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Augusta: puzze, diossina e Arpa senza fondi per riparare rete aria

AUGUSTA – Diossine su Augusta dopo l’incendio Ecomac? Non pervenute, “perché mancava la strumentazione adatta”. E quando è finalmente arrivata nella città più popolosa dell’hinterland industriale, l’aria era già la solita. Però a Priolo e Melilli, che per giunta stavano col vento a favore, “sono state registrate concentrazioni elevatissime“. Ma quando si chiede se la quantità rilevata lì è fra quelle in grado di provocare possibili tumori, a distanza di un arco di tempo anche breve, la risposta è che “dell’argomento Arpa non si occupa”. E la responsabile Anna Maria Abita “non ricorda” nemmeno se sono state superate le soglie massime, fissate dalla legge perché pericolose per la salute umana. Tuttavia dall’“incontro con la cittadinanza” sul tema Disturbo olfattivo e report sugli inquinanti monitorati”, organizzato da Stop veleni il 16 novembre al municipio, due notizie sono arrivate. La prima è che all’Agenzia regionale protezione ambiente “c’è grande difficoltà e incertezza” sui fondi per i monitoraggi, nonostante una nuova Seveso non sia ipotesi remota. L’altra notizia è la solita: sulla penetrante puzza che ha investito il centro abitato la sera del 15 novembre, “ancora nessun dato a disposizione del Comune sulla causa”. Lo ammette il sindaco Giuseppe Di Mare, 24 ore dopo l’allarme che intorno le 19 aveva intasato l’app Nose, e i gruppi Facebook. Le autorità sanitarie locali ufficialmente continuano a brancolare nel buio, anche dopo la “soffiata” arrivata nientemeno che da Bologna. Dove il Cnr ha studiato i venti sul Petrolchimico, e li ha interpolati con le segnalazioni arrivate dalle aree residenziali. L’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima ha così accertato che la brezza portatrice della “molestia” attraversava una precisa porzione di zona industriale. Nel cui percorso si trovavano la raffineria Sonatrach e lo stabilimento petrolchimico Sasol.

Puzza acre del 15 novembre: centraline rilevano idrogeno solforato, tipico della raffinazione.

da destra, in video Paolo Bonassoni, Lucia Basiricò, Anna Maria Abita, Giusi Nanè, Cinzia Di Modica.
copertina, l’incendio Ecomac.

Il professore Paolo Bonassoni, nella sua rivelazione in videocollegamento con tanto di grafico dell’Isac, non ha fatto cenno all’inceneritore Gespi contiguo agli impianti. Ma grazie al satellite ha individuato un piccolo incendio in corso nella campagne retrostanti, “anche se le dimensioni non sono compatibili con quei volumi” di puzze così diffusamente segnalate. A meno che non si trattava di qualche discarica abusiva, magari risalente all’epoca del far west ambientale. Contro l’ipotesi di un’altra Terra dei fuochi, molto più a sud di quella in Campania, si sono tuttavia pronunciati i sistemi di rilevamento mobili. Non riscontrano tutte le sostanze pericolose, o potenzialmente tali, ma l’idrogeno solforato si. E quello lo hanno trovato in quantità, dando certificazione scientifica a ciò che avvertiva ogni naso investito dal gas putrido“. Proprio in questo modo lo definisce l’Arpa della Toscana, la quale illustra che “in natura è presente nelle emissioni delle zone geotermiche e vulcaniche”. Ma dove non ci sono solfatare, e l’Etna non si può incolpare per distanza e direzione, allora c’è pure una “origine antropica: è un coprodotto indesiderato nei processi di produzione di carbon coke, di raffinazione del petrolio, di rifinitura di oli grezzi”.

Aerca Siracusa, meno sforamenti ma resta il nodo dei monitoraggi inadeguati.

L’Arpat nell’elenco aggiunge le lavorazioni “di cellulosa con metodo Kraft, di concia delle pelli (calcinaio e pickel), di fertilizzanti, di coloranti e pigmenti, di trattamento delle acque di scarico e di altri procedimenti industriali”. Ma inesistenti le cartiere e le concerie, con il depuratore a Punta Cugno ancora allo stato di progetto, il cerchio di chi nasconde la pistola fumante si restringe. Il sindaco, a margine dell’incontro pubblico, assicura che “abbiamo fatto tutte le richieste necessarie per saperlo”. Nell’attesa di una risposta da chi dovrebbe darle, e sorvolando sulla reale possibilità di ottenerle sul serio, nel salone comunale non resta che ascoltare i relatori sulla “qualità dell’aria nell’Area a elevato rischio di crisi ambientale“. Così come emerge dai grafici illustrati dall’ingegnera Lucia Basiricò insieme alla sua responsabile Arpa, nell’Aerca di Siracusa, Augusta, Melilli, Priolo, Floridia e Solarino, negli ultimi mesi si sono registrati risultati migliori rispetto lo stesso periodo degli anni precedenti. E’ una dettagliata relazione scientifica, che diventa sostanzialmente incomprensibile per il pubblico dei non addetti ai lavori, arrivato o collegato in streaming per avere risposte concrete. Il quale si spazientisce, nonostante qualcuna in effetti gliene arrivi, anche se dietro giri di parole. I dirigenti regionali costretti giocoforza a pesarle, in sostanza fanno capire di essere pochi in organico e con poche risorse finanziare, tagliati l’uno e le altre in parallelo alle richieste delle popolazioni di aumentare i monitoraggi.

Ardita, Arpa Sicilia: incertezza sui fondi, dubbi su possibilità di fare manutenzione centraline.

Chi pensava che la politica fosse sorda alle richieste delle popolazioni nella zona industriale, scopre che invece le sente benissimo. E agisce di conseguenza, ma in direzione contraria a quello che chiedono i comitati come Stop veleni, rappresentato al tavolo relatori da Cinzia Di Modica e Giusi Nanè. Perché più si alzano le proteste per maggiori controlli, più il suo braccino diventa corto. Arpa Sicilia conta a oggi meno di 300 unità di personale: Arpa Lombardia, che ha più o meno la stessa superficie, ne ha più di 900″. Ardita non si ferma qui. “Quando abbiamo cominciato il progetto Nose, avevamo a disposizione 3 unità con contratto a tempo determinato: oggi ne ho zero”. Puzze industriali, picchi di mortalità per cancro, patologie tumorali, e adesso anche autismo, hanno un trend ascendente sotto gli occhi di tutti. In attesa che la scienza trovi la risposta da premio Nobel, servirebbe almeno un massiccio aumento dei monitoraggi. E delle dotazioni ad Arpa, che deve gestirli. Invece la responsabile è costretta ad ammettere che “cerchiamo di tenere in piedi tutto con salti mortali, perché siamo veramente pochi”. Riguardo ai fondi, non usa giri di parole. La Regione che largheggia per concerti, feste e sagre paesane, quando si tratta di monitorare l’inquinamento industriale nel Petrolchimico tira al risparmio. “Dovremmo avere 24 milioni dalla Sanità e 7 dal dipartimento regionale Ambiente: di questi 24 milioni ancora non siamo certi. Non solo, abbiamo anche dei dubbi sulla possibilità di indire una nuova gara per il servizio di manutenzione della rete aria“.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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