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Castello Augusta, “progetto demolizioni senza gli studi di legge”

AUGUSTA – “Le tavole del progetto non sono a norma di legge“. L’ombra inquietante di una nuova inchiesta giudiziaria, si allunga sul castello svevo di Augusta. A sollevare forti dubbi sulla legittimità delle demolizioni appaltate dalla Regione siciliana è Renata Prescia, docente di Restauro architettonico all’università di Palermo. La denuncia della consulente di Italia nostra arriva durante il consiglio comunale del 16 marzo, appositamente convocato per discutere sui contesti lavori di recupero nella fortezza federiciana. Secondo la cattedratica, i diroccamenti previsti negli elaborati progettuali non sono supportati dalla documentazione tecnica richiesta dalla normativa vigente. “Non sono presenti le necessarie operazioni strutturali”, dice la studiosa durante il suo collegamento in streaming. Sottolineando l’assenza delle indagini geognostiche necessarie a giustificare gli sventramenti già pianificati. L’accusa fra l’altro non trova alcuna replica diretta. I lavori consiliari infatti sono disertati dalla Soprintendenza, nonostante siano stati convocati 3 mesi dopo la richiesta dell’opposizione proprio per consentirne la partecipazione. “Non digerisco questa assenza, esprimerò formalmente il mio dissenso”, dice il sindaco Peppe Di Mare, visibilmente irritato. Dal dibattito mance, “per motivi familiari”, pure il responsabile unico del procedimento.

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Sventramenti, capo gabinetto di Samonà lasciato solo a spiegare l’appalto dato.

Corrado Amato e Giancarlo Triberio (copertina)
mostrano come sarà il castello dopo le demolizioni.
(tutte le foto sono tratte da Webmarte Tv).

Solo il capo di gabinetto dell’assessorato regionale, Riccardo Guazzelli, si fa carico di rappresentare i Beni culturali. I quali, pur avendo già sottoscritto il contratto da 5 milioni di euro, aprono tuttavia a una possibile ripensamento sulla distruzione totale delle strutture carcerarie, soprastanti le mura più antiche. Un abbattimento che la relazione tecnica giustifica genericamente con il dissesto idrogeologico del sito, in uno a pesanti interventi di natura antropica”. I quali, parole povere, sono i bracci carcerari edificati a partire dal 1890, dove sono passati briganti borbonici, superstiti della banda Giuliano, brigatisti rossi. Fra i detenuti si racconta persino di contadini ribellatisi allo sfruttamento semi-feudale nelle campagne. Insomma murature che “raccontano non solo pezzi di storia cittadina, anche della nostra nazione”, come dice il consigliere Giancarlo Triberio, riferimento di Leu. Un concetto ribadito dal collega di Fi Corrado Amato, da un esponente di maggioranza come Ciccio La Ferla, dalla consigliera di area Pd Milena Contento. Nonché da Mariada Pansera, ex dirigente Fdi, intervenuta come presidente dell’Archeoclub.

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Storia patria e Gisira favorevoli a cancellare il vecchio carcere fine Ottocento.

Convergenze inedite, che raccontano come la politica c’entra poco nel dibattito sul salvataggio del castello dai picconi “restauratori”. La demarcazione è piuttosto di natura culturale. Salvatore Romano per la Storia patria, Giampiero Lo Giudice per l’associazione Gisira ,ed Enzo Parisi per Legambiente, insieme al professore Eugenio Magnano di San Lio e a Giuseppe Brunetti Baldi dell’Istituto castelli, sono invece più possibilisti circa la demolizione del penitenziario novecentesco. Se non addirittura apertamente favorevoli, già che altro per far partire il recupero della fortezza e avviarne la valorizzazione, prima che si perdano anche questi finanziamenti. L’assessore regionale Alberto Samonà, tramite il suo funzionario delegato, si dice disposto a discutere con il Comune man mano che gli interventi vanno avanti. “Anche se non capisco come un progetto già assegnato possa essere soggetto a variazioni”, nota La Ferla, ingegnere civile dal 1987 e amministratore locale fin dagli anni Novanta. Obiezioni cadute nel vuoto visto che l’assessorato si astiene dal controbattere, mentre la Soprintendenza non c’è proprio. Il consigliere Roberto Conti la definisce “un’assenza veramente incredibile”. Diventerebbe più comprensibile, però, se il progetto che ha approvato presentasse lacune difficili da spiegare in una seduta dove tutto va su internet. E viene registrato a futura memoria nei verbali consiliari.

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Italia nostra: già subito sequestro Procura per incuria, ora picconi nonostante vincoli.

Jessica Di Venuta e Giuseppe Schermi (repertorio)

Così rimane in sospeso l’obiezione, avanzata da Triberio“sui 3 milioni spesi fra il 2009 e il 2011 per il consolidamento delle fondazioni“. Considerato l’abbattimento del carcere viene giustificato per il peso che comprometterebbe la statica dell’intero monumento, resta senza risposta l’ovvia domanda “se quel lavoro sta franando o i soldi sono stati spesi male”. Sul castello svevo già si sono accesi i riflettori della Procura di Siracusa, con un sequestro cautelativo disposto 4 anni fa in seguito s una denuncia di Italia nostra, come ricorda Jessica Di Venuta. La presidente della sezione augustana richiama pure “il vincolo contemplato dall’articolo 2 legge 1089 del 1939″, poi ripreso “dall’articolo 2 comma 1 lettera D del Dpr 283 del 2000”, riguardante la tutela dei beni culturali “aventi valore storico identitario”. Senza tralasciare “l’articolo 6 della Carta del restauro, il quale vieta demolizioni che non siano strettamente indispensabili. La cui necessità deve comunque essere documentata minuziosamente. Ma è su questo punto che qualcosa sembra non quadrare.

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La prof in Restauro architettonico: danni indicati senza la documentazione tecnica.

Renata Prescia
cattedra Restauro architettonico
Università di Palermo
(foto Webmarte).

“Le operazioni strutturali è possibile farle, e sicuramente non sono presenti nelle tavole di progetto presentate”, rimarca la professoressa Prescia. Ricordando a Guazzelli come “la Carta del restauro è diventata legge della Regione siciliana, e l’assessorato lo sa bene”. Inoltre, “la circolare 11 del novembre 2002 è stata ratificata anche nella successiva legge sismica del 2011 e del 2018″. Insomma il quadro normativo è chiaro. “Sono obbligatorie delle campagne diagnostiche, sono obbligatori gli elaborati di progetto sui dissesti: se ci sono problemi strutturali, devono essere documentati“. La studiosa si dichiara “dispiaciuta che non ci sono anche i tecnici della Soprintendenza. Avrebbero potuto raccontare perché “i ragazzi che escono da Architettura sanno fare quad dei dissesti e i quad dei degradi, con gli interventi”, mentre “queste tavole non ci sono nel progetto presentato“. La docente di Restauro architettonico è categorica, quando afferma che “sicuramente questo progetto deve essere adeguato”. Ma quando e come, nessuno si impegna a dirlo. Alla fine i lavori consiliari si concludono con una mozione, approvata dall’aula semi-vuota. Oltre “ringraziare della disponibilità” una Regione che interloquisce a cose fatte, il documento si spinge a chiederle di “recuperare i finanziamenti necessari per rifiorire la diga frangiflutti“. A seduta chiusa arriva il lapidario commento di Giuseppe Schermi, nel 2020 encomiato da Italia nostra nazionale per il suo impegno ambientalista durante il mandato da consigliere:“Che tristezza la politica che si presenta col cappello in mano, rinunciando ad esprimere la propria visione del futuro, purché si spendano dei soldi”.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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