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Augusta, lite inutile don Prisutto-confrati: Chiesa mai chiesta eredità

AUGUSTA – “Non si può affermare che il terreno sia stato acquisito in proprietà della Chiesa di San Giuseppe o, come sostenuto dal governatore, dalla confraternita” omonima. Perché su quel pezzo di campagna lasciato in eredità da un devoto nel 1944, “non è emerso alcun atto dell’Organizzazione ecclesiasticache ne autorizzava l’incameramento nel patrimonio, secondo le norme canoniche e il nuovo Cordato del 1985. Di fatto nessuno può definirsi “proprietario”, né la Matrice né la congregazione, ai sensi della legge vigente sugli Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti”. Arriva dalle motivazioni depositate a fine aprile dal tribunale di Siracusa, la svolta nella querelle fra don Palmiro Prisutto e otto confrati del consiglio di amministrazione. Fra loro pure l’assessore alla Cultura, Pino Carrabino, dalla cui mail era partito il comunicato contro il parroco inviato ai giornali nel 2016. Una sentenza di primo grado che il 28 febbraio scorso, dopo 7 anni, ha assolto con formula piena sia i parrocchiani che due giornalisti. Tutti querelati per diffamazione a mezzo stampa, dopo che un manifesto affisso in alcune chiese contestava al monsignore l’appropriazione dell’affitto del fondo. E la vicenda era stato ripresa dalle testate online.

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Confermato il diritto di critica: giornalismo non può essere svilito alla mera esposizione di fatti.

Nell’articolo firmato da Sebastiano Salemi su Webmarte, si esprimeva inoltre un giudizio sull’azione pastorale del prete, noto in Italia per il suo forte impegno ambientale. “Certo appare veramente risibile che un uomo che si ritiene paladino della legalità, non manchi occasione per ledere delle confraternite, venendo meno anche a patti di natura etica e morale”. Un commento che secondo il giudice “costituisce espressione del diritto di critica“. Come riconosce una sentenza della Cassazione, la quale afferma che “il diritto di critica del giornalista non può essere svilito, limitandolo alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale esatta riproduzione”. Invece, precisa la suprema corte nel 2020, “non può negarsi al predetto il diritto di ricercare e di riferire al lettore rapporti e relazioni, dirette o indirette, immediate o mediate, quando questi elementi risultino oggettivamente sussistenti”. Nel tritacarne era finita pure la direttrice della Gazzetta augustana, Diletta Casole. Ma solo all’ultima udienza don Prisutto ne ha ammesso la correttezza, revocando la costituzione di parte civile.

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La motivazione della sentenza non risolve la querelle sul lascito del fondo San Paolo.

Sulla controversia riguardante il “fondo San Paolo”, invece, la sentenza di primo grado non si pronuncia circa la proprietà. La confraternita riteneva averne il pieno possesso, perché il testamento lo lasciava “alla Chiesa di San Giuseppe” per opere di beneficenza. Il lascito indicava come “amministratore temporaneo ed esecutore testamentario l’arciprete in carica all’epoca, “onerandolo di vendere tale terreno entro tre mesi a mezzo di asta pubblica. Ma dopo quasi 80 anni è ancora lì, diventando pietra dello scandalo quando nel 2014 i rapporti con don Prisutto si sono guastati, “per divergenze circa l’organizzazione delle feste del Corpus domini e dell’Immacolata, rispetto alla tradizione“. Inizia un braccio di ferro, che spinge il monsignore a dare il terreno in affitto per due mesi, trattenendo nel conto della parrocchia i 600 euro del canone. Un anno dopo la confraternita lo diffida legalmente a restituirli. “La somma irrisoria contesa” non giustifica l’inasprimento dei rapporti, ma la stessa motivazione rileva che “dalla vicenda sottoposta all’attenzione del tribunale traspare un malessere nella comunità religiosa di Augusta, esplicitamente riferito dal vicario vescovile Sebastiano Amenta“. Infatti il protagonista, poi rimosso dalla Matrice dopo un duro processo canonico, non è un prete qualunque.

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Riconosciuto a padre Palmiro il valore delle lotte ambientali ma non l’immunità da critiche.

Il giudice riconosce a padre Palmiro “le sue note iniziative pubbliche a tutela della salute della popolazione locale, a segnalare il degrado ambientale del territorio che lo portarono all’attenzione della cronaca nazionale“. Ricorda anche “l’istituzione della messa del 28 per ricordare i morti di cancro ad Augusta, e le tante battaglie portate avanti in favore delle vittime dell’inquinamento del polo industriale di Siracusa“. Puntualizzando che è un’attività per la quale “la comunità, non solo di Augusta ma anche nazionale, ha manifestato grandi apprezzamenti”. Tuttavia, proprio questa notorietà lo espone allo stesso livello di critica ammissibile per qualunque personaggio pubblico, definito dalla Cassazione nel 2021. “L’esimente del diritto di cronaca può essere riconosciuta al giornalista che riporti fedelmente le dichiarazioni, oggettivamente lesive della reputazione, rilasciate da un personaggio pubblico” e “valutate anche in ragione della notorietà della persona offesa”. La sentenza aggiunge che “le cariche rivestite dalle parti, e le attività che i protagonisti di questa vicenda sono chiamati svolgere non possono ritenersi squisitamente personali, rilevandosi un interesse collettivo della comunità di Augusta in ordine alla gestione e all’amministrazione di beni devoluti a opere di beneficenza”.

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Vicario vescovile ribalta le tesi di arciprete e confraternita: lascito mai incamerato.

Ma, aldilà del legittimo diritto di critica, le tesi della confraternita sul terreno che si era “accaparrato” erano altrettanto fondate? La salomonica sentenza non assegna ragione ad alcuno, perché “ai fini del riconoscimento del diritto di proprietà non può prescindersi dalle norme degli Enti ecclesiastici collegati alla Chiesa cattolica, in quanto appartenenti a un ordine autonomo e distinto con regole proprie”. Infatti, “i rapporti fra lo Stato e la Santa sede sono regolati dall’accordo che modifica e sostituisce il Concordato del 1929, ed è un negozio bilaterale di diritto internazionale fra due ordinamenti autonomi e indipendenti”. Quindi, “per la facoltà di accettare lasciti ereditari occorre fare riferimento in primo luogo alle regole interne dell’ordinamento confessionale“. Quest’ultimo prevede che occorra pure l’autorizzazione del Vaticano, oltre quella del vescovado. Però, sul banco dei testimoni, monsignor Amenta ha detto che “nessuna procedura di accettazione espressa è stata avviata relativamente al lascito del fondo San Paolo”. Escludendo “che possa essersi verificata un’accettazione, esplicita o tacita, stante le specifiche norme dettate dal diritto canonico“. Eppure, il “tribunale rileva che risultano depositate visure catastali con intestazioni del fondo sempre diverse”. Agli atti gliene allegano ben due datate 2017, fatte a distanza di 4 giorni l’una dall’altra, e una successiva con la data nel 2018. Il nome comunicato al catasto tuttavia “non fornisce alcuna prova circa la titolarità di un diritto, e ancor meno della proprietà”. Insomma, una furbata inutile e per niente evangelica.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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