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Augusta, don Prisutto non fu diffamato: assolti Carrabino e i cronisti

AUGUSTA – Don Palmiro Prisutto non è mai stato diffamato dalle confraternite di Augusta, né dai giornalisti che avevano raccontato del loro scontro dentro la comunità ecclesiale, emerso con l’affissione di un manifesto circa la gestione di un terreno lasciato in eredità “alla chiesa di San Giuseppe“. Lo ha sentenziato il tribunale di Siracusa il 28 febbraio, al termine di un procedimento penale che si è trascinato per 7 anni, intentato dall’ex arciprete contro due cronisti e otto confrati. Fra cui l’attuale assessore alla Cultura, Pino Carrabino, assolto insieme agli altri imputati con formula piena. A chiedere il proscioglimento perché il fatto non sussiste è stato lo stesso pubblico ministero, dopo una decina di udienze che hanno visto fra i testimoni pure il vicario generale della Curia arcivescovile, Sebastiano Amenta. Secondo i legali degli imputati, sarebbe stata proprio la dettagliata testimonianza del monsignore ad affossare definitivamente le tesi accusatorie del sacerdote. Che si era pure costituito parte civile, con una richiesta di risarcimento di 250 mila euro per danni morali.

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Dopo 3 giudici diversi, il fatto non sussiste: motivazioni fra 60 giorni.

don Palmiro Prisutto.

Il giudice onorario, Mario Santoro, si è riservato 60 giorni di tempo per depositare le motivazioni. Poi don Prisutto ne avrà altri 45 per ricorrere, ma nel frattempo il procedimento arriverà a ridosso della prescrizione. Inoltre la Procura difficilmente smentirà sé stessa dopo aver chiesto piena assoluzione, anche se in questa vicenda già una volta ha fatto retromarcia. Dopo la querela presentata dall’allora arciprete, infatti, il pm titolare del fascicolo aveva archiviato la denuncia. Era stato poi lo stesso procuratore capo Francesco Paolo Giordano a riesumarla, giusto prima di lasciare l’incarico, ottenendo il rinvio a giudizio. Il percorso processuale partito accidentato, è proseguito sulla stessa falsariga. Sono stati ben tre i giudici monocratici che si sono avvicendati nel giudizio, e uno degli imputati è pure deceduto nel frattempo. Venendo comunque regolarmente assolto insieme agli altri, perché nel fascicolo non c’era il certificato di morte. La vicenda ha riservato fino all’ultimo un colpo di scena, con la parte civile che ha ritirato la richiesta di risarcimento contro la giornalista Diletta Casole, all’epoca dei fatti direttrice responsabile della Gazzetta augustana.

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La difesa dei due giornalisti querelati: confermato il loro diritto di raccontare.

Nessun passo indietro del sacerdote, invece, contro Sebastiano Salemi che aveva firmato la cronaca pubblicata su Webmarte. Ma alla fine il giudice ha riconosciuto i due giornalisti completamente innocenti, così come i confrati denunciati per il manifesto affisso in tre chiese, anche se occorrerà attendere il deposito della sentenza per conoscere le motivazioni che hanno riconosciuto il diritto di cronaca. Il loro difensore aveva sottolineato l’orientamento della Cassazione circa lo ius narrandi dei cronisti. Che nel riportare una notizia di rilevanza pubblica non possono fare un lavoro da magistrati, valutando il merito di possibili controversie legali fra le parti, né tantomeno attendere l’esito dei processi per raccontarla. Anche Assostampa e Unione cronisti di Siracusa avevano preso posizione a sostegno dei colleghi, gli ennesimi inchiodati per anni in costosi procedimenti penali poi risultati infondati.

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Formula piena per l’assessore alla Cultura, all’epoca coordinatore confraternite.

Pino Carrabino.

L’assoluzione con formula piena di Carrabino toglie adesso un’arma agli haters dell’amministrazione comunale. Che sui social non si sono risparmiati ad associarla allusivamente a un assessore “imputato in un processo penale, anche se all’epoca dei fatti era solo un energico coordinatore delle confraternite. Ora resta da vedere se il giudice ha ritenuto la “insussistenza del fatto” perché il contestato manifesto rientrava nella libertà di critica. O se invece rispondevano a verità i contenuti, relativi a un uso improprio di don Prisutto sulla gestione economica del terreno. Ereditato dalla “chiesa di San Giuseppe” alla fine degli anni Quaranta, da un artigiano devoto, e fino a quel momento amministrato dai preti rettori della confraternita. Si trattava comunque di somme modeste, transitate in ogni caso nei conti destinati alle attività parrocchiali. Tuttavia si erano trasformate in un terreno di scontro dove regolare le divergenze, all’inizio sorte banalmente sullo svolgimento delle tradizionali processioni, e poi incancrenite in ripicche e colpi bassi. Una vicenda che Andrea Camilleri avrebbe magistralmente romanzato, ma che ha dilaniato per anni la comunità ecclesiale. Portando don Prisutto a scontrarsi apertamente con la stessa Curia arcivescovile, fino al punto da subire un processo canonico per essere rimosso dalla Matrice, e finire “esiliato” nell’eremo dell’Adonai a Brucoli. Da dove ha comunque continuato ad accendere i riflettori sulle numerose morti per cancro.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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