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No petcoke nelle cementerie, comitati di mezza Italia si appellano a Costa

Ultimo aggiornamento mercoledì, 3 Marzo, 2021   18:31

AUGUSTA – Associazioni ecologiste di 14 regioni si coalizzano per l’abrogazione del “Decreto Clini“, che permette alle cementerie italiane di bruciare i rifiuti: feeling finito con Sergio Costa? A prima vista sembra questa la lettura politica della lettera aperta, che 60 sigle dell’ambientalismo territoriale hanno inviato al ministro dell’Ambiente. Una missiva datata 23 gennaio e diffusa alla stampa, che irrompe nella crisi del traballante governo giallorosso. Perché mette l’esponente pentastellato con le spalle al muro sulla questione dei Combustibili solidi secondari, proprio nel momento in cui il premier Giuseppe Conte tenta di sopravvivere presentandosi come l’unica soluzione per non far collassare l’economia. I cosiddetti Css costano meno e risolvono qualche problema di smaltimento, ma sollevano forti perplessità. Specialmente quando l’acronimo cela prodotti zeppi di inquinanti, come il petcoke impiegato dalla Buzzi-Unicem di Augusta. Non sorprende quindi che a firmare il documento siano anche i comitati siracusani più attivi nelle proteste, come Stop veleni, Decontaminazione Sicilia, Ambientiamoci Siracusa, Comitato Melilli, No discarica Armicci. I quali hanno fatto rete, insieme ad altre organizzazioni siciliane, con realtà presenti in Abruzzo, Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia-Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Veneto e Umbria.

Timori che emergenza Covid cancelli temi ambientali.

Il ministro Sergio Costa a Priolo incontra gli ambientalisti del Petrolchimico (foto Fb).
copertina: il cargo col petcoke scaricato alla cementeria di Augusta (foto Legambiente).

Quasi tutti i sottoscrittori della lettera sono noti perlopiù solo nei rispettivi territori. Ma fra i firmatari spiccano anche veri e propri “marchi” dell’ambientalismo italiano, come Legambiente (circolo di Piacenza) e Wwf (sezioni di Perugia e del Salento). Insomma, una vera e propria mobilitazione bipartisan. Che si appella a un ministro come Costa, che per anni è stato punto di riferimento per il suo attivismo nella Terra dei fuochi in Campania. L’ex generale della Forestale diventato titolare dell’Ambiente, aveva fatto sperare in una svolta verde nelle politiche energetiche. “Me ne strafotto dei petrolieri”, aveva esclamato durante la sua visita al Petrolchimico siracusano. Ma la dura legge del mercato ha lasciato tutto nell’alveo delle buone intenzioni. E ora chi ha fatto affidamento sui suoi programmi originari, teme che la recessione da Covid li metta definitivamente in soffitta.

Sventato emendamento che allargava le maglie su Css.

“Secondo uno schema purtroppo ben noto in Italia, ogni emergenza è buona occasione per far passare qualunque cosa”, scrivono le 60 associazioni ecologiste. Riferendosi all’emendamento di 15 senatori “che addirittura legittimava l’utilizzo del Css nelle industrie insalubri di prima classe senza alcuna autorizzazione“. Una proposta poi rigettata in quanto “improponibile”, ma che ha fatto scattare l’allarme. Perché i proponenti la motivavano “in considerazione del periodo di pandemia, che può comportare un incremento della quantità di rifiuti indifferenziati derivante dall’aumento di soggetti in quarantena”. Lo scampato pericolo però non tranquillizza gli ambientalisti, né chi vive intorno gli impianti. Perché si teme che possa ripresentarsi questo “nuovo tentativo di scorciatoia per coloro i quali, approfittando dell’ennesima situazione di emergenza (legata questa volta al Covid-19) vogliono privare i cittadini delle già minime possibilità di far valere i propri diritti in tema di tutela ambientale“. I numeri risicati della maggiorana a Palazzo Madama fanno temere che il tema dell’ambiente ceda il passo a quello della stabilità di governo.

“Illegittimo approfittare di pandemia per far profitto”.

“Approfittare della pandemia per strategie attente al profitto di pochissimi in danno della nostra salute e del nostro ambiente, non ha nulla di legittimo né di condivisibile”, avvertono gli ambientalisti. Aggiungendo che “non ci stupirebbe se, alla prima occasione, ne fossero presentati altri simili”. I 60 comitati provano a spiegare che “la combustione di Css nei cementifici non è affatto un ‘contributo’ alla gestione dei rifiuti, e non può configurarsi come la ‘chiusura del ciclo’. Essa non rappresenta neanche una soluzione migliorativa riguardo all’inquinamento da Co2 prodotto dagli impianti di produzione del cemento, alimentati con combustibili derivati per lo più dagli scarti del petrolio perché più economici. Un cementificio che brucia rifiuti o loro derivati insieme al petcoke, ha un volume di inquinanti gassosi 3-4 volte maggiore rispetto a un termovalorizzatore. E i cementifici non possono di colpo mascherarsi da inceneritori, perché non sono attrezzati per quella funzione. In estrema sintesi, bruciando rifiuti e loro derivati nei forni da cemento si baratta una cattiva soluzione con un’altra cattiva soluzione”.

“Più metalli pesanti da rifiuti bruciati in cementeria”.

La cementeria Buzzi-Unicem di Augusta (foto Legambiente).

Il documento evidenzia che “la combustione di rifiuti nei cementifici, al confronto con gli inceneritori dedicati, comporta maggiori emissioni di metalli pesanti: mercurio, cadmio, tallio e piombo. Senza poi considerare le emissioni dei composti organici persistenti, i policlorobifenili, le diossine e altri composti tossici”. Fra i destinatari della lettera c’è pure il ministro della Salute, Roberto Speranza. Al quale ricordano che “quasi tutti gli studi hanno dimostrato relazioni significative tra esposizioni alle emissioni dei cementifici e patologie, non solo respiratorie ma anche cardiovascolari. Si è dimostrato che nelle popolazioni esposte vi è un accumulo di metalli pesanti, con effetti negativi sui più fragili, bambini e anziani, con possibili danni addirittura trans-generazionali, come nel caso del mercurio”. I comitati di mezza Italia ricordano che “nella grande maggioranza dei casi di cui ci siamo dovuti occupare, nessuna indagine epidemiologica viene effettuata, mentre è noto che la presenza di cementifici ha un pesante impatto ambientale”. Eppure, evidenziano i firmatari, ce ne sono di “situati a pochi chilometri dai centri abitati, se non addirittura all’interno di essi, dove le polveri sottili ricadono e ristagnano, contaminando aria e terreni”.

Le 60 associazioni di 14 regioni: via il decreto Clini.

Il Decreto Clini” che ha dato via libera ai rifiuti negli altiforni, risale al 2013. Già allora gli ambientalisti storici avevano sollevato forti perplessità, al punto che “presentarono contro di esso una denuncia alla Commissione europea. Il tempo sembra aver dato loro ragione. Il Comitato di vigilanza e controllo che teoricamente doveva monitorare la situazione, “ha prodotto soltanto 3 rapporti annuali (di cui l’ultimo relativo al 2017-2018) che peraltro delineano un quadro alquanto parziale e incompleto”. Eppure, sottolinea il documento ecologista, “siamo il paese europeo col maggior numero di forni da cemento rispetto alla popolazione; forni che negli ultimi decenni si sono trasformati in ‘bombe ecologiche‘, immettendo rifiuti nel loro ciclo produttivo. Adesso arrivano a spacciare questa pratica obsoleta come una ‘Best available technique‘, in virtù di normative tecniche scritte dai cementieri stessi e ferme, nella pratica, da diversi decenni”. La lettera conclude con la richiesta di abrogare quelle norme, “e di scongiurare l’approvazione di qualunque altro provvedimento inteso a incentivare l’incenerimento e il co-incenerimento di rifiuti e loro derivati”. L’appello al governo è molto articolato. Forse alcune tesi si prestano a un contraddittorio, almeno per quanto riguarda le conclusioni. Resta però il fatto che a sottoscriverle sono 60 associazioni di mezza Italia. Fra loro ce n’è una di Assisi, che si firma come Movimento sconforto generale.

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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