Primo maggio, Cgil Augusta: referendum per salvare lotte del lavoro COPERTINA CULTURA ERROR404.ONLINE PRIMO PIANO di Massimo Ciccarello Scritto giovedì, 1 Maggio, 2025 07:30 Ultimo aggiornamento giovedì, 12 Giugno, 2025 12:32 AUGUSTA – Primo maggio, festa dei lavoratori e di “quei diritti che vennero conquistati con le lotte e con il sangue”. Ottavio Terranova e Iano Viola non ci sono a confermare, quando il sindacalista Roberto Alosi ricorda ciò che un tempo era il lavoro. E dove sta tornando, se ai referendum dell’8 e 9 giugno non si mette un freno barrando “si“. I due novantenni sono assenti, il 28 aprile, quando la Cgil chiama a raccolta nell’auditorium di San Biagio. Il segretario provinciale deve spiegare i 5 quesiti referendari, ma quella coppia di storici compagni non c’è. D’altronde, neanche alla vecchia guardia presente serve chiarire perché votare lo “stop ai licenziamenti illegittimi“, a cui sono esposti “oltre 3 milioni e mezzo di dipendenti”. Perché dare “più tutele per i lavoratori della piccole imprese“, risarciti solo simbolicamente se licenziati senza motivo. Perché occorre la “riduzione del lavoro precario“, che lascia 2 milioni e 300 mila dipendenti in balia dell’usa e getta. Perché garantire “più sicurezza sul lavoro“, spezzando la catena infinita di subappalti che abbassano le tutele insieme ai costi. Perché dare “più integrazione“, dimezzando i tempi della cittadinanza a 2 milioni e mezzo di immigrati regolari, i cui umili lavori “garantiscono ricchezza e crescita”. Il palermitano Terranova e l’augustano Viola saltano l’appuntamento nella sala “don Paolo Liggeri”, “giusto della società civile” che aiutò ebrei e antifascisti. Non ci sono, ma non hanno mancato l’appuntamento con la storia, che il 28 febbraio 1961 catapultò Augusta nelle prime pagine e nei dibattiti parlamentari. Per uno sciopero salariale alla Rasiom represso dallo Stato in divisa col calcio dei fucili, e da quello in borghese con una bomba a mano in mezzo ai manifestanti. Una strage sfiorata diventata battaglia di un’intera città, ma rimasta senza targhe e alzabandiera in memoria, anche se grazie a quella reazione collettiva la storia dei diritti nella zona industriale avrebbe svoltato. Ottavio Terranova. sotto, ferito in ospedale. Tutto inizia con “c’era una volta” – anche se non è una favola – un ferrovecchio di raffineria. Nel 1949 smontata dal Texas e trapiantata fra i giardini di San Cusmano, ricchi di acque e resti archeologici di Megara Iblea. Dodici anni dopo, insieme alla grande Inter di Helenio Herrera, il proprietario Angelo Moratti ha pure il grande problema degli operai siciliani che chiedono l’aumento. Paga minima “addirittura” a 10 mila lire al mese. Da giorni i picchetti unitari di Cgil, Cisl e Uil stazionavano davanti la portineria. E sono nervosi, non solo per i crumiri da fuori chiamati a sostituirli. “Un pescatore e suo figlio che, di buon mattino avevano calato le reti in mare, dopo aver gettato in acqua la cicca di una sigaretta appena fumata, furono investiti dalle fiamme che si andavano propagando a causa dei residui di petrolio. Per il più giovane non valsero le grida di aiuto del genitore: in breve venne avvolto dalle vampate di fuoco e perse la vita. Ma già ad Augusta, a causa dei versamenti di petrolio in mare, i pesci erano diventati immangiabili”. Lo racconta proprio Terranova, in un memoriale apparso nel 2021 su Patria indipendente, la rivista dell’Anpi. Aveva 24 anni e faceva il saldatore industriale, quando Pio La Torre lo ha spedito da Palermo a dirigere la Camera del lavoro augustana. E per sopraggiunta, il Pci di Palmiro Togliatti lo fa pure eleggere capogruppo al consiglio comunale. In quell’ennesimo giorno di sciopero c’è però qualcosa che non quadra, davanti la fabbrica dove il turno montante si ostina a non entrare. “Il commissario, che aveva avuto trascorsi coi partigiani e ci aiutava a comporre le vertenze, si trovava fuori servizio”. Il racconto al telefono di Terranova, qualche giorno dopo aver celebrato l’ottantesimo della Liberazione dal palco palermitano, è lucido e appassionato come quello di un militante fresco di tessera. La situazione l’aveva presa in mano il nuovo questore, che si era già distinto nella repressione coi blindati dei moti “Jamm mò” a Sulmona. Di prima mattina è visto chiudersi in direzione coi dirigenti, mentre 500 agenti fatti arrivare anche da Messina e Catania circondano gli operai. “I carabinieri erano schierati sulle alture, come gli Apache di Ombre rosse. I poliziotti facevano muro in fondo al piazzale, con quegli elmetti antisommossa calati fin sugli occhi, che impedivano di riconoscerli”. Gli operai sono solo in 200, e già la sera prima hanno “subito una prima violenta carica”. Ma non avevano mollato, e ora si trovavano quello schieramento “in assetto di guerra“. Hanno capito il perché quando è finita la riunione degli industriali. “Ai tre sindacati presenti fu manifestata la disponibilità dell’azienda a un incontro, mentre tra le forze dell’ordine qualcuno lanciò qualcosa sui manifestanti”. Sembrava un sasso, solo che è esploso appena caduto fra gli scioperanti. Screenshot Atti parlamentari del 7 marzo 1961. “Ricordo questa mano che si alzava dal mucchio di divise, e poi lo scoppio”. A terra restano 18 operai feriti, “alcuni anche in modo molto grave“. Fra loro c’è Terranova, pieno di schegge pericolosamente vicine all’occhio. I compagni cercano di soccorrerli ma la carica, partita all’improvviso, non si ferma. Il racconto è negli atti parlamentari del 7 marzo 1961. Riporta le parole di Giovanni Saraceno, segretario regionale Uil e vicesindaco di Augusta, protagonista l’anno precedente della grande sollevazione cittadina che impedì lo scippo del porto. “Noi fuggivamo dinanzi alle cariche dei poliziotti, ad un tratto alle mie spalle ho sentito uno scoppio ed avvertito un vuoto d’aria. Sono caduto per terra bocconi e nel rialzarmi ho visto il segretario generale della camera del lavoro, con il viso grondante di sangue. Mi sono avvicinato per prestargli soccorso ma sono stato ripetutamente bastonato dai poliziotti. Ho tentato successivamente di avvicinarmi a Boscherino, altro dirigente sindacale, anch’egli ferito alla testa, ma anche questa volta sono stato manganellato insieme con Terranova della Cisl, altro dirigente sindacale provinciale”. Il resoconto delle cinque interrogazioni urgenti sui “fatti di Augusta” presentate alla Camera, riporta anche “quanto è scritto in una corrispondenza:’Un operaio rimasto aggrappato al ponte è stato costretto a gettarsi in acqua, da un poliziotto che lo ha ripetutamente colpito con il calcio del fucile alle mani, mentre si aggrappava disperatamente alla sponda’”. Ma c’è chi ancora può testimoniare che quei sistemi non erano un fatto isolato, bensì una regola di ingaggio. Avanti del 2 marzo 1961. “Ricordo i molti operai arrivati in ospedale, che all’epoca si trovava alle Grazie, feriti perché erano stati fatti cadere nel Marcellino mentre si aggrappavano al ponte per sfuggire alle cariche”. L’augustano Viola, “novant’anni e 9 mesi, perché a quest’età anche i mesi contano”, era fortunatamente assente durante la carica. “Però facevo la staffetta col piazzale”, dovendo badare anche alla nascita della figlia. “Si chiamava Maria ma i compagni me l’hanno subito ribattezzata Scioperina. Appena arrivò la notizia della bomba, furono gli stessi vigili urbani a far chiudere i negozi per lo sciopero generale“. Il memoriale di Terranova racconta che “Augusta rispose subito bloccando tutte le attività della città per protestare. Quella stessa mattina il ministro degli Interni, Mario Scelba, la isolò da ogni contatto esterno. Solo il giorno successivo, fu permesso all’onorevole Emanuele Macaluso e a una delegazione del sindacato di recarsi a far visita ai feriti”. Oggi ricorda che “persino i telefoni era muti”, durante l’assedio dello Stato al Comune retto da un’amministrazione tutta di sinistra, con la Democrazia cristiana all’opposizione. In controtendenza alla Regione, dove un accordo fra Gattopardi aveva dato la presidenza al barone Benedetto Majorana della Nicchiara, monarchico e “qualunquista” ante litteram sostenuto da Dc e Msi. l’Unità del 2 marzo 1961. Il Movimento sociale era attivo anche nei comuni della nascente zona industriale. In che modo, il vitalissimo Viola lo ricorda ancora. “Un esponente missino augustano venne a trovarmi per scoraggiarmi nelle rivendicazioni sindacali, e tanti altri ricevettero pressioni anche da dirigenti della raffineria, o persino da parenti. Di che tipo? Pensa al lavoro e alla famiglia, meglio una gita a Venezia tutta spesata, e così via. Se ha funzionato? Con me no, ma su 10 disponibili alla candidatura per la Commissione interna di fabbrica, solo in 3 sono rimasti. Alla fine la lista Cgil fu comunque la più votata”. Un sonnolento paese meridionale che insorge spontaneamente, deve aver dato da pensare. All’Assemblea siciliana il dibattito infuocato esplode già lo stesso giorno della bomba, quello dopo cade il traballante governo del barone qualunquista. Mentre Moratti nel giro di 48 ore si precipita alla Rasiom, accordando molto di ciò che chiedevano i tre sindacati. La settimana dopo Scelba non ci vuole mettere la faccia in Parlamento. Così spedisce il sottosegretario Oscar Luigi Scalfaro a dire che la bomba era una “Oto balilla, residuato bellico non in dotazione alla forza pubblica“, e che comunque anche “le bombe in dotazione non vengono mai distribuite in un servizio di ordine pubblico“. Quindi “era scoppiata durante il lancio” a chi l’aveva in mano. Intanto, nota Terranova, il commissario troppo amico di sindacati e partigiani “venne promosso e trasferito d’urgenza dal ministro, già lo stesso giorno del rientro al lavoro”. Iano Viola mostra un suo ritratto dell’epoca.. L’inchiesta di rito è sepolta negli archivi del tribunale. Meglio di un faldone giudiziario, ai fini della ricostruzione storica, sono i ricordi ancora vivi di Terranova. “Da confidenze ricevute negli anni successivi, abbiamo saputo che a lanciare la bomba erano stati due ex guastatori della X Mas, arrivati apposta da Bari“. Tutto torna. Probabilmente “i fatti di Augusta” sono una delle prime operazioni di Gladio, allestita nel 1956 per contrastare l’avanzata del comunismo in Occidente. Anche attraverso azioni di “guerra psicologica”, come i manuali Nato delle reti Stay behind sfumano gli attentati terroristici. Congegnati per far apparire false paternità, in modo da indurre l’opinione pubblica a giudicare necessarie le strette autoritarie. L’esistenza di questa struttura dei servizi segreti, spinta dalla Cia e al centro di molte inchieste sulle trame nere, viene rivelata nel 1990 da Giulio Andreotti, che era ministro della Difesa negli anni in cui si allestiva. Lo era nel governo di Fernando Tambroni, sostenuto dal Msi, in carica quando nel 1960 la polizia uccise due scioperanti a Palermo e uno a Catania. Lo era in quello successivo di Amintore Fanfani, che spedì il futuro presidente Scalfaro a fronteggiare l’indignazione parlamentare. Bipartisan, perché nella mancata strage augustana del 1961 avevano rischiato la vita dirigenti di sindacati vicini agli stessi partiti al potere. In quello stesso anno, la Rasiom venne ceduta all’americana Esso, dopo una trattativa che probabilmente era già in corso durante lo sciopero insanguinato. Roberto Alosi. Cedere più vantaggiosamente uno stabilimento con bassi costi del lavoro, incoraggiare le multinazionali del petrolio “bonificando” la zona dalle rivendicazioni sindacali, “pacificare” una popolazione destinata a convivere col transito degli ordigni nucleari Usa per la Guerra fredda, testare nel feudo monarchico della Sicilia una strategia della tensione da usare in contesti temprati dalle lotte partigiane: tante le ragioni convergenti su uno sciopero salariale di ordinaria amministrazione, represso come una sommossa fuori controllo. Dopo 64 anni, Viola nota amaramente che oggi “non c’è più niente di lotta“. Eppure, fra articolo 18, tempo determinato, jobs act, part-time, lenzuolate” di liberalizzazioni, formazione lavoro, contratti interinali, cococo, partite Iva, ce ne sarebbe d’avanzo. C’è un perché se il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha commemorato questo Primo maggio denunciando che neanche un salario basta più. Senza rischiare bombe a mano e fucilate, oggi si può gridare “non ci sto” con la matita copiativa. “Sicuramente il mainstream dei media farà passare i referendum sotto silenzio, e aspettiamoci pure qualcuno che li userà per invitare ad andare al mare”, avverte Alosi. Concludendo la serata nell’auditorium Liggeri con un “sensibilizziamo ad andare tutti alle urne”, inconcepibile negli anni in cui ci si rimetteva la vita per conquistare il diritto di voto. Che a forza di non essere usato, si rischia prima o poi di vederselo cancellato. E quando la storia si riavvolge, inizia il pericolo che riparta dall’inizio, con gli stessi drammi e gli stessi lutti. Che nemmeno i like su Tik tok potranno poi alleggerire. Roma Caput Mundi, ancora di più nell’anno del Giubileogiovedì, 12 Giugno, 2025Se l’approccio alle nuove esperienze è quello giusto, allora persino sfidare la Roma del Giubileo può trasformarsi in un’impresa possibile. Roma è la città che più di… Augusta, Stella sceglie la Dc: Cuffaro entra in maggioranza Di Marelunedì, 9 Giugno, 2025AUGUSTA – C’è pure la Democrazia cristiana di Totò Cuffaro nella maggioranza che sostiene il sindaco di Augusta, Giuseppe Di Mare. 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