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Augusta, sanzioni al sindacalista che parla alla stampa sul carcere

AUGUSTA – Il sindacalista che parla ai giornalisti deve essere punito, soprattutto se la notizia è così importante da finire nelle cronache nazionali. Secondo i superiori bisogna sanzionare il “chiacchierone” nella carriera e nello stipendio, anche se il giudice gli ha già riconosciuto il diritto costituzionale a usare i giornali per le sue battaglie sindacali. Accade nel carcere di Brucoli, porto di tutte quelle nebbie che in Italia stanno confondendo detenuti e guardie, nella condivisione dello stesso calvario. Fatto di condizioni ai limiti dell’impossibile sia per chi vi è recluso, sia per chi ci lavora. E guai a lamentarsi se si porta una divisa, perché si “lede l’immagine dei vertici“. Gli stessi che sono lentissimi a trovare soluzioni per il penitenziario di Augusta, ma lesti a perseguire Nello Bongiovanni, dirigente nazionale e segretario aziendale del Sippe. Che dall’aggressione di un carcerato si sta riprendendo con una lunga convalescenza, mentre da quella delle carte col bollo “Ministero della Giustizia” ancora no. L’ultima gli è stata recapitata proprio subito dopo la sentenza, che condannava per condotta antisindacale il Dipartimento amministrazione penitenziaria. Nonostante il tribunale di Siracusa gli avesse confermato il diritto alla critica a mezzo stampa, accollando al Dap e alla Casa di reclusione pure le spese processuali, il sovrintendente si è trovato nuovamente sotto procedimento disciplinare. L’accusa stavolta è di aver portato allo scoperto la morte di due ergastolani in sciopero della fame, deceduti dopo il ricovero d’urgenza in ospedale. Una vicenda sulla quale c’è un’inchiesta della Procura, e l’attenzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti.

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Procedimento disciplinare per aver rivelato a Repubblica dei due detenuti morti per fame.

Per settimane la scomoda notizia dei carcerati morti di inedia, a distanza di un mese l’uno dall’altro, è rimasta sotterrata nei fascicoli dell’amministrazione carceraria. Fino a quando, “per senso civico“, ne ha parlato a un cronista di Repubblica. E la vicenda è diventata un caso politico, che ha messo in imbarazzo alcuni esponenti di governo. A partire dal sottosegretario Andrea Delmastro, che nei mesi precedenti era venuto apposta ad Augusta per lodare “la professionalità” della direzione, e del comando di polizia penitenziaria. Una visita accompagnata da assicurazioni sul miglioramento delle condizioni di lavoro delle guardie, che da tempo lamentano turni massacranti e sovraffollamento dei bracci di reclusione. Dove si registrano aggressioni e proteste, che in un caso si sono dovute arginare mobilitando in massa persino le altre forze dell’ordine. Dopo quella ispezione semi-notturna, il deputato Fdi è finito nella bufera. Aveva rivelato al collega Giovanni Donzelli un segreto istruttorio, che poi ha usato in un intervento alla Camera contro l’opposizione che si occupava di Alfredo Cospito, anarchico in sciopero della fame contro l’abnorme 416 bis cui era sottoposto. Il clamore della vicenda ha fatto passare inosservato il bavaglio che intanto si stava tessendo in via Arenula, contro le prerogative sindacali e lo stesso diritto di rivolgersi ai giornali. Mentre nulla, secondo i sindacati, cambiava a Piano Ippolito.

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Azione avviata nonostante condanna come “antisindacale” per sanzione su comunicato stampa.

il copertina al centro e sopra a destra, Nello Bongiovanni.

La Cgil, persino nell’ultimo comunicato del 3 agosto firmato dal coordinamento provinciale, continua a denunciare orari di lavoro aberranti”. Parlando di “drammatica situazione” e di grave stress psico-fisico per il personale”, invocando una “urgentissima ispezione”. La risposta del ministero a quell’appello, invece, sembra essere l’“avviso di procedimento disciplinare notificato il 16 agosto al loro collega Bongiovanni. Dove viene informato, racconta il sindacalista leggendo il documento, che “si è dato avvio all’azione a seguito di pubblicazione di un articolo su Repubblica”. Il dirigente del Sippe racconta anche le contestazioni di cui stavolta deve difendersi. Riguardano proprio le dichiarazioni raccolte da Salvo Palazzolo, circa “l’assurdo dramma consumato nel carcere di Augusta“, e sul “silenzio pericoloso” intorno le vicende di Piano Ippolito. Il cronista raccoglieva pure la denuncia sul tentativo di tappare la bocca al sovrintendente, “intimidendolo” con provvedimenti disciplinari. Il sindacalista racconta che “ora mi contestano, testualmente, come tale condotta costituisce una pericolosa deriva pregiudizievole dell’immagine dell’amministrazione”. E addirittura, aggiunge documenti alla mano, che in quanto graduato “dovrei essere d’esempio per il personale in servizio e non esternare pubblicamente considerazioni lesive del prestigio dei superiori“. Secondo il Dap infine, racconta ancora il poliziotto penitenziario, quella notizia l’ha fatta arrivare ai giornali “per interessi personali, astio, livore, ostilità”. Se poi era anche di rilevante interesse pubblico, gli “psicologi” ministeriali non lo considerano.

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Tribunale: da ministero comportamento idoneo a compromettere in futuro la libertà sindacale.

Eppure lo stesso ministero non deve essere tanto convinto, sulla legittimità dei provvedimenti disciplinari al sindacalista. Il senatore del collegio, Salvo Sallemi, ha glissato sulla vicenda quando è venuto ad Augusta per parlare dei perduranti problemi al carcere. Il parlamentare Fdi ha detto ai giornalisti di “non conoscere la vicenda”, anche se aveva incontrato Bongiovanni proprio poco prima di entrare in conferenza stampa. Una prudenza opportuna, per salvare la “capra” un dirigente sindacale dichiaratamente di Destra, e i “cavoli” di un Dipartimento sotto la responsabilità dell’ambiguo “fratello” Delmastro. Infatti quando il Sippe è ricorso al tribunale insieme al Sinappe, impugnando come comportamento antisindacale la deplorazioneinferta al dirigente nazionale dopo il comunicato sulle condizioni di lavoro, né Dap né Casa di reclusione si sono costituiti in giudizio. E hanno fatto bene a risparmiare le spese di avvocato, perché quella sanzione è stata giudicata “un comportamento idoneo a compromettere per il futuro la libertà di esercizio dell’attività sindacale”. La sentenza del 3 agosto ha dato ragione alle due sigle di categoria, ribadendo i principi fondanti di qualsiasi democrazia. “Quale rappresentante sindacale e non come semplice lavoratore – motiva il giudice –, ha espresso la propria posizione critica nei confronti del datore di lavoro, con linguaggio aspro ma senza tuttavia travalicare i limiti del diritto di critica, nel pieno esercizio della libertà e dell’attività sindacale, senza che possa ravvisarsi una pubblica campagna denigratoria lesiva del prestigio del datore”. Dare le notizie a mezzo stampa, quindi, ancora si può. Anche – e soprattutto – se si è pagati dallo Stato. Che è dei cittadini, e non una proprietà esclusiva dei governanti di turno. Non ancora.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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