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Augusta, don Prisutto all’ultima piazza da arciprete: non ho molto da dire

Ultimo aggiornamento giovedì, 29 Luglio, 2021   12:05

AUGUSTA – “Non ho molto da dire”. Con questo significativo incipit, don Palmiro Prisutto ha iniziato il suo simbolico commiato ai fedeli. Il 20 luglio scadeva il termine concesso dal tribunale ecclesiastico per dimettersi da arciprete di Augusta. Così circa duecento fra attivisti ambientalisti e parrocchiani si sono dati appuntamento in piazza Duomo per manifestargli solidarietà, in quella che immaginavano sarebbe stata la sua ultima messa vespertina. La vicenda della rimozione, invece, pare che avrà una coda. Sembra infatti che dalla Curia di Siracusa siano stati accordati al sacerdote ancora un paio di giorni, prima di rimuoverlo d’autorità come parroco alla Matrice, in attesa di un suo spontaneo passo indietro che eviterebbe ulteriori lacerazioni nel mondo ecclesiale. In ogni caso sarebbe già pronto l'”amministratore” incaricato di sostituirlo nella conduzione della parrocchia, dedicata a Maria Assunta ma da cui dipendono direttamente le comunità legate alle chiese di San Domenico, del Carmine, dell’Annunziata, delle Grazie, di San Giuseppe e delle Anime Sante. Si tratta di confraternite e terz’ordini cui l’arcivescovado ha assegnato da tempo un officiante diverso da quello “naturale”, perciò viene dato per scontato che il facente funzioni alla Chiesa Madre arriverà da fuori città.

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Prega per tutti ma poi chiede “perdono” per la vanità di chi “usa le chiesa per conferenze e concerti”.

sopra, copertina e sotto: don Palmiro Prisutto.

“Preghiamo per il papa, per il vescovo, per i sacerdoti e tutti coloro che hanno il delicato compito di guidare le comunità cristiane incontro al Signore“, ha esortato padre Prisutto, alla fine di una funzione più affollata del solito. Cui è seguita una breve adorazione eucaristica, nel corso della quale le cose che don Palmiro doveva dire, le ha espresse sotto forma di preghiera penitenziale. Fra i tanti “perdonaci” rivolti all’ostia consacrata, non sono mancati accenni a chi “cerca la prima fila” in chiesa per ragioni di status sociale. A chi “frequenta le messe come una sfida”, allo scopo di contarsi fra comunità rivali. A chi “concede le chiese per conferenze di associazioni“, che trattano argomenti diversi dalla predicazione evangelica. Fra i peccati per cui chiedere indulgenza c’è persino quello di aver “fatto svolgere concertidavanti l’altare, “per strappare l’applauso personale”. Tutti riferimenti larvati alle attività culturali della Società augustana di storia patria. Che si era dovuta “rifugiare” alle Anime Sante, per le difficoltà di ottenere gli auditorium comunali durante l’amministrazione 5 stelle.

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Ma la Matrice aveva già ospitato la Sinfonica siciliana e il jazz con Roy Paci.

La piazza radunata per don prisutto.

Le iniziative della Sasp tuttavia erano infarcite di studi sul patrimonio ecclesiastico cittadino, oltre che sui tradizionali riti devozionali. Talvolta sono state accompagnate da performance musicali a tema, come le antiche nenie natalizie. Fra l’altro, in un momento storico dove erano le uniche iniziative artistiche ad animare il Natale augustano. Inoltre proprio la Matrice è stata in passato teatro di veri e propri concerti, in una città senza auditorium. Memorabile è rimasto quello dell’Orchestra sinfonica siciliana, nell’esecuzione delle Quattro stagioni di Antonio Vivaldi. Negli anni Novanta, le composizioni classiche del “prete rosso” hanno persino lasciato il posto al jazz. E in qualcuna di quelle Big band piene di maestri del Conservatorio, che molti hanno conosciuto gli eccezionali assolo di un trombettista che sfilava con la banda musicale cittadina, poi diventato artista di fama internazionale col nome di Roy Paci. Più che un “perdono” verso la cultura e la musica fuori dai canoni liturgici, quello evocato da don Prisutto è parso piuttosto l’ultimo fendente ad alcune confraternite, di un duello personale dove ne sono volati fin troppi. Qualche sciabolata però è finito anche in tribunale, andando a “sfregiare” persino l’arcivescovado. La cui reazione, per certi versi persino tardiva, ha riempito piazza Duomo con amareggiati ambientalisti solidali col prete-simbolo.

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L’ultimo appello di Stop veleni al Papa: don Palmiro resti a celebrare la messa per i morti di cancro.

La “piazza” dedicata ai morti per cancro all’ingresso della Matrice.

“Le chiediamo con il cuore in mano di voler intercedere in questa difficile e dolorosa situazione”, si è appellata Stop veleni, in una lettera a Papa Francesco. Il Comitato che si è reso protagonista con le sue marce contro l’inquinamento, germinò proprio dal gruppo di ecologisti raccoltisi intorno don Prisutto. Se ora si fa sentire pure su una vicenda ecclesiastica, è “affinché possa rimanere in Chiesa Madre e continuare a portare avanti la sua missione pastorale, celebrando il 28 di ogni mese la Messa per la Vita in ricordo delle vittime del cancro e per pregare per chi sta affrontando la malattia”. Questa funzione religiosa all’inizio fu molto seguita, poi ad assistervi sono rimasti solo gli abituali frequentatori della Matrice. Buona parte dei vecchi compagni di strada sono però tornati davanti la Chiesa Madre, per difendere sia la celebrazione che il celebrante, entrambi fortemente simbolici. “Magari non riusciremo a farlo rimanere o a evitargli il processo canonico, ma sicuramente con la nostra presenza riusciremo a dirgli che gli siamo accanto”, scriveva sui social la portavoce Cinzia Di Modica, nell’annunciare la manifestazione silenziosa. 

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Oltre 2 mila firme per la petizione in chiesa, quella online sottoscritta anche dalla Lombardia.

Il “grazie” a un sacerdote che non si è risparmiato nell’impegno civile ha preso sostanza nelle oltre 2 mila firma sotto una petizione. A cui si aggiungono le oltre 3.500 raccolte online su Change.org, molte arrivate anche da fuori città. “Perché me lo ha detto di questa petizione la sindaca di Porto Empedocle e io sono una 5 Stelle come lei, quindi la appoggio”, ha motivato Renata Polesel, già candidata grillina alle regionali 2018 in Lombardia. Un irrituale applauso ha salutato padre Prisutto in chiesa, alla fine della celebrazione. Un altro, più congruo per il contesto, lo ha accolto quando si è affacciato in piazza. Dove oltre una buona metà dei sostenitori lo ha atteso tutto il tempo necessario a fargli finire messa. Confermando quanto evidenziato su Facebook dalla stessa Di Modica: chi si mobilitava “ha deciso di farlo per i più svariati motivi che non sempre sono legati alla fede, dato che per esempio molti sono anche atei“. Quando il prete che piace agli anticlericali si è presentato sul sagrato, lo ha accolto una coppia di striscioni che rappresentavano le due anime del suo popolo. Uno, recitava il devoto “W i sacerdoti W don Palmiro”, con qualche evidente aggiunta dell’ultimo momento. L’altro, incitava un combattivo “Tutti na uci don Palmiro non si tocca”. Qualcuno si è staccato dal pubblico per fargli il segno della vittoria reso famoso da Winston Churchill. Un altro gli è andato accanto per gridare “vogliamo tutta la verità”, senza tuttavia suscitare reazione fra i presenti. Troppo intima l’atmosfera con il comune pastore, per rovinarla con esasperazioni complottistiche.

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La vittoria della piazza mobilitata nel 2016 contro la Curia sfruttando la tempesta populista.

L’appaluso a don Prisutto.

D’altronde, la vicenda che ha portato al clamoroso processo canonico per don Prisutto è ampiamente nota in città. Già nel 2016 la piazza si era mobilitata quando l’arcivescovo dell’epoca, Salvatore Pappalardo, aveva chiesto le dimissioni a don Prisutto. Lo riteneva incompatibile in quel ruolo, dopo una sua denuncia penale ad alcuni confrati della parrocchia e a un paio di giornalisti locali. Riguardava un manifesto che lo accusava su un terreno affittato all’insaputa della confraternita, che se ne riteneva proprietaria per lascito ereditario. Eppure proprio quel prelato lo aveva voluto come arciprete nel 2013, per risollevare luna chiesa locale travolta dallo scandalo causato dal predecessore, arrestato per molestie sessuali a una parrocchiana e poi condannato pure in Cassazione. La protesta a sostegno di padre Palmiro, cinque anni fa raggiunse lo scopo. Augusta era nel pieno della tempesta populista, indirizzata a soffiare contro ogni “casta” o presunta tale. Sulla Curia vennero scatenate pure quelle bande organizzate di profili falsi, che imperversavano impunite sui social alimentando l’odio verso gli avversari di turno con minacce e calunnie.

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Il populismo svuotato la chiesa di praticanti, il suo fallimento ha svuotato i comitati di protesta.

La Chiesa fondata sulla croce ed edificata col sangue dei martiri, nella sua bimillenaria saggezza quella volta fece un passo indietro. Poi è cambiato il vento del favore popolare, quando ci si è resi conto che gli interpreti del “cambiamento” lo avevano declinato solo verso il basso. Diventando il tonno della scatoletta che volevano aprire, e per giunta di qualità scadente. La pandemia ha poi spazzato le ultime illusioni, portando il rigetto verso una sterile protesta infiltrata dalla politica delle carriere-lampo. L’arciprete di battaglia ha visto svuotarsi i comitati di lotta, parallelamente ai banchi di preghiera. Ma non ha capito che era il momento di cambiare approccio, anche sotto il profilo pastorale. A Francesco Lomanto ha opposto lo stesso orgoglioso rifiuto all’obbedienza riservato al predecessore. Con la differenza che stavolta aveva dietro solo pochi e “ininfluenti” reduci, mentre il nuovo arcivescovo non intendeva iniziare il suo primo porporato con una disubbidienza così platealmente esibita. Senza volere, sono stati proprio i sostenitori più infervorati a piantare i chiodi del diritto canonico sulla croce di don Prisutto. Quando hanno nuovamente sfidato con gran clamore la gerarchia, a un braccio di ferro che non si poteva mai più vincere in piazza. 

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Manifestazione muta a “dimostrare la riconoscenza per quello che ha fatto per la comunità”.

Cosa riserverà il futuro a padre Palmiro è negli imperscrutabili piani divini, e in quelli riservatissimi della Curia. Il tono dello scontro, alimentato da frange lasciate libere di fare e incoraggiate da post vittimistici del leader, potrebbe costare al parroco persino qualche altra imputazione canonica. Ma il tono composto e commosso dell’ultima mobilitazione, quella del simbolico arrivederci, dovrebbe suggerire all’arcivescovado provvedimenti che facciano intravedere la misericordia evangelica dietro la correzione dell’errore ecclesiastico. “Amiamo Augusta, la nostra città. Io l’ho fatto gratis“, ha scritto don Prisutto in uno dei suoi ultimi interventi social. Martedì sera a riconoscerglielo non sono moltissimi, ma dicono qualcosa le tante estrazioni religiose e i diversi colori politici. Del simbolico commiato Di Modica ne aveva infatti già annunciato il significato, quando scriveva che “soprattutto riusciremo a dimostrare la nostra riconoscenza per tutto quello che ha fatto per la nostra Comunità“.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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