Augusta, Morra boccia i giudici per le prove carenti sulla mafia al Comune ERROR404.ONLINE di Massimo Ciccarello Scritto sabato, 26 Settembre, 2020 23:27 AUGUSTA – La mafia al Comune di Augusta c’era, solo che i giudici non l’hanno potuta provare. E’ stata sostanzialmente questa la stupefacente conclusione a cui è giunto Nicola Morra, nella prima uscita elettorale che i 5 Stelle hanno tenuto il 25 settembre in piazza Duomo. Con un comizio dove i limiti dello scontro politico hanno spesso lambito quelli di una contestabile calunnia, il presidente della Commissione nazionale antimafia ha “ribaltato” la sentenza di assoluzione con formula piena per l’ex sindaco Massimo Carrubba. Il senatore grillino ha praticamente gettato un’ombra sull’operato stesso della magistratura, nella vicenda delle presunte infiltrazioni nell’amministrazione che ha preceduto quella della pentastellata Cettina Di Pietro. Bocciando di fatto tanto il Tribunale di Siracusa, che ha sentenziato l’insussistenza del fatto relativo ai condizionamenti mafiosi, quanto la Procura che non ha proposto alcun appello contro il pronunciamento ampiamente assolutorio. Comizio-choc del presidente Commissione antimafia. Anziché vantare i risultati del quinquennio 5 Stelle alla guida del Palazzo, Morra ha “ricelebrato” il processo sul palco. Non senza aver premesso di avere una competenza in materia, derivante dal suo ruolo alla guida della Commissione. “Diciamo che ho studiato”, dichiara il senatore, in premessa del discorso con cui bacchetta di fatto i magistrati. Una puntualizzazione necessaria, considerato che prima di essere catapultato dal Blog di Grillo a Palazzo Madama era docente di liceo in Calabria. Laureatosi in Filosofia a Roma e specializzatosi in Bioetica a Bari, l’insegnante liceale di origini genovesi ha usato la carica al vertice dell’Antimafia per dare autorevolezza a una chiave di lettura del Diritto tutta personale. Così ad esempio, ha spiegato, si viene assolti solo “perché non è stato fugato ogni ragionevole dubbio”. Una formulazione tecnicamente corretta sotto il profilo strettamente procedurale, ma che declamata su un palco senza un inquadramento dottrinale suona come “Il processo” di Kafka: in pratica l’innocenza non è contemplata, poiché si è già colpevoli in quanto imputati. estratto sentenza Tribunale di Siracusa del 10/9/2019, pag.242. Confuse le competenze fra Consiglio di Stato e Tribunale. Spalleggiato dal capogruppo dei deputati, Filippo Scerra, e dal senatore augustano Pino Pisani, la bandiera pentastellata all’Antimafia ha cercato di spiegare perché giudici e pm siracusani hanno preso una cantonata. Facendo però un po’ di confusione. Per sostenere la colpevolezza dell’ex sindaco assolto, in campo contro la grillina uscente con una coalizione civica di centrosinistra, Morra ha tirato fuori la sentenza del Consiglio di Stato datata 2015. Nella quale si rigettava il ricorso di Carrubba e altri 8 consiglieri contro il decreto di scioglimento. Per il senatore “antimafioso” è la prova che “il Comune andava sciolto per proteggere i cittadini dalla mafia”. E quindi, a cascata, è il riconoscimento che l’infiltrazione c’era. Solo che il Tar del Lazio e l’organo di appello della giustizia amministrativa non entrano nel merito di un’accusa, come invece fa il tribunale ordinario. Bensì si limitano a giudicare la legittimità del procedimento con cui è stato adottato un atto. Infatti, riporta la stessa motivazione, “la valutazione che può compiere il giudice amministrativo sulle valutazioni compiute in materia dall’Amministrazione non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio”. estratto della sentenza Consiglio di Stato del 24/4/2015, pag.10 I giudici: le accuse solo frutto di massiccio travisamento. In sostanza, per il Consiglio di Stato c’erano tutti gli elementi oggettivi per adottare la misura cautelare dello scioglimento. Perché, a prima vista, Commissione d’accesso e Procura antimafia avevano raccolto prove tali da “giustificare l’esistenza di una giustificazione motivazionale logica, coerente e ragionevole”. Ma queste prove tanto solide poi non sono risultate, quando c’è stato modo di mettere in campo i periti e gli atti concreti adottati dall’amministrazione Carrubba. La lunga motivazione della sentenza assolutoria, datata 10 settembre 2019, non lascia spazio a molte “interpretazioni”. Dopo aver accertato che “l’accusa mossa a carico del Carrubba, pertanto, pare più frutto di un massiccio travisamento di alcune conversazioni intercettate, che dell’effettiva sussistenza di contatti illeciti del sindaco con i diversi esponenti del clan”, il tribunale di Siracusa lo “assolve dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste“. estratto della sentenza Tribunale di Siracusa del 10/9/2019, pag. 72 Procura rinuncia all’appello ma a Morra non basta. Una conclusione ampiamente assolutoria diventata verità processuale definitiva, dopo la rinuncia della Procura a presentare appello. Morra però non condivide affatto quell’epilogo giudiziario, così scomodo per il giustizialismo grillino a ridosso delle amministrative. Forse ha trovato falle macroscopiche nelle 243 pagine della sentenza, anche se dal palco non le spiega in dettaglio. Oppure, più probabilmente, si è fidato di sintesi maliziose e interessate. Arrivate magari da chi non può contare sullo scudo dell’immunità parlamentare, e lo ha messo avanti. Il sospetto è venuto dalle abbondanti imprecisioni contenute nel suo discorso. Come quando, ad esempio, ha detto che “se uno è tranquillo sulla sua innocenza rinuncia alla prescrizione“. Evidentemente non sapendo che Carrubba non solo vi aveva rinunciato, sobbarcandosi i rischi e i costi di un processo. Ma aveva anche spinto vigorosamente per calendarizzare le udienze, di un dibattimento che subiva fin troppi rinvii per le motivazioni più varie. Il senatore inciampa pure sul finto debito di 102 milioni. Massimo Carrubba nel suo primo comizio dopo lo scioglimento. Copertina, Nicola Morra sul palco elettorale con Cettina Di Pietro e Pino Pisani. Al senatore 5S hanno inoltre raccontato nuovamente che “il debito lasciato dall’amministrazione precedente era di 102 milioni”. Anche qui fermandosi alla prima puntata della Corte dei conti, all’epoca in cui aveva accertato il dissesto sulla base di conteggi poi risultati fatti col pallottoliere. Perché, quando l’Organo straordinario di liquidazione ha aperto i cassetti del Comune e controllato fattura per fattura, alla fine è risultato un terzo di quella cifra. E’ del 30 dicembre scorso la delibera dell’Osl dove parla di 20 milioni e 600 mila euro di “debiti ammissibili”. Eppure il presidente dell’Antimafia ha ripetuto a più riprese quel vecchio computo iper-gonfiato. Senza peraltro essere corretto da una sindaca, che il totale lo conosceva fin troppo bene. Lasciando così il dilemma se sia più inquietante che una carica istituzionale così delicata mistifichi deliberatamente in nome della necessità elettorale, oppure che si faccia condurre con la manina dove vogliono i compagni di partito senza fare prima un minimo di ricerche su Google. 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