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De Mita, “la politica del ragionamento” che a Brucoli previde la fine della Dc

Ultimo aggiornamento lunedì, 20 Giugno, 2022   18:06

SIRACUSA – “Ci sono politici che lasciano eredità enormi, veri giganti rispetto al panorama attuale: qual è il lascito di Ciriaco De Mita? Che la politica è soprattutto ragionamento, non solo azione”. Lo ricorda bene Rino Piscitello, che col leader Dc venuto a mancare il 26 maggio non ebbe un inizio proprio cordiale. Anzi, il primo incontro del rampante onorevole siciliano finì con l’anziano titano della Prima repubblica che se ne andava indispettivo. “Poi mi riferirono che aveva persino pianto per la rabbia”, ricorda l’ex deputato, che nel giorno della scomparsa lo commemora con quel misto di rispetto e affetto riservato a un padre nobile. Il siracusano oggi è “coordinatore nazionale di Sicilia nazione“, nonché “collaboratore del vicepresidente della Regione, Gaetano Armao“. Ma in quel lontano aprile del 2001, appena quarantenne, era stato incaricato dalla nascente Margherita di affrontare i desiderata dell’ex presidente del Consiglio. Si doveva trattare delle candidature dell’Ulivo alle politiche poi vinte da Silvio Berlusconi, che la coalizione-laboratorio del futuro Pd dove presentare nei collegi della Campania, mediando fra la macedonia delle segreterie. Per il Partito popolare si era presentato il democristiano di Nusco, che della sua città sarà ancora sindaco a 94 anni, già autore di pubblicazioni studiate nelle facoltà di Scienze politiche. Come finì quel confronto fra il nuovo che avanza e il vecchio che resiste a ogni tempesta, diventerà storia di quegli anni grazie ai resoconti che ne diedero il Corriere della sera e Repubblica.

De Mita e lo scontro epico perso con Piscitello per le candidature in Campania.

sopra e sotto: Rino Piscitello ieri e oggi (foto Fb).

“Scena d’apertura: il colossale Rino Piscitello, Asinello, che si annoda un tovagliolo attorno al collo e al tavolo delle trattative infila la forchetta nell’amatriciana: scusate io mangio”. La descrizione di Concita De Gregorio sul numero di Repubblica uscito in quei giorni, racconta cosa accadde quando arrivò De Mita: “Piscitello, amo molto la Sicilia che tu rappresenti, amo Pirandello ma non riesco ad amare la tua follia”. Si riferiva alla pirandelliana corda pazza, che prende tutti i siciliani. Ma quel sottile riferimento non lo capì il deputato che aveva esordito con la Rete di Leoluca Orlando, e lì rappresentava il partito del giustizialista Antonio Di Pietro. In effetti non l’ha afferrato nemmeno dopo, quando il cronista gli ricorda quel lontano episodio. Però ricorda perfettamente come il vecchio democristiano aveva proseguito:“E’ inutile fare forzature, non puntiamo necessariamente sulle percentuali alle Europee, mettiamo candidati in base alla forza che hanno sul territorio”. E così via, “per tre ore filate” di dotta dialettica e astuzie bizantine, dove il campano mostra le sue doti da intellettuale della Magna Grecia universalmente riconosciute. Che in quell’occasione, tuttavia, si scontrarono con un più prosaico “ragiona quanto vuoi, ma a noi ne toccano 25”.

L’anziano leader del tutto va come sempre e il giovane onorevole del cambiare in fretta.

“Il fatto è che si scontravano due mondi che non si comprendevano”, commenta Piscitello a distanza di vent’anni. “Io pensavo che il mondo doveva cambiare e pretendevo cambiasse tutto in fretta, lui pensava che le cose dovevano andare come sempre erano andate. Sbagliavamo tutti e due: lui non capiva la nostra lingua politica diversa che anticipava il cambiamento, io non comprendevo che in politica non conta solo il diritto dei numeri”. Poi si sarebbero compresi meglio. “Era simpatico, sono stato persino ricevuto nella sua casa romana per risolvere i problemi con tranquillità”. Ma quel primo approccio fra “il giovane impudente e il vecchio saggio”, non si concluse proprio all’insegna della stima reciproca. Il finale lo metterà agli atti delle emeroteche Gian Antonio Stella, sul Corriere della sera:“Credevo di trovarmi davanti un siciliano pirandelliano, invece sei un tedesco di Siracusa“. Invece si sbagliava. Perché la rivincita contro la strapazzata finita sui giornali, sarebbe stata materiale per una novella di Pirandello. “Mi sono fatto candidare proprio dietro De Mita nel collegio proporzionale della Campania, con la certezza che grazie ai suoi voti sarei stato eletto”. E infatti così avvenne anche se poi, “solo per espressa volontà del partito”, il siracusano optò per l’altro seggio paracadute ottenuto a Roma. “Cosa ho imparato da quella vicenda a distanza di vent’anni? Che anche quando hai ragione, non sempre puoi dirla tutta”.

“Allontaniamo i capaci, ci circondiamo di mediocri servili”: a Brucoli vide la fine della Dc.

Ciriaco De Mita agli esordi nella Dc (foto Il Cittadino).
copertina, il ritratto del sindaco nel portale del Comune di Nusco.

Eppure, se c’è una virtù che De Mita praticava nel partito inventore delle “convergenze parallele” e altre fumisterie in politichese, era proprio la lucida chiarezza. Erano i primi di ottobre del 1991, quando lo dimostrò salendo sul palco del Valtur di Brucoli. Il villaggio turistico era stato stato da poco sgomberato dalle famiglie rimaste senza casa durante la scossa del 1990. Un evento catastrofico battezzato sui giornali come il sisma di Santa Lucia, e dai senzatetto che lottavano per la ricostruzione come il terremoto dei silenzi. In quel contesto di abitazioni inagibili e comitati spontanei di lotta, la Dc decise di organizzare il congresso nazionale dei giovani democristiani. Una scelta di vicinanza alle popolazioni colpite, alla quale non era estranea la necessità di far affluire denaro fresco in una struttura che gli “ospiti” avevano svuotato portandosi persino i bidet. Il summit Giò polis fece arrivare la stampa di tutta Italia, costretta finalmente a “scoprire” che l’epicentro era stato a pochi chilometri dal Petrolchimico invece che a Noto. I discorsi dei leader in grisaglia ministeriale generarono più collegamenti in prime time, di quanti ne erano stati dedicati ai terremotati. Ognuno si rivolgeva ai dirigenti allevati per un domani che Tangentopoli non avrebbe mai fatto arrivare, ma in realtà sfruttavano l’evento coperto dalle tivù per la politica nazionale. In quella auto-celebrazione per rappresentare al Paese l’eternità della Balena bianca, l’unica voce dissonante arrivò col caratteristico accento irpino. “Non selezioniamo più i giovani preparati e capaci, aiutandoli a crescere per sostituirci, per paura che poi ci faranno ombra. Ci circondiamo invece di figure mediocri e servili, pronte a darci sempre ragione. Se non cambiamo rotta subito, siamo destinati a scomparire prestissimo, senza lasciare nulla dopo di noi”. L’anno dopo è arrivata Mani pulite.

PER APPROFONDIRE: Augusta, ombre sul voto. Piscitello: candidati parlino sul “Sistema Amara”
Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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