Aldo Mantineo racconta “Il mio mare” e la storia del Plemmirio CULTURA ERROR404.ONLINE di Massimo Ciccarello Scritto sabato, 7 Dicembre, 2019 00:42 Ultimo aggiornamento martedì, 2 Marzo, 2021 23:53 AUGUSTA – E’ uno di quei giornalisti che “romanziere” non lo considera affatto un insulto. Anzi. Perché nonostante i suoi 30 anni e passa da cronista vero, di quelli che consumano suole, caffè e penne Bic in quantità industriale, talvolta prendendo pure qualche premio per lo scoop dell’anno, Aldo Mantineo lì è arrivato: a scrivere senza più i vincoli dell’oggettività dei fatti. “A cercare nella fantasia quel finale di una bella storia che la realtà spesso ti nega”, spiega il reporter siracusano al termine della presentazione de “Il mio mare”. La sua ultima pubblicazione è sbarcata al circolo Unione di Augusta il 4 dicembre, insieme a Patrizia Maiorca. Che per parlare su quel racconto intessuto di memoria e poesia, è arrivata più come musa ispiratrice piuttosto che da presidente dell’Area marina protetta del Plemmirio. Sono due ex, il redattore e la campionessa mondiale di apnea. Ma negli occhi brilla ancora la stessa scintilla di quando, ognuno nel proprio ruolo, hanno lottato per quel pezzo di costa incontaminata, su cui aveva messo occhi e soldi una multinazionale del tonno in scatola. Già, perché ciò che oggi è vanto naturalistico e attrazione turistica, stava per diventare un allevamento intensivo che avrebbe intorbidato irrimediabilmente le acque cristalline. Fu Enzo Maiorca a metterci cuore, faccia e polmoni, per lasciare quel pezzo di Mediterraneo così come lo trovarono le triremi arrivate dal Peloponneso per fare di Siracusa la capitale della Magna Grecia. “Un discendente della nobile stirpe corinzia”, l’ha definito Fabio Granata nella postfazione al volumetto. L’assessore siracusano alla Cultura l’ha paragonato a un “eroe greco”. E in effetti c’è qualcosa di Ulisse, nel pescatore che abbandonò la caccia subacquea dopo aver avvertito il battito terrorizzato di una cernia agonizzante. La storia di quel salvataggio della scogliera davanti Capo Murro di Porco, è raccontata dai due conferenzieri alla sala attentissima. Ma nel racconto pubblicato da “Sampognaro e Pupi edizioni“, affiora solo qua e là. Sta in filigrana nella ricerca incuriosita di Santiago, adolescente atipico “in un mondo che aveva ormai da tempo confinato la carta nei musei, quelli ancora incredibilmente in piedi”. Il nome dello studente d’informatica rimanda esplicitamente al più celebre vecchio pescatore cubano della letteratura mondiale, che Ernest Hemingway pare abbia immaginato solo fino a un certo punto quando gli diede vita immortale nella sua residenza avanera di Finca Vija, fra una battuta di pesca col Pilar e un daiquiri al caffè del porto. Allo stesso modo c’è qualcosa di vero nel liceale che esplora con lo smartphone acceso, il deposito che custodisce i ricordi di famiglia. E lì trova un gozzo della marineria siracusana che porta proprio il suo nome. E’ una di quelle opere di arte navale affinata da secoli di quotidiana lotta con le onde, che la fine di un mestiere antico come il mondo sta condannando all’oblio. “I pescatori sono spariti in pochissimo tempo”, ha constatato con amarezza la figlia maggiore di Enzo. La trama del volumetto ha il suo finale romanzesco, sorprendente solo per chi non leggeva i giornali negli anni fra la fine del secolo e l’inizio del millennio. Perché l’ex caposervizio della Gazzetta del Sud sarà anche passato dall’altra parte della tastiera; avrà anche superato quel maledetto diaframma che separa un novelliere, da chi scrive dentro la soffocante gabbia del “chi, cosa, dove, quando e perché”. Ma anche se è approdato nell’isola felice della vera libertà nello scrivere, “svincolato dalla verità dei fatti e dalla necessità di sintesi, dove si può ricorrere all’inventiva per far uscire la narrazione”, non ha rottamato il suo bagaglio professionale di ex corrispondente dell’Ansa. “Il mio mare” resta solidamente ancorato ai fatti storici, come una patella nello scoglio. La narrazione fantastica li attraversa come schiuma di marea, ma senza smuoverli. Perché alla fine, anche se a 59 anni diventi “scrittore” perché le redazioni non sono più quelle di una volta, cronista lo resti sempre se lo hai fatto davvero. E continui a esserlo alla vecchia maniera, respirando la polvere di vecchi giornali archiviati per documentarti come si deve. A costo di diventare a tua volta un personaggio da romanzo, fra la moltitudine di blogger qualificati “giornalisti” tout court, anche se incapaci di trovare una notizia per strada nemmeno se ci vanno a sbattere. Proprio uno di quei reporter ormai diventati più letteratura che realtà quotidiana. Che questi tempi social-incomprensibili hanno confinato nelle pagine di carta, destinate a ingiallire. Ma, per dirla come Mantineo, sempre a disposizione di chi sentirà “l’esigenza di formarsi un sapere in qualche misura imbevuto di antico”.