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Eni: danni dal Sistema. E Amara le paga una pagina su Repubblica

AUGUSTA – La “vendetta” di Eni contro Piero Amara è un piatto ancora scottante, che l’avvocato di Augusta non si fa servire freddo. Il colosso statale ha impiegato meno di 24 ore, per aver visto applicata la sentenza che condanna il suo ex legale a ripagarla di 280 mila euro per “danno non patrimoniale”, più gli interessi. Oltre a 22 mila e 457 euro di spese processuali, a cui devono aggiungersi Iva, costi generali e “Cassa previdenza avvocati come per legge”. Sulla causa di risarcimento intentata nel 2019 dalla Spa, in seguito allo scandalo del cosiddetto “Sistema Siracusa”, il tribunale ordinario di Terni si era pronunciato appena il 14 giugno scorso. E il 16, quel pronunciamento favorevole alla società energetica si trovava già impaginato nella tipografia dei maggiori quotidiani italiani. Pronto per essere pubblicato, come da dispositivo emesso in primo grado dalla sezione civile. Un’intera pagina comprata su Repubblica del 17 a spese del legale augustano, i cui contenuti sono destinati ad apparire “in una giornata di venerdì, sabato o domenica” pure sul Correre della sera, Il Sole 24 ore, Il Fatto quotidiano, Il Giornale e Libero.

Il giudice civile di Trani aveva dato 15 giorni per pubblicare sui giornali la sentenza di risarcimento.

Il giudice Tommaso Bellei aveva dato 15 giorni di tempo per farla finire sui giornali, “a cura e spese” del soccombente. Ma allo stesso tempo “autorizzando altresì l’attrice a provvedervi direttamente”, nell’ipotesi in cui “la pubblicazione non venisse eseguita dalla parte obbligata con il rispetto delle modalità e dei termini stabiliti”. Tuttavia alla società non è stato necessario aspettare due settimane, per far riportare a galla l’ennesimo pezzo di un puzzle ancora da ricostruire nella sua complessità. L’Eni aveva intentato causa ad Amara per 30 milioni di euro, dopo che uno dei filoni dell’inchiesta sul Sistema Siracusa aveva fatto emergere una manovra diretta a ingerirsi pesantemente nella gestione societaria. Utilizzando false denunce, e i servizi compiacenti di un pubblico ministero in forza alla procura di Siracusa, poi uscito dai ranghi della magistratura. Un caso montato ad arte, “in realtà inesistente per stessa successiva ammissione” dell’avvocato augustano, come puntualizza la sentenza di Terni. La cui parte pubblicata ricostruisce una trama, da cui agevolmente Hollywood potrebbe trarre un legal thriller di successo.

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Il colosso petrolifero di Stato danneggiato da un complotto per destabilizzare il cda del 2015.

Piero Amara.

Il giudice ha “accertata la responsabilità extracontrattuale di Piero Amara per aver redatto ovvero fatto redigere e depositare, nell’anno 2015, una serie di esposti anonimi alla procura di Trani” contro alcuni amministratori dell’Eni. Un piano congegnato per interferire nelle vicende del consiglio di amministrazione, nel quale è rientrata pure “una denuncia alla procura della Repubblica di Siracusa, al cui interno poteva contare sulla complicità del pm Giancarlo Longo“. In quelle segnalazioni redatte ad arte per far aprire fascicoli giudiziari, e far scattare le relative indagini intrusive nell’attività della Spa, “veniva denunciato un preteso complotto asseritamente finalizzato a destabilizzare i vertici”. Il tribunale di Terni ha confermato che quella presunta “congiura” nel cda del colosso energetico era tutta inventata. Ma aveva fatto finire nel tritacarne giudiziario due consiglieri dell’epoca, Luigi Zingales e Karina Litwach, e il manager Umberto Vergine. Secondo la denuncia presentata dalla società, nel fantomatico complotto sarebbero stati messi in mezzo anche “avvocati d’affari, giornalisti e servizi di sicurezza stranieri”. Nei procedimenti penali scaturiti dalla vicenda, Amara si era difeso sostenendo di aver costruito tutto “per accreditarsi coi vertici dell’ufficio legale Eni”. Anche se in realtà non avrebbe dovuto averne affatto bisogno, perché in quelle stanze ovattate lo conoscevano molto bene. E ne avevano già apprezzato i risultati.

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Danni chiesti dalla Spa all’ex legale di fiducia per “questioni implicanti il diritto ambientale”.

sopra e copertina, foto tratte dal sito societario.

Infatti, la stessa azienda petrolifera ammette che “in precedenza aveva intrattenuto rapporti professionali su questioni implicanti profili di diritto ambientale, nei quali l’avvocato Amara era specializzato”. Una “specializzazione”, che al colosso del petrolio era risultata proficua soprattutto nel Petrolchimico di Priolo. Dove le inchieste sull‘inquinamento industriale si susseguono da anni, lasciando sostanzialmente immuni le stanze dei bottoni. Eppure Eni è stata lesta a chiedergli 30 milioni di danni, poi abbondantemente ridotti a 280 mila euro dal giudice di Trani. Aggiungendoci nel conto richieste pure la pubblica “berlina” sulla grande stampa nazionale, “a caratteri doppi del normale e per tre volte a intervalli di almeno una settimana l’una dall’altra”. Il tribunale alla fine questa “soddisfazione” gliel’ha riconosciuta solo una tantum, e senza nulla imporre sul corpo tipografico. Il fatto che sia stata ottenuta in tempi record, e con modalità “esibite” come un’intera pagina, aggiunge l’ennesima singolarità a una vicenda che ne ha già tante da chiarire. Come riconoscono le stesse sentenze penali.

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Tribunale di Messina: dal cervello del Sistema Siracusa strategie per alleggerire gli amici potenti.

Risale al 27 marzo di quest’anno il deposito delle motivazioni, con le quali il tribunale di Messina spiega perché il 27 settembre dello scorso anno ha condannato l’avvocato augustano. E con lui, fra gli altri, il socio Giuseppe Calafiore, l’ex pm Longo e l’ex senatore forzista Denis Verdini. Quella sentenza però apre più interrogativi di quelli che chiude. Il collegio penale innanzitutto fa notare che ilmodus operandidel Sistema Siracusa “si è affermato in contesti e situazioni profondamente diversi, dagli affari di interesse di alcune imprese locali al coinvolgimento di un colosso imprenditoriale come l’Eni”. Nel dispositivo emesso dalla presidente Maria Eugenia Grimaldi, coi giudici a latere Letteria Silipigni e Francesco Torre, c’è poi un passaggio che potrebbe dare molte chiavi di lettura. Anche a vicende concluse col colpevole ultimo additato sulla pubblica bacheca della stampa nazionale. “Piero Amara in particolare, il ‘cervello‘ del sistema criminale, appare quasi perseguire, anche nella sua nuova veste di loquace collaboratore di giustizia, strategie volte ad alleggerire le posizioni di taluni ‘compagni di strada’, specie i più potenti, dai quali ha molto ricevuto, e allo stesso tempo ridurre o sviare l’attenzione dai nodi cruciali delle scelte corruttive”. Questo giudizio si può estendere anche per l’insolita pagina a pagamento su Repubblica, che va ben oltre sia della richiesta di una pubblicazione solo “a carattere doppio” avanzata dalla Spa, sia della stessa lettera della sentenza?

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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