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“Augusta baia degli tsunami e faglia attiva dal Monte fino a Brucoli”

Ultimo aggiornamento sabato, 7 Giugno, 2025   22:14

AUGUSTA – Una città fra due porti, ma inerme se il mare diventa davvero “cattivo”. Con buona parte dell’abitato seduto ai bordi di un abisso geologico, pronto a muoversi e fratturarsi. Chi guarda il cielo a ovest pensando che il pericolo arrivi solo dalle ciminiere del Petrolchimico, farebbe bene a tenere d’occhio anche l’orizzonte marino a est, e a temere la terra sui cui tiene casa. Perché Augusta siede su una faglia attiva e capaceche la attraversa per chilometri, da Punta Izzo fino al golfo di Brucoli. Una frattura sotterranea, pronta a muoversi e persino alterare la superficie del terreno, che corre lungo la balza che separa il Monte dalle sottostanti contrade di campagna. E nemmeno la costa augustana offre sicurezza, perché di tanto in tanto ma da tempo immemore – almeno già da quello che fece scomparire la “Atlantide” di Santorini – viene investita dagli tsunami scatenati dai terremoti nel Mediterraneo. “Sento tanto parlare di Protezione civile e di Piano urbanistico generale, ma non sento parlare di studi geologici approfonditi nelle aree urbanizzate, mentre nella zona industriale non sono stati fatti nemmeno quelli di primo livello”. A mettere il dito nella piaga stavolta non è la politica d’opposizione, né il “solito” ambientalista refrattario al rilancio dell’orgoglio cittadino. E’ un geologo, si chiama Gino Romagnoli, e potrebbe limitarsi a godere le sfavillanti estati augustane quelle volte che torna a casa da un importante ente pubblico di ricerca. Ma non se la sente di fare finta di niente, dopo anni sul campo per il dottorato all’università di Catania e per il Cnr. Così ci mette la faccia e la testa, per sollevare il caso di una prevenzione fatta più per aggiustare le carte, che per minimizzare gli effetti delle catastrofi naturali. Che ci sono state in quantità, nella storia del territorio. 

Alle saline di Priolo trovati i sedimenti del maremoto di Santorini che originò il mito di Atlantide.

altezza e profondità delle onde dei maremoti storici
(tratto da Marine geology 2011)

I nonni di oggi ricordano ancora i racconti dei loro bisnonni, sul maremoto che nel 1908 investì Augusta dopo aver cancellato Messina. Sono invece gli archivi a ricordare che nel 1693 il mare si ritirò dal porto, poggiando sul fondo le galee dei cavalieri di Malta, tornando impetuoso fino a infrangersi sul convento domenicano. Mentre nel 1542 arrivò persino a invadere l’abitato dell’isola. Dove non arriva la memoria degli uomini e dei documenti, tocca alle antiche pietre il ricordo dell’onda gigante che periodicamente spazza uomini e cose. Come quella del 1169, che pure allora devastò il Messinese. Oppure quella del 365, partita da Creta dopo il terremoto più violento che il Mediterraneo ricordi. O quella abbattutasi sulla costa fra l’VIII e il VI secolo a.C., probabilmente quando Megara stava costruendo la colonia siciliana. Le analisi sui sedimenti non riescono a essere più precise nemmeno per quella arrivata fra il 2100 e il 1635 prima di Cristo, quando s’iniziava a usare il bronzo e gli Achei non erano ancora partiti per Troia. Il Golfo Megarese quindi conserva memoria persino della scomparsa di Atlantide, raccontata da Platone mille anni dopo la terrificante esplosione del vulcano Thera che cancellò la civiltà minoica, così splendida da sopravvivere nei secoli attraverso il mito orale. Perché nel sottosuolo alle saline di Priolo, documentate sin dal 1200 ma ritenute attive già in epoca greca, il maremoto partito intorno il 1600 avanti Cristo da Santorini ha lasciato depositi poco equivocabili. Li ha trovati quindici anni fa un pool di scienziati dell’Istituto nazionale di geofisica, dell’università di Catania e del Consiglio nazionale delle ricerche. Uno studio dalla conclusione perentoria: “Queste informazioni sono estremamente rilevanti per testare e limitare gli scenari di tsunami e la modellazione per le applicazioni di Protezione civile“.

Pool di scienziati: documentazione geologica unica, lunga 4000 anni, di molteplici tsunami.

i campioni di sedimenti degli antichi tsunami
(tratto da Marine geology 2010)

La raccomandazione degli esperti è stata prontamente recepita? Evidentemente no, visto che il Comune deve ancora affidare persino l’incarico, per aggiornare un Piano di protezione civile datato 1988. Dove necessariamente mancano quegli studi sul ricorrente pericolo tsunami, avviati solo nel nuovo millennio, in una zona che peraltro da quasi ottant’anni pullula di impianti petrolchimici a elevato rischio di incidente rilevante. I risultati sono stati pubblicati – in inglese – sulla rivista scientifica “Marine geology”. La prima volta nel 2010, in un articolo firmato da sette esperti di tutta Italia. Il titolo parla da solo:“Una documentazione geologica unica, lunga 4000 anni, di molteplici inondazioni da tsunami nella Baia di Augusta“. Una seconda pubblicazione scientifica, intitolata “possibili conferme di tsunami da uno studio integrato al largo della baia di Augusta”, li approfondisce nel 2011. A firmarla stavolta sono nove scienziati, fra cui Enzo Boschi, protagonista degli studi sugli effetti del sisma 1990. Utilizzando “immagini a raggi X, proprietà fisiche, datazione isotopica, tefrocronologia, granulometria e micropaleontologia”, hanno analizzato i sedimenti nell’attuale riserva naturalistica priolese e nella zona dell’ospedale Muscatello. I risultati hanno consentito di distinguere quelli lasciati dalle tempeste, da quelli portati dalle onde di maremoto. Certificando che questo territorio, insieme alla costa orientale della Sicilia, non deve guardarsi solo dalle scosse.

Romagnoli: la microzonazione dà risultati in contraddizione con effetti già riscontrati dopo sisma.

Gino Romagnoli.
copertina: la mappa della relazione geologica su Augusta.

Dopo le vittime del sisma a L’Aquila, il ministero della Protezione civile ha capito che Comuni e Regioni ci “giocano” troppo con la prevenzione, osservando la pianificazione urbanistica più con gli occhi degli speculatori che dei geologi. Così ha mobilitato gli scienziati che studiano la Terra e il suo passato, per arrivare nel 2016 alle linee guida per i territori storicamente soggetti a terremoti. Prescrive studi dettagliati di microzonazione sismica“, in grado di individuare dove c’è una pericolosa “faglia attiva e capace”. Cioè una spaccatura nel sottosuolo che “mostra evidenze di almeno una attivazione negli ultimi 40.000 anni”, ritenuta ancora in grado di muoversi “producendo una frattura/dislocazione del terreno”. Nel territorio comunale ne hanno trovate due. La più piccola è dove la spiaggia di Agnone si salda con l’altopiano di Castelluccio. “Il suolo del litorale è addirittura soggetto a liquefazione in caso di forte scossa”, spiega Romagnoli. Google maps restituisce una foto satellitare della zona ingolfata da villette. La “Fac” più grande corre lungo la scarpata del massiccio montuoso che parte dai lidi della Marina, sul golfo Xifonio, e finisce nelle acque brucolane antistanti la frazione turistica, all’altezza dell’ex Trotilon. La cartografia restituisce una fascia rossa di massima attenzione ampia 400 metri, ma si tratta solo di una scelta metodologica per avviare i primi studi. Individuata la faglia a rischio, infatti, si dovrebbe procedere con sondaggi più approfonditi nelle aree limitrofe. Nel 2021 il Comune ha compiuto quelli richiesti per il livello 1, e nel 2023 ha acquisito anche quelli del livello 3 necessari a proseguire col nuovo piano regolatore. “Ma non basta, perché i risultati nelle ex saline contraddicono l’effetto amplificazione che si è constatato nei palazzi fortemente danneggiati dal terremoto”, avverte ancora il ricercatore augustano.

Comune avvia la consultazione pubblica per il Pug senza un Programma per le zone instabili.

Le linee guida ministeriali per la pianificazione urbanistica sulle faglie attive.

La ricerca delle Facha uno scopo molto più concreto della pur importante conoscenza scientifica. Il ministero scrive infatti che “la pianificazione urbanistica e territoriale in zone interessate dalla presenza di faglie attive e capaci è chiamata a disciplinare gli usi del suolo e le previsioni di trasformazione urbana, tenendo conto della relazione tra la pericolosità sismica e i diversi contesti insediativi”. Per rendere ancora più chiaro il concetto, Roma dispone che gli “enti locali predispongono i Programmi zone instabili per le aree interessate da Fac”. Palermo è ancora più chiara. “Fornire un quadro conoscitivo sufficiente per illustrare le caratteristiche geologiche del territorio in esame e identificare le situazioni locali che presentino livelli di pericolosità geologica tali da poter influenzare, in modo significativo, le scelte degli strumenti di pianificazione”. Per questo, puntualizza Romagnoli, “trovandoci di fronte a microzone instabili la zona di attenzione va approfondita, per arrivare a zone di suscettibilità e di rispetto”. L’assessorato comunale alla Pianificazione ha aperto il 29 aprile scorso la consultazione pubblica “per raccogliere proposte, osservazioni, idee e suggerimenti che possano essere valutati in sede di redazione del Pug. L’avviso del Comune lo definisce “un percorso di innovazione urbanistica che, attraverso una visione moderna e integrata, pone al centro la qualità della vita, la tutela dell’ambiente, la valorizzazione del paesaggio, la rigenerazione urbana e il rilancio del tessuto produttivo e commerciale”. Non c’è un cenno sulla necessità che le proposte vanno integrate col nuovo Piano di protezione civile. Eppure le Condizioni limite per l’emergenzapreviste dal decreto regionale, devono necessariamente essere calate nella pianificazione urbanistica, se non altro perché prevedono le “connessioni” stradali. E gli ingorghi nelle rotatorie sulle vie di fuga, testimoniano la necessità di una integrazione. Così come gli edifici strategiciprevisti nelle “Cle”, da programmare laddove mancano. Nell’elenco attuale compare ancora un Palajonio che non c’è più, ed è tutto dire.

Autore

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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