Incostituzionale legge salva Ias senza il limite alla deroga inquinanti ERROR404.ONLINE PRIMO PIANO di Massimo Ciccarello Scritto venerdì, 14 Giugno, 2024 22:20 Ultimo aggiornamento sabato, 1 Febbraio, 2025 19:39 PRIOLO – Nessuna delega in bianco al governo per sacrificare l’ambiente e la salute della popolazione di un territorio, nemmeno se ci sono di mezzo le produzioni industriali strategiche per l’intera nazione. Specialmente se restano indefiniti i criteri per stabilire quanto e come superare i parametri di legge sugli inquinanti. E soprattutto, se questa deroga per superiore interesse nazionale è dichiarata senza limiti di tempo. Quando ciò accade, qualunque atto legislativo è in netto contrasto con la Costituzione. Come nel caso del cosiddetto “decreto Priolo“, emanato allo scopo di aggirare gli effetti del sequestro giudiziario sull’Ias, che non depurava i reflui del Petrolchimico di Siracusa. Lo ha sancito la Corte costituzionale nell’udienza del 7 maggio scorso, il cui dispositivo è stato depositato solo il 13 giugno. La sentenza ha dato ragione alla Procura di Siracusa, che si era appellata contro il Dl governativo emesso il 5 gennaio 2023, poi diventato legge con alcune modifiche il successivo 3 marzo. Quelle “misure urgenti” non sono state integralmente respinte dalla Suprema corte, ma comunque bocciate “nella parte in cui non prevede che le misure ivi indicate, si applichino per un periodo di tempo non superiore a 36 mesi”. PER APPROFONDIRE: Ias senza più limiti a picchi inquinanti, Gip solleva l’incostituzionalità Decreto per Priolo o cavallo di Troia? Durata illimitata, niente sistema di controlli e valido per tutti. In sostanza, le “imprese che gestiscono a qualunque titolo impianti e infrastrutture di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nel settore della raffinazione di idrocarburi“, non godono di un diritto a inquinare. Nemmeno “in considerazione del carattere emergenziale assunto dalla crisi energetica“. Può essergli eccezionalmente permesso di “assicurare la continuità produttiva“, ma entro 3 anni devono comunque adeguarsi per tutelare “i beni giuridici dell’ambiente e della salute, sia dei lavoratori sia della popolazione vicina alle aree su cui insiste l’inquinamento“. La sentenza è una pietra miliare nella difesa dell’articolo 9 delle Costituzione, dove “la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni”. Perché il governo Giorgia Meloni lo aveva svuotato, introducendo un criterio di discrezionalità potenzialmente in grado di accordare mano libera a tutti. Secondo la Suprema corte, anche se la legge “è strettamente connessa alla specifica vicenda giudiziaria che interessa il depuratore di Priolo“, tuttavia la “portata precettiva trascende tale vicenda assumendo così carattere generale“. E quindi è “potenzialmente applicabile a una pluralità indeterminata di casi analoghi di durata illimitata, priva di prescrizioni puntuali, non accompagnata da un sistema di controlli“. PER APPROFONDIRE: Ias sequestrato: non depurava i reflui industriali, crisi a Petrolchimico Priolo Il governo restringe i poteri della magistratura sui provvedimenti cautelari per i reati ambientali. Per difendere questo cavallo di Troia, la cui “entrata in vigore ha ‘fortemente inciso’ sui poteri cautelari del Gip condizionandoli e limitandoli”, si erano costituti in giudizio pure Isab, Sonatrach e Versalis. Oltre alla stessa Presidenza del Consiglio dei ministri, alla quale la magistratura penale deve dare comunicazione se decide diversamente, inviandola in copia pure al Ministero delle imprese e del made in Italy, e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Per dare modo a tutti di “impugnare il provvedimento di esclusione, revoca o diniego della prosecuzione dell’attività, adottato in presenza di misure di bilanciamento“, presso il tribunale di Roma. Solo che questo bilanciamento fra esigenze nazionali, tutela dell’occupazione e sicurezza per la salute della popolazione, praticamente lo decidono solo a Palazzo Chigi. Infatti la salva Priolo, “anzitutto non indica quale sia l’autorità amministrativa competente ad adottare le ‘misure’ di bilanciamento, alle quali il giudice sarà poi vincolato”. Poi, “non chiarisce in quale rapporto si collochino tali misure con l’Autorizzazione integrata ambientale degli stabilimenti industriali suscettibili di essere indicati di interesse strategico nazionale, né con l’eventuale procedimento di riesame dell’Aia medesima”. Infine, “non prevede alcun termine finale per la sua operatività”. L’unica certezza di quella norma è che tutto “prende avvio con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, con il quale lo stabilimento viene individuato come di interesse strategico nazionale”. In pratica, come nel celebre Carosello del confetto Falqui, “basta la parola” strategica e si può digerire di tutto. PER APPROFONDIRE: Inchiesta Ias, da inquinamento ambientale risparmi industrie per 24 milioni Corte costituzionale: dubbia sostenibilità costituzionale senza i criteri per le deroghe ambientali. La Corte costituzionale definisce “problematico, dal punto di vista della sostenibilità costituzionale della scelta legislativa, il segnalato difetto di qualsiasi indicazione circa il procedimento da seguire per l’individuazione delle misure“. Infatti “la disposizione censurata non condiziona la prosecuzione dell’attività dello stabilimento o impianto sequestrato, al rispetto delle prescrizioni dell’Aia riesaminata”, come almeno è previsto nel decreto Ilva. Invece rimette tutto “all’osservanza di generiche ‘misure’ di bilanciamento, senza chiarire in esito a quale procedimento tali misure debbano essere adottate. E senza chiarire nemmeno se, ed eventualmente in quale misura, i valori limite di emissione possano discostarsi dalle Bat di settore”. Ma soprattutto i giudici costituzionali si chiedono “con quali garanzie di pubblicità e di partecipazione del pubblico, oltre che delle diverse autorità locali a vario titolo competenti in materia ambientale e di tutela della salute“. Le quali a dire il vero, almeno “sul territorio dei Comuni di Siracusa, Augusta, Priolo Gargallo e Melilli“ dove “insiste un complesso di stabilimenti industriali principalmente dediti alla raffinazione del petrolio”, non hanno minimamente battuto ciglio su quel decreto che ne espropriava le funzioni a difesa degli interessi della loro popolazione. 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