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Augusta, città dei silenzi: confermato il nucleare militare ma è top secret

Ultimo aggiornamento martedì, 2 Marzo, 2021   21:05

AUGUSTA – Nella rada di Augusta c’è un rischio nucleare reale, ma la popolazione non è tenuta a sapere in quale misura. E nemmeno quando si può verificare, perché sarebbe notizia che può addirittura “compromettere le relazioni internazionali”. E’ il Comando marittimo di Sicilia a piantare l’ultimo chiodo, sulla croce che devono portare quanti si trovano costretti a vivere intorno il Petrolchimico. Dove l’amministrazione comunale ha di recente denunciato pubblicamente le colpevoli carenze nelle comunicazioni ufficiali, in caso di incidente nelle raffinerie. Ora la pietra tombale sopra il diritto a essere informati sui potenziali pericoli, arriva sotto forma di risposta a una “istanza di accesso civico e informazioni ambientali” riguardante la “sosta di unità non convenzionali presso il pontile Nato“.

Rischio radioattività somma quello industriale e sismico.

La questione nucleare, che si va a sommare a quella industriale e all’intensa attività sismica della faglia ibleo-maltese, era stata sollevata da Gianmarco Catalano, portavoce del comitato No Muos No Sigonella. Insieme a Francesco Iannuzzelli, rappresentante della rete Peacelink, il 17 maggio avevano scritto a tutti gli enti competenti al traffico navale nella rada augustana. Fortemente incuriositi da una “Ordinanza di polizia marittima”, apparsa il 26 aprile sul sito della Capitaneria di porto. Dove si avvisava di prossime “operazioni militari, con sosta di battello non convenzionale, nel periodo che va dal 6 al 10 maggio”.

Francesco Iannuzzelli, Enzo Parisi, Gianmarco Catalano.
Copertina, il porto visto dal Comando Marina.

“Interessi della Difesa” vanificano il piano emergenza.

Quella pudica espressione, secondo i firmatari, “sembrerebbe riferirsi a un’unita navale militare a propulsione nucleare“. Evenienza che – avevano fatto rilevare – avrebbe dovuto far attivare tutta una corposa serie di procedure. Riguardanti non solo le informazioni basilari di protezione civile, ma anche le contromisure necessarie a fronteggiare un’eventuale dispersione di radioattività. Tutte cose, fra l’altro, espressamente previste dal “Piano di emergenza esterna” pubblicato lo scorso dicembre sul sito della prefettura di Siracusa. Un documento molto circostanziato, che sei mesi dopo va a naufragare contro “gli interessi relativi alla difesa, alle questioni militari, nonché alle relazioni internazionali”.

Marisicilia nega dati ambientali: rivelano troppi segreti.

La risposta di Marisicilia, inviata il 17 giugno, conferma quindi sostanzialmente che una nave da guerra con reattore atomico a bordo è transitata dal porto. E che qualunque informazione richiesta, “attraverso i dati del monitoraggio ambientale, renderebbe conoscibili modalità e tempistiche della sosta”. Ma non solo. L’Ammiragliato sostiene che, “indirettamente”, verrebbe rivelata “la connessa attività operativa/addestrativa dell’unità militare”. La quale, fra l’altro, batteva pure bandiera straniera. Molto straniera. Dato che “trattasi di un’attività che investe i rapporti fra l’Unione europea e uno Stato estero“.

Peacelink, No Muos e Legambiente si mobilitano.

Peacelink e comitato No Muos hanno subito convocato una conferenza stampa insieme a Legambiente, rappresentata dal dirigente regionale Enzo Parisi. Il 19 giugno hanno consegnato ai giornalisti un fascicolo, con la documentazione che attesta come la “riservatezza” militare fa sostanzialmente carta straccia di qualunque diritto della popolazione all’informazione. La risposta di Marisicilia, infatti, dice esplicitamente che “la richiesta impatta direttamente sui dati di monitoraggio ambientale“. Rivelando i quali, “consentirebbe di risalire ai tempi tecnici di rifornimento logistico e prontezza d’immissione nei teatri operativi”.

Il piano per la sicurezza nucleare senza informazioni sugli indicatori ambientali.

Ma Usa, Inghilterra e Francia pubblicano report annuali.

Fra Libia, Siria e tutto il resto, il Mediterraneo di questi tempi non è affatto un mare tranquillo (semmai lo è stato negli ultimi 3 millenni). Sembrerebbe quindi che Augusta, dopo essersi sobbarcata il danno ambientale per rifornire di benzina mezza Italia, per garantire la sicurezza nazionale ora deve silenziosamente caricarsi anche il nucleare militare degli stranieri“E invece non è affatto così”, dice Iannuzzella. Il portavoce di Peacelink spiega che “negli Stati Uniti viene pubblicato ogni anno un report completo, con le analisi generali e i bioindicatori“. Lo fanno per la base di Norfolk, la Taranto della Marina Usa. Ma lo fanno anche in Inghilterra, a Davenport, e in Scozia. Nonché nella vicina Francia, a Tolone.

Catalano: a Trieste coinvolta l’Arpa, ad Augusta nulla.

Per restare in ambito italiano, aggiunge Catalano, “a Trieste viene coinvolta l’Arpa”. Il porto giuliano ha spalancato le porte ai cinesi della Via della seta. Ne avrebbe perciò di ragioni per occultare “i dati di monitoraggio ambientale” a una potenza extra Nato. Eppure, sottolineano i 3 ambientalisti, i triestini sono in grado di conoscere cosa passa dalle banchine asburgiche. E più o meno la stessa cosa sembra accadere negli altri scali concessi per il naviglio nucleare. Sono Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta, La Spezia, Livorno, Napoli e Taranto. Con la chiusura della base sarda a La Maddalena, il traffico atomico su Augusta sembra destinato a intensificarsi. Ma quanto si verrebbe a sapere, se viene opposto il segreto militare pure per i “dati ambientali”?

Parisi: ciminiere fotogeniche ma atomo problema grave.

Il dirigente di Legambiente fa notare, “a quanti si affannano a diffondere le immagini di fiamme alte su una fiaccola appena compaiono, che il rischio radioattivo è molto pericoloso anche se non si presta a essere fotografato“. L’osservazione è caustica verso certe forme di ambientalismo da social, che esibiscono problematiche spostando l’attenzione dalle soluzioni. E da chi deve adottarle, o farle adottare. “Non siamo nuovi rispetto ai diversivi messi in atto per confondere le idee”, osserva Parisi. Spiegando che “i sindaci hanno compiti operativi di protezione civile, devono pretendere di conoscere i dati reali”. Aggiungendo che “non solo è opportuno, ma è doveroso monitorare i rischi del proprio territorio; pretendendo almeno a una stazione fissa di rilevamento, per tranquillizzare la popolazione”. Non è affatto una richiesta gettata lì per caso.

Il rapporto segreto della Us Navy sulla Belknapp rimorchiata ad “Augusta Bay”.

Portamissili Belknapp portata in rada dopo un incendio.

Il 22 novembre 1975, l’incrociatore portamissili Belknap si è scontrato con la portaerei Kennedy, durante alcune esercitazioni notturne al largo delle coste ioniche della Sicilia. La nave americana danneggiata da un devastante incendio, che provocò numerosi morti e danni per 100 milioni di dollari, venne trainata dalla Borderlon nel porto di Augusta. Al pontile Nato vennero effettuate le prime riparazioni per rimetterla in navigazione. E sempre in quella banchina militare venne effettuata l’inchiesta del “Office of the chief of the naval operation”. La corte marziale Usa accertò la responsabilità operativa della collisione. Ma solo 14 anni dopo un’altra inchiesta, stavolta di Greenpeace, raccontò tutta la storia di ciò che era accaduto quella notte. E cosa era stato portato dentro la rada megarese all’insaputa di tutti. Compreso il governo italiano. L’articolo apparso su “Repubblica” del 26 maggio 1989 è di quelli che fanno tremare.

Reale gravità incidente a nave Usa scoperto dopo 14 anni.

“La marina americana ha cercato in tutti i modi di insabbiare la notizia. Ma poi siamo riusciti a mettere le mani sul telegramma segreto. E abbiamo colto il segno”. A parlare è William Arkin, l’esperto di nucleare militare al “Institute for policy studies. Al cronista Arturo Zampaglione racconta che “si tratta del messaggio mandato dal controammiraglio Eugene Carroll, che comandava la Kennedy. Il telegramma conteneva il ‘Broken Arrow‘, il codice di massimo allarme della Navy, e parlava dei pericoli nucleare legati all’ incidente. ‘C’è una alta possibilità – era scritto – che le armi nucleari a bordo della Uss Belknap siano coinvolte nell’incendio e nelle esplosioni avvenute a seguito della collisione”.

Era allerta contaminazione sui Terrier entrati nel porto.

Il“No Forn” impartito dai comandi – No foreign dissemination“, niente deve filtrare all’esterno – racconta che nessuno degli “indigeni” sapeva della potenziale bomba radioattiva che stavano attraccando accanto le raffinerie. Nemmeno a bordo erano in grado di sapere se il devastante incendio aveva intaccato le testate nucleari dei missili Terrier che trasportavano. Solo nel 1989, un lancio della Associated press racconta che un team di esperti era stato “allertato sulla possibilità di contaminazione”.

USS Belknap dopo la collisione (foto tratta da U.S. Naval Institute).

Politecnico: un sommergibile peggio di centrale atomica.

Un sedicente marinaio della Belknap ha poi contattato quell’agenzia stampa Usa, per affermare che aveva subito ustioni ma nessuna contaminazione radioattiva. Sembra un lieto fine hollywoodiano. Ma chi si fida più? Anche perché uno studio del Politecnico di Torino ha accertato che “i sottomarini nucleari possono subire vari tipi di incidenti, anche molto gravi, con frequenza notevolmente maggiore rispetto ai sistemi nucleari civili. In campo civile esistono numerosi sistemi di sicurezza e di emergenza che sono obbligatoriamente presenti nel reattore, senza i quali l’impianto non ottiene il permesso di funzionamento da parte delle autorità preposte. Su un sottomarino, la presenza di questi sistemi è assai più contenuta, per ragioni di spazio, di peso e di funzionalità”.

Senza esito la richiesta del problema Nato in consiglio.

Il report pubblicato nel 2004 fa notare che “essendo vascelli militari, sono soggetti all’approvazione e alla responsabilità esclusivamente delle autorità militari. Di conseguenza ci ritroviamo col paradosso che reattori nucleari che non otterrebbero la licenza di esercizio in nessuno dei Paesi che utilizzano l’energia atomica, circolano invece liberamente nei mari”. Eppure una richiesta di ordine del giorno per trattare in consiglio comunale su queste problematiche nucleari legate esercitazioni Nato, avanzata da Giuseppe Schermi, resta senza risposta dal 4 marzo. Ha fatto prima la Marina a rispondere la conferma-diniego agli “antimilitaristi”, che l‘amministrazione 5 Stelle ad aprire una discussione. Ma quando questi grillini di Palazzo si mettono in prima fila nei cortei di protesta sulle morti per cancro, qualche domanda fuori dal Blog se la sono mai posta?

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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