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Augusta, sindaca e “maschilista”: bacchettate dalla Consigliera di Parità

Ultimo aggiornamento mercoledì, 3 Marzo, 2021   00:32

AUGUSTA – C’è chi inciampa nei lemmi e chi invece ignora la sintassi istituzionale. Ma se lo “sbinnonno” del consigliere-operaio Giancarlo Triberio gli fa guadagnare in simpatia, la bacchettata della Regione alla sindaca-avvocata Cettina Di Pietro è di quelle che lasciano il segno. E’ stato un richiamo a rispettare il corretto genere lessicale, quello che la Consigliera regionale di parità ha inviato a una grillina che ama definirsi “ufficiale di governo nonché donna e mamma”. La lettera del 16 dicembre, firmata “professoressa Margherita Ferro“, fa una tirata d’orecchie alla prima cittadina. Che il 4 dicembre si era irritata col capogruppo di minoranza perché la appellava in aula come sindaca“, rimbeccandolo con un infantile “allora io la chiamerò Giancarla“. Ora l’assessorato regionale le ricorda l’obbligo di usare il femminile, quando le cariche sono occupate da donne.

Lettera-richiamo a Di Pietro dopo il “chiamami sindaco”.

“Non vi è dubbio che la parità passi anche attraverso il linguaggio, dando riconoscimento a ruoli e professioni ricoperti da donne che altrimenti vedrebbero negare la propria esistenza attraverso un ‘oscuramento’ linguistico“, sottolinea la lettera della Regione.“Mi auguro che per lei la declinazione al femminile di sindaco in sindaca non equivalga ad una diminutio del suo ruolo, negando di fatto la parità tra uomo e donna”, scrive ancora la professoressa Ferro. Ma in quel “Giancarla” minacciato come una ritorsione, c’è dentro qualcos’altro. Se ne sono rese conto Francesca Di Grande, Maria Leonardi, Francesca Marcellino e Paola Perata quando hanno scritto alla Consigliera di parità per segnalare questo caso di maschilismo di ritorno.

Segnalazione da 4 donne: usa femminile come disvalore.

Il consigliere di Articolouno, Giancarlo Triberio: il suo “sindaca” ha scatenato il caso.

“La condotta suddetta è discriminatoria in quanto volta a sminuire il ruolo di chi si ha davanti proprio appellandolo al femminile, facendo passare il messaggio che la declinazione femminile sia un disvalore, ed è il motivo della nostra richiesta formale del Suo intervento”, riporta la missiva delle quattro donne augustane. Si sono firmate coi semplici nomi e cognomi, omettendo alcuni robusti titoli professionali. Perché è nella loro identità di genere che si sono sentite ferite, in quanto “accaduto nel consesso di massima espressione della democrazia cittadina, il consiglio comunale, aperto al pubblico durante le sedute consiliari”. In quel luogo istituzionale che è come una cattedra, soprattutto grazie alla diretta streaming, Di Pietro non ha affatto dato un buon insegnamento.

Di Grande, Leonardi, Marcellino, Perata: siamo basite.

L’avvocata Francesca Marcellino.
Copertina, Di Pietro nel consiglio “di genere”
fra vicesindaca Suppo e presidente Marturana

La sindaca in questi anni non si è persa una sola inaugurazione di“panchine rosse”, regolarmente immortalate da selfie e fotoreporter. Ma poi si è parecchio adombrata quando Triberio l’ha appellata al femminile, reagendo come se l’avesse ingiuriata. “Siamo deluse, amareggiate e basite, perché qualcuno nella posizione di massimo potere amministrativo esplicita un comportamento discriminatorio in consiglio comunale, scagliando come una freccia il nome femminilizzato del consigliere d’opposizione”, scrivono ancora le 4 firmatarie della protesta. In realtà, complice la tensione per una crisi idrica che la sta prosciugando politicamente, la grillina è venuta fuori “al naturale“.

Le radici ideologiche della grillina cresciuta a Destra.

La sua cultura politica, Di Pietro se l’è formata negli ambienti di Destra. Portandosela dietro nei 5 Stelle, dove la condivide comodamente con la maggior parte dei dirigenti nazionali, da Luigi Di Maio ad Alessandro Di Battista. Si ha un bel dire che col Movimento si è “oltre” le ideologie: è lo stile di governo che qualifica le radici ideologiche. L’autoritarismo della sindaca 5S nel gestire la burocrazia comunale, la compressione dei diritti democratici della minoranza, l’intolleranza verso il giornalismo critico e ogni forma di dissenso, la minaccia di far ricorso alla repressione di forze dell’ordine e magistratura penale a ogni contestazione, parlano da sole. Come si commenta da sola l’assenza di manifestazioni ufficiali per celebrare il 25 Aprile. E il silenzio sulla mozione di Articolouno e Diem25 per revocare la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Presentata proprio l’indomani della sua esibita presenza alla marcia milanese in solidarietà di Liliana Segre e contro l’antisemitismo, deportata adolescente ad Auschwitz dalle stesse leggi razziali di quel Duce ancora augustano ad honorem.

Amministrazione scivola verso culto della personalità.

Il sorriso in favore di fotocamera durante il drammatico dibattito sulla crisi idrica.

Recentemente Di Pietro ha manifestato pure una sorta di culto della personalità. Proprio in quella seduta sulla desinenza sindacale, si è platealmente fermata durante il suo intervento con un irrituale “aspettate che sorrido perché c’è il giornalista che fotografa, aspetta che faccia una faccia strana”. Lo stesso fastidio per foto troppo “realistiche” l’aveva esternato alla corrispondente della Sicilia, apostrofata sgarbatamente in piazza Duomo durante la donazione di un pulmino disabili chiesto alla Sonatrach. In questo assillo per le istantanee non c’è l’innocua vanità di apparire come una diva dei rotocalchi: c’è invece una visione personalistica del Potere, che tale deve manifestarsi attraverso il volto di chi lo detiene. L’immagine del Potente è virile per definizione ancestrale, per questo pretende che il genere con cui far appellare la sua carica lo sia altrettanto. A una nota del 28 ottobre dei consiglieri Biagio Tribulato e Angelo Pasqua, la grillina risponde in modo stizzito: “Avendo in questi 4 anni e mezzo di mandato ripetutamente sottolineato la volontà di essere appellata Sindaco, termine non abolito dal nostro vocabolario, anche in relazione a una carica rivestita da una donna, il perdurante utilizzo del termine Sindaca anche in note ufficiali appare come autentica mancanza di rispetto della carica, altrimenti detto sgarbo istituzionale“.

Ferro: declinazione femminile carica è corretto italiano.

Di Pietro considera “sgarbo istituzionale” chiamarla con la parità di genere
Foto tratta da Fb

La stessa eco ideologica giovanile si trova nella surreale polemica sul “non mi chiami sindaca”. Perché negli ambienti oggi pudicamente definiti “sovranisti“, l’introduzione del femminile nel lessico tradizionale è considerato retaggio del femminismo sessantottino. In quello scontro consiliare, Di Pietro ha sfottuto il consigliere di Sinistra dicendogli di “non capire l’italiano”. Ora la Consigliera per la parità di genere le rinfresca come “l’Accademia della Crusca ci ricorda che la declinazione femminile innovativa di molte professioni non solo è corretta dal punto di vista linguistico, ma è lo specchio dei tempi a seguito del cambiamento della società e dei ruoli ricoperti. Voler negare la declinazione al femminile, soprattutto quando sono le donne ai vertici delle istituzioni, vuol dire escludere ed oscurare il genere femminile da carriere e professioni”. 

Violate linee guida Miur per linguaggio amministrativo.

Le linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del Miur.

Forse per brevità, la lettera alla sindaca di Augusta omette le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo“, elaborate dal Ministero dell’Università e della ricerca scientifica. Un testo illuminante e articolato, che riprende una serie di norme emanate nel tempo per introdurre una “mentalità” attraverso l’uso dei termini. La professoressa Ferro cita però “il Manifesto delle giornaliste e dei giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’informazione”. Conosciuto come Manifesto di Venezia,“ritiene prioritario adottare un linguaggio declinato al femminile per i ruoli professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne e riconoscerle nella loro dimensione professionale, sociale, culturale”. Usare “sindaca” sulla stampa perciò è un dovere professionale. Nulla dice invece sulle foto.

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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