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Megara Iblea, si cerca la sua prima dea e un patrono ad Augusta

Ultimo aggiornamento giovedì, 18 Maggio, 2023   09:24

AUGUSTA – Megara Iblea, una storia ancora tutta da scrivere. O da riscrivere, se i nuovi scavi troveranno ciò che si sospetta nella zona dell’Arenella. Dove un imponente porticato si affacciava nel luogo in cui oggi c’è una depressione nella campagna incolta, ma che un tempo era una spiaggia regimentata da sofisticate opere idrauliche per il drenaggio delle acque. Cosa occupava di così importante quel tratto di costa paludosa, che finora non aveva restituito nulla di significativo? C’era forse un tempio arcaico dedicato a Hera, come quelli di Samo e di Corinto contornati anch’essi da stoà monumentali? O c’era qualcosa di addirittura più antico, un luogo già sacro prima dell’insediamento megarese nel VIII secolo avanti Cristo, che i coloni greci hanno tenuto in grande rispetto quando si sono fusi con la preesistente popolazione sicula? “Sarebbe bella una scoperta così”, si lascia sfuggire con un sospiro Jean Christophe Sourisseau, direttore delle ricerche condotte dalla Scuola francese di Roma. Il professore di archeologia greca all’università di Aix-Marseille incontra i giornalisti nella veranda dell’antiquarium, dove il 16 maggio li ha convocati l’Archeoclub di Augusta, per una conferenza stampa sulle ultime scoperte. “E’ la prima volta che gli studiosi parlano al pubblico locale del loro lavoro, mentre ancora si sta svolgendo”, sottolinea la presidente Mariada Pansera. E grazie a quest’iniziativa, insieme coi primi cocci riemerge la storia di un popolo cancellato dai siracusani di Gelone, ma che sembrerebbe aver lasciato un segno profondo nell’antistante città “rifondata” da Federico Secondo.

PER APPROFONDIRE: Augusta, scavi top secret al castello trovano mura greche e romane

Il mistero dell’Arenella, antico acquitrino contornato da strade, portici monumentali e fontane.

Le fondamenta del portico monumentale trovate dalla Scuola francese di Roma.

Chi era Phinthylos e perché prima del IV secolo avanti Cristo abbia speso lì una fortuna, probabilmente non si saprà mai. Ma quell’opera pubblica che aveva generosamente finanziato all’Arenella, doveva avere un’importanza particolare. Perché quando secoli dopo ne hanno costruito sopra un’altra altrettanto imponente, gli architetti ne interruppero la rigorosa simmetria proprio per salvare quell’iscrizione commemorativa. “E’ un rebus, perché è il periodo in cui Megara Iblea doveva essere stata cancellata da Gelone“, dice il professor Sourisseau. Tuttavia non è l’unico mistero, di uno scavo che ne deve svelare molti. “A cominciare da una zona palustre già in epoche molto antiche”, inspiegabilmente arricchita con una stoà “da 60 metri, contornata da fontane e dove tutte le strade vi facevano convergenza”. L’archeologo mostra i rilievi topografici di una città, “la cui scoperta ha fatto fare un salto indietro di due secoli e mezzo alla storia dell’urbanistica greca“.

Poco probabile il porto militare, Vallet e Bernabò Brea si scontrarono sull’ipotesi dell’agorà.

Frammento di vaso attico trovato negli scavi recenti.

Nell’enigma Arenella, l’ipotesi dell’antico porto militare non si può escludere, ma sembra allontanarsi. “Le città greche hanno cominciato a costruirli quando Megara Iblea già era decaduta, inoltre precedenti rilievi geomorfologici mostrano che l’area non si prestava, e infine non è stato trovato nulla che possa far pensare ad arsenali marittimi“. Almeno non ancora, perché le trincee di scavo hanno interessato una modesta porzione della zona, dove già si erano scontrati Georges Vallet e Luigi Bernabò Brea. L’accademico di Francia, che “nel 1949 fece una corsa contro il tempo per salvare il sito” dalla progettata raffineria, che doveva aggiungersi a quella di seconda mano arrivata dal Texas, sosteneva che tutta quella monumentalità indicava l’esistenza di un’altra agorà. Il grande archeologo italiano invece escludeva che ci fosse un’altra piazza, oltre quella nel “centro storico” con il tempio dedicato ai fondatori. Come soprintendente di Siracusa, e di quella mezza Sicilia dove aveva scavato rivoluzionando le conoscenze archeologiche, protendeva per l’esistenza di un santuario. Ed è questa pista che la Scuola francese oggi segue con attenzione, confortata dal ritrovamento “di una rara struttura circolare con offerte votive, che venivano coperte con uno spesso strato di pietre quando si riempiva”. Che all’epoca della fondazione da quelle parti ci fosse un culto, lo confermerebbe pure “il ritrovamento odierno di frammenti policromi, riconducibili al basamento arcaico di una dea scoperto da Vallet nei primi ritrovamenti”.

PER APPROFONDIRE: Megara Iblea, scavo francese scopre il porto militare greco?

Sulle tracce del santuario a Hera citato da Diodoro Siculo, tombaroli in azione nello scavo in corso.

Mariada Pansera e Giuseppe D’Urso con gli ultimi reperti.

Gli archeologi cercano di andare a fondo, letteralmente. Riprendendo gli scavi nel 2006, dopo un decennio di stasi, nelle vicinanze hanno trovato un altro santuario e “un fossato neolitico più antico”. La paludosa Arenella circondata da strade, portici e fontane resta però un grande mistero. “Una traccia ce la dà Diodoro Siculo, quando racconta che dopo uno scontro navale coi cartaginesi in queste acque, i naufraghi siracusani nuotarono fino a una spiaggia dove sorgeva il tempio di Hera”. Se trovato, si potrebbe riscrivere la storia sulle origini della Grecia classica, catapultando questo lembo di Sicilia fra i protagonisti della sua genesi culturale. Ma se per secoli c’è stato tutto questo via vai di fedeli della dea Madre, al netto dei tombaroli che persino nella notte fra sabato e domenica hanno “ripassato” lo scavo in corso, possibile che all’Arenella non si trovino a centinaia i cocci delle offerte votive? Ovviamente se l’è chiesto pure Sourissou, e insieme al collega Reine-Marie Berard cerca di venirci a capo, aiutato da una squadra franco-italiana di ricercatori e studenti. Tutti precariamente alloggiati nel faro Cantera, proprio adiacente l’antiquarium ricavato in una masseria medievale, diventato un contenitore vuoto che rappresenta l’emblema di un sito bello e impossibile.

Antiquarium danneggiato da ladri e incuria, ma il restauro non parte solo perché manca una firma.

Il professor Sourisseau illustra la tomba arcaica trovata nell’antiquarium.

Il piccolo museo, infatti, è un espositore mancato e uno scavo archeologico riuscito. I ladri hanno cercato di saccheggiarlo, come tutto il resto. Ma le vetrine erano state prudentemente svuotate, prima di chiuderlo. Quanto rimasto, non hanno potuto prenderlo perché inamovibile. Proprio all’ingresso, a filo pavimento c’è una tomba arcaica decorata con delicati fregi, e accanto orci in bronzo interrati che raccontano di un uso pure abitativo dell’area. Nella sala dopo, un metro sotto ci sono i resti di un villaggio neolitico, con un tratto di muraglione successivo che incorpora un capitello dorico riusato. Ben visibili i buchi nella roccia dove si piantava il palo che reggeva il tetto delle capanne preistoriche. Fori uguali e coevi a quelli rimasti sul promontorio all’ingresso del fiordo di Brucoli, dove la Regione aveva autorizzato a montarvi sopra un nuovo club nautico, corredato di pizzeria panoramica. Quella stessa Regione Siciliana che dopo anni ha finanziato il recupero dell’antiquarium, ma incredibilmente i lavori non partono perché “manca una firma per l’affidamento dell’incarico”, come spiega sconfortato il direttore Giuseppe D’Urso. Che regge il parco archeologico Leontinoi-Megara Iblea solo ad interim, nell’attesa che Palermo nomini il successore di Lorenzo Guzzardi, andato in pensione. “E speriamo che mandino un archeologo, o almeno un architetto“, aggiunge Panzera. La presidente di Archeoclub ha tutti i motivi per polemizzare.

PER APPROFONDIRE:Augusta, urbanistica fai-da-te: pizzeria sul fiordo e piscine da una gebbia

Naxos un gioiello, Augusta sito abbandonato. Archeoclub accusa: onlus da sole qui non bastano.

Megara Iblea, in copertina Jean-Christophe Sourisseau illustra la cartografia dell’antico abitato greco intorno la palude dell’Areenella.

La fatiscente biglietteria è stata restaurata dalla onlus con l’aiuto concreto di Marisicilia, “dopo aver sentito le lamentele dei visitatori sulle condizioni di abbandono del sito, a cominciare proprio da dove venivano accolti per pagare il biglietto”. Per tagliare l’erba ed evitare incendi disastrosi fra le rovine, “dobbiamo ringraziare la cementeria Buzzi Unicem“. Per togliere i rami che il maltempo avevano reso pericolanti, è dovuta intervenire l’associazione Hangar team, impiegando il suo 5 per mille. “E per smaltirli ci è venuto incontro l’inceneritore Gespi, altrimenti non avremmo saputo come fare”. Panzera si dice “amareggiata e dispiaciuta che oggi non ci sia nessuno a rappresentare l’amministrazione comunale, perché sarebbe stato il luogo opportuno per dare risposte alle domande che Archeoclub pone da tempo”. Puntualizzando che “un sito di rilevanza internazionale come Megara Iblea non può contare sempre e soltanto sui volontari“. D’altronde basta vedere come è tenuta l’area archeologica di Naxos, con prati all’inglese, panchine, viali alberati e lastricati. E’ un vero parco urbano, in parte illuminato da lampioni, con una decina di custodi e un antiquarium che ha pure la sezione di archeologia subacquea. Le scarne rovine portate alla luce nel Comune di Giardini non sono paragonabili, per entità e imponenza, con quelle scavate nel territorio della Città di Augusta. Eppure, fra i due parchi ci sono anni luce nella valorizzazione, nonostante la Regione “competente” sia la medesima. Forse dove ci sono ciminiere non deve esserci null’altro, che possa lontanamente far pensare a un’economia alternativa? Questo è un enigma ancora più intricato del santuario di Hera nella palude all’Arenella. Oppure no.

L’ingresso dell’area archeologica di Naxos.
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Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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