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Giornata comunicazione sociale: Leone XIV nel solco di Bergoglio

SIRACUSA – In questo nostro tempo segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione, dove pochi centri di potere controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti, c’è bisogno del vostro impegno coraggioso nel mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo”. E’ il testamento che papa Francesco ha lasciato al mondo dell’informazione, per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2025. Il testo, datato 24 gennaio, è stato diffuso l’1 giugno dai canali del Vaticano, in occasione della ricorrenza numero 59. A istituirla è stato Paolo VI, nel 1967, su forte spinta del concilio Vaticano II. Che nella capillare diffusione di radio e televisione, aveva già intravisto la fonte di un radicale mutamento nelle relazioni sociali. Poi diventato trasformazione epocale con la diffusione di internet e l’esplosione dei social network, tanto che persino le democrazie più antiche o avanzate stanno adesso invertendo il loro percorso storico su libertà e inclusione. Il pontefice argentino, scomparso poche settimane dopo aver scritto il messaggio, appella i giornalisti per “cercare di praticare una comunicazione che sappia risanare le ferite della nostra umanità“. Li esorta a “seminare sempre speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto”. Li sprona a essere cronisti “disarmati” delle parole che prima dividono e poi fanno uccidere, e quindi “promotori di una comunicazione non ostile che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo”.

Ucsi, Di Salvo: messaggio di papa Francesco per LIX giornata mondiale é profeticamente attuale.

Se il papa sudamericano sostanzialmente si rivolge ai “grandi” comunicatori che raccontano ai popoli e influenzano i potenti, oppure viceversa come troppo spesso accade, per i cronisti locali non sono parole solo dirette ai colleghi con firme e stipendio di peso notevolmente maggiore. “In questo tempo di cambiamento, di fatti di cronaca che sconvolgono le nostre famiglie,  bisogna essere attivi e riflessivi nel nostro lavoro: raccontare con verità e per la verità”, dice Salvatore Di Salvo. Per questo sforzo nel raccontare la piccola comunità siciliana del Lentinese, con lo stesso impegno civile e sociale chiesto ai grandi media, tre anni fa il presidente Sergio Mattarella lo ha insignito del titolo di cavaliere della Repubblica. E ora, da segretario nazionale dell’Unione cattolica stampa italiana, dice che “rileggendo il messaggio di Francesco I per la giornata mondiale, si coglie un segnale profeticamente attuale: è necessario riscoprire il valore dell’essere operatori della comunicazione che credono ancora nella loro missione, e non accettano di divenire strumenti di un sistema che invita a mettere da parte (per calcoli di potere) la verità e la cura gli uni degli altri”. Il dirigente dell’Ucsi nota che il messaggio per la Giornata mondiale “era stato ripreso da Leone XIV in sintonia perfetta col predecessore, nella prima udienza pubblica concessa ai giornalisti, col suo ‘no alla guerra delle parole e delle immagini'”. Di Salvo commenta che “troppe volte si semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive”. Che ci “si serve di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare”. E “non porta mai buoni frutti ridurre la realtà a slogan. Vediamo tutti come – dai talk show ai social – rischi di prevalere il paradigma della contrapposizione, della manipolazione dell’opinione pubblica”.

Università di Messina, Pira: Prevost sin da subito si è mostrato figlio della globalizzazione.

sopra da sinistra: Franco Pira e Salvatore Di Salvo.
in copertina, il nuovo papa incontra la stampa internazionale
(foto tratta dalla pagina Facebook de L”Osservatore Romano).

Per gli studiosi di comunicazione, oggi è lo stesso pontefice che si fa veicolo del messaggio, oltrepassando la soglia del tempio e abbassando il pulpito all’altezza degli ascoltatori. Karol Wojtyla è stato il primo a diventare egli stesso segno del significato. E Jorge Bergoglio ha proseguito, accentuando la trasformazione del papato nel contenitore significante del significato contenuto. Ora c’è Leone XIV, che“in pochi minuti ha comunicato quello che è, e che vuole continuare a essere da Papa”. E’ l’analisi arrivata dal sociologo dei media, Francesco Pira, già dopo la prima apparizione dopo la fumata bianca.Robert Francis Prevost ha voluto subito comunicare, senza mezzi termini, che lavorerà per la pace, per l’unità della Chiesa, al fianco di chi ha bisogno. Ma lo farà nella tradizione dottrinaria, senza dimenticare il bisogno di innovazione già tracciato da papa Francesco”, spiega il cattedratico dell’università di Messina. Docente di comunicazione e giornalismo, da anni studia “dall’interno” dell’Ucsi la divulgazione della gerarchia cattolica contemporanea. Perciò, oltre “il nome scelto, già il primo saluto ‘la pace sia con voi’, insieme alle parole scandite e usate durante il suo primo discorso da Papa hanno delineato la sua volontà di restare missionario, di essere figlio della globalizzazione e del mondo”. I primi mesi sul trono di Pietro hanno poi confermato quel primo giudizio, poi sintetizzato nell’ormai celebre esortazione a “una comunicazione disarmata e disarmante, che “ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana“.

Il sociologo dei media vaticani: approccio comunicativo modulato ma deciso quando serve.

Sin dalla prima apparizione ai fedeli raccolti in piazza, fa notare Pira, l’ultimo successore di Pietro ha voluto dire “di essere cresciuto negli Stati Uniti– che l’aggressiva comunicazione trumpista ha trasformato oggi in sinonimo di opulenza rapace, ndr – “ma di aver compreso cosa è la povertà e quali sono i bisogni degli ultimi in Perù“. Così come ha fatto intuire “di conoscere bene i meandri del Vaticano“, cuore materiale del cattolicesimo, prima ancora che spirituale. Il professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, sottolinea che “già dalle prime battute ha fatto intuire quale sarà il suo approccio comunicativo: modulato, ma deciso in alcuni momenti”. Lo ha reso evidente il 12 maggio, incontrando i giornalisti di tutto il mondo. Arriva da una nazione che ha inventato il giornalismo moderno con la penny press, quotidiano a basso costo e di facile lettura, pensato per i pendolari della metropolitana di New York. L’informazione è diventata di massa ma il prezzo è stata la notizia urlata, rivolta più a colpire l’immaginario che fornire un’analisi ragionata, sintetizzata in quel “sesso sangue e soldi” che in ogni redazione fa da incipit al vademecum del praticante. Perciò il prete agostiniano di Chicago ha ricordato ai cronisti che beati gli operatori di pace vi riguarda da vicino, chiamando ciascuno all’impegno per una comunicazione diversa”. Perché “il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire ‘no’ alla guerra delle parole e delle immagini”. Nonostante “viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno di non cedere mai alla mediocrità“.

Il pontefice alla stampa: è diritto dei popoli essere informati, solo così possono fare libere scelte.

Parole “disarmate” non significano cronache edulcorate, perché “non può esistere un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia”, avverte Leone XIV. Lo testimoniano “i giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità“, o i reporter “che raccontano la guerra anche a costo della vita”. A nome della Chiesa, il primo papa nordamericano “riconosce in questi testimoni il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere”. La prigione ai “colpevoli” di raccontare ciò che la propaganda vuole occultare, “interpella la coscienza della comunità internazionale, richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di espressione e di stampa“. Prevost ricorda che “la comunicazione non è solo trasmissione di informazioni ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto”. Per questo serve “una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce”. Un richiamo a curarsi dei senza voce, questo pronunciato nell’aula Paolo VI, che non sorprende il professore Pira. Il sociologo siciliano, passato alla cattedra universitaria dopo una qualificata esperienza in redazione come giornalista professionista, ha sviluppato l’occhio del cronista che coglie quel particolare in grado di raccontare il tutto. “Anche un Papa può emozionarsi affacciandosi da una finestra e trovandosi davanti una piazza piena di fedeli che lo acclama. Ha diritto ad avere gli occhi lucidi e a non rinunciare alle emozioni. Gli occhiali non lo hanno protetto da far vedere al mondo che è un essere umano in carne e ossa, con tante responsabilità”. E molte idee chiare.

Autore

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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