Le vede ogni giorno negli occhi dei minori che assiste insieme a una consorella, senza più il supporto di una comunità che non può più frequentare i locali parrocchiali. “Abbiamo raddoppiato l’impegno, ma ogni giorno è una sfida. Stiamo sperimentando la fatica di stare insieme”. Nel faticoso percorso di integrazione interrotto coi ragazzi, pesa la distanza dai coetanei. Il catechismo è stato interrotto con il lockdown“, e a portarlo avanti via Facebook non ci pensano nemmeno. “Online è difficile”, cerca di far capire il parroco, a chi ricorda solo una sequenza interminabile di vizi e virtù inculcati dalle Orsoline agli alunni degli anni Sessanta. Nella Chiesa di Papa Francesco, invece, si insegna a diventare buoni cattolici imparando a essere “universali“. Sono concetti e valori che si trasmettono comunitariamente, soprattutto con l’esempio tangibile del catechista. I social servono solo “a restare in contatto con i ragazzi, magari attraverso qualche attività a distanza; ma sono disorientati e le lezioni via web li assorbono molto”.

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“Saltano” le lezioni sulla ricchezza della solidarietà.

C’è una generazione che sta perdendo la residua capacità di formarsi attraverso la relazione diretta con maestri e compagni reali, anziché coi loro avatar virtuali. Senza scomodare la simbologia platonica delle ombre proiettate dentro la caverna, scambiate per realtà dagli uomini incatenati all’interno, l’educazione a esclusivo mezzo web somiglia ai polli in batteria che ricevono il mangime selezionato dal distributore centralizzato. Dallo schermo di un pc difficilmente potranno apprendere davvero la grande lezione costituita dalla famiglia egiziana scampata alla traversata del Mediterraneo, che da anni la parrocchia ospita nei suoi locali. Non sarà la stessa cosa sentire “a distanza” la storia dei suoi due bimbi che i genitori hanno fatto uscire dall’oblò, mentre loro restavano nella stiva che imbarcava acqua. Ascoltata via web sembrerà solo una vicenda romanzesca il miracoloso ritrovamento grazie a una volontaria, particolarmente sveglia nel notare il pianto disperato che un bambino può riservare solo a un estraneo quando se lo sta portando via per mano.

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“C’è che chi ha scelto il martirio per celebrare messa”.

Una parrocchia non è un circolo culturale-ricreativo, o un’associazione del volontariato dopolavorista. Lo è anche, in parte. Il cuore è una comunità, per dirla evangelicamente, in cui si crede davvero che “dove due o più sono riuniti nel mio Nome, io sono in mezzo a loro”. E la celebrazione eucaristica è qualcosa di radicalmente diverso da una simbolica commemorazione del fondatore. Per poter consacrare il pane e il vino “c’è chi ha subito il martirio”. Don Mazzotta ricorda i 49 martiri di Abitina, città dell’Africa romana, che avevano disubbidito a un editto dell’imperatore Diocleziano dove si vietava ai cristiani di riunirsi per le loro celebrazioni religiose. Nonostante le torture, non si pentironoSine Dominucus non possumus, dissero al processo: non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore“.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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