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Augusta, test in mare per nuovo impianto: produrrà carbon credits

Ultimo aggiornamento domenica, 28 Aprile, 2024   19:55

AUGUSTA – Dove è “complicato” togliere l’inquinamento atmosferico, l’aria malsana può trasformarsi in un business globale. L’idea è venuta alla lombarda Limenet, “Srl benefit” con sede a Lecco, insieme alla Spa augustana “Leone La Ferla“. In partnership hanno scelto proprio Augusta come sede di un progetto industriale pilota, per stoccare nella calce prodotta dallo stabilimento locale, l’anidride carbonica prelevata nel Petrolchimico. Disperdendo poi in mare il bicarbonato di calcio che ne deriva, aumentandone la alcalinità per “resistere ai cambiamenti nei livelli di acidità. Un progetto che secondo Repubblica del 23 aprile, ha già attirato gli investitori americani di Klimadao. La quale “ha acquistato 1.000 tonnellate di Co2, catturata nel Siracusano “entro la metà del 2025”, che poi “rivenderà sul mercato dei carbon credits attraverso la piattaforma Carbonmark“. In sostanza, chi non può ridurre le proprie emissioni entro i termini fissati dagli accordi internazionali, le compensa in proporzione comprandole sotto forma di crediti. Il nuovo business nella zona industriale piace all’amministrazione Giuseppe Di Mare, che insieme all’Autorità di sistema portuale ha siglato un “accordo di collaborazione per lo sviluppo di un impianto sperimentale in nuova darsena”. Ma l’obiettivo finale della start up, rivelato dal quotidiano nazionale, è di portata più ampia. Infatti scrive che “è in programma un impianto da 100 mila tonnellate”,con capitali forniti da “importanti fondi internazionali“.

Sperimentazione al via con container da 22 tonnellate prodotte da biomasse di Reggio Emilia.

sopra e sotto, i rendering dell’impianto Limenet per la produzione di carbon credits.
copertina, il prodotto dello stabilimento Leone La Ferla Spa (foto tratta dal sito societario).

La città protagonista di Toxicily, scioccante documentario italo-francese che dal 14 aprile è nei cinema distribuiti dalla Ginko film, sembra però entrare nel mercato dei carbon credits in punta di piedi. Quanto approvato dalla giunta comunale lo scorso 27 marzo, pare riguardare semplici macchinari “per lo studio della deacidificazione dei mari, e l’assorbimento della Co2 per il contrasto del cambiamento climatico. Tanto che l’Adsp ha concesso “senza oneri” uno spazio modesto di 200 metri quadrati, dove far partire l’attività. La quale per il momento, secondo il reportage firmato da Gioacchino Amato, si limiterà ad accogliere i container da 22 tonnellate con i bicarbonati già pronti da disperdere in mare. Si tratta, spiega l’articolo apparso in cronaca di Palermo, della “prima anidride carbonica derivata a Reggio Emilia dalla produzione di biogas prodotto da biomasse“. Il fondatore, Stefano Cappello, però rivela al quotidiano che “questo primo stoccaggio ad Augusta è una sorta di dimostrazione”. Infatti “adesso stiano studiando alcune aree dove realizzare l’impianto da 4 mila tonnellate che, come tutte le industrie, ha bisogno di servizi e logistica”. Al quotidiano racconta che “cercavamo una località con grandi insediamenti di industria pesante, e che aveva anche pagato in termini ambientali per queste realtà industriali”.

Dubbi su effetti in ecosistema marino: nave verserà sottacqua il bicarbonato dei carbon credits.

Come già accaduto con la Rasiom di Moratti da cui iniziò tutto, l’ingegner Cappello tuttavia ammette che “la scelta è caduta su Augusta anche per motivi logistici, la presenza del porto e di spazi dove potremo insediare il nostro stabilimento che verrà dopo questo primo progetto pilota”. Il ceo aggiunge anche che “pensiamo a sinergie con le industrie del polo petrolchimico e con la bioraffineria di Gela“. In effetti sarebbero un buon cliente. Nella sezione dedicata al progetto pilota augustano “Trl7“, il sito societario spiega che “l’idrossido di calcio decarbonizzato viene utilizzato per abbattere le emissioni per le industrie, o altri emettitori hard to abate“. Intanto, però, la sperimentazione nelle acque non depurate di Augusta deve superare alcune criticità. Sempre il sito della Limenet ammette inoltre che “la calcificazione biotica è ancora la nostra più alta incertezza. Test biologici saranno effettuati in mesocosmi per quantificare la precipitazione biotica in condizioni di acqua di mare ad alta alcalinità equilibrata”. In quei tratti di costa dove c’è lo stesso pH del bicarbonato versato, questo non si scioglie e va ad alterare l’equilibrio dell’ecosistema marino. La srl perciò avverte che “una nuova idea per minimizzare la calcificazione biotica è quella di iniettare, da una nave, la soluzione alcalina ionica ben al di sotto della profondità fotica: questa soluzione sarà testata e studiata nell’impianto Trl7″. Che il mare di quest’area Sin da bonificare sarebbe stato usato per effettuare test sulla capacità inquinante di altre sostanze chimiche, per quanto prevalentemente innocue, probabilmente non era stato ben spiegato in quel “evento formativo/divulgativo organizzato col patrocinio del Comune e dell’Adsp in data 22 marzo”.

Contrasto al cambiamento climatico con un metodo classificato “immissione di reflui industriali”.

L’impianto pilota a La Spezia.

Un incontro “coi cittadini”, dal quale l’ingegner Cappello dice a Repubblica di aver “avuto riscontri molto positivi”, in merito ai “benefici per l’ambiente”. Tanto che la delibera di giunta ne riporta gli esiti in premessa, riguardo “l’obiettivo di sensibilizzare la cittadinanza sull’urgenza di contrastare il cambiamento climatico, e spiegare le soluzioni tecnologiche messe in campo proprio da questa start up“. Forse però, più che i cittadini, l’obiettivo vero era quello di “sensibilizzare” la politica. Lo stesso sito societario dice che “l’iniezione di bicarbonati in mare viene classificata dalla normativa italiana come ‘immissione di acque reflue industriali‘”, e che “Limenet mira nell’ottenere nel lungo periodo il riconoscimento come un metodo distinto dalle acque reflue industriali”. Ciò consentirebbe di sottrarsi alla complessa trafila relativa alle autorizzazioni di competenza del ministero dell’Ambiente. “Con il rilascio in mare di enormi quantità di acque alcaline, le autorità autorizzeranno sicuramente le implicazioni ambientali di tale tecnologia e promuoveranno regolamenti di conseguenza”, assicura il sito. Rivelando però che “Limenet ha già ottenuto il permesso ottenibile tramite Autorizzazione unica ambientale per il progetto pilota di La Spezia“, dove la produzione massima è di un chilo all’ora. Mentre ad Augusta, dove la capacità produttiva sarebbe di 200 chili l’ora, “l’impianto Trl7 è in fase di approvazione in seguito alla richiesta presso gli Sportelli unici per le attività produttive”. Anche se per un mare colore del veleno potrebbe non essere sufficiente un semplice benestare dagli uffici del Suap.

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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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