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Augusta, ruspe sul neolitico a Castelluccio: per il Comune erano sondaggi

Ultimo aggiornamento mercoledì, 3 Marzo, 2021   14:19

AUGUSTA – Le ruspe a Punta Castelluzzo, fra resti archeologici che iniziano nell’età della pietra e arrivano fino agli spagnoli? Erano solo “indagini quantitative e qualitative sui rifiuti rinvenuti dal soggetto proprietario”. E’ la testuale conclusione a cui erano arrivati gli ispettori della polizia municipale di Augusta, dopo il sopralluogo compiuto il 4 dicembre 2019 sul promontorio fra Agnone e Baia di Arcile. Un tratto di costa devastato dall’abusivismo che in quel piccolo pezzo di litorale si era salvato dalla cementificazione, grazie agli scavi compiuti dal grande archeologo Luigi Bernabò Brea. Un lembo di arenaria a picco sul mare che è rimasto preservato dalla speculazione, fino a quando le pale meccaniche non si sono messe all’opera per togliere il materiale edile scaricato abusivamente. Poi, mentre che c’erano, le benne hanno pure iniziato a intaccare la roccia. Pare, secondo alcune indiscrezioni raccolte dalle associazioni ambientaliste, per gettare le fondamenta di un nuovo agriturismo. Un progetto sul quale, solo adesso, gli uffici comunali vogliono andare a fondo, visto che di agricolo nella zona non è rimasto nulla. Ad ogni buon conto. comunque, la Capitaneria di porto ha apposto i sigilli su ciò che sembra un cantiere all’inizio.

Denuncia presentata a ottobre ma rimasta inascoltata.

Copertina, sopra e successive: immagini da Punta Castellazzo tratte da Facebook.

E’ proprio una strana “ripartenza”, quella cui si è assistito in contrada Castelluccio appena finita l’emergenza epidemia. Perché, grazie alla mobilitazione scattata su iniziativa dei residenti nella zona, alla fine sono saltate fuori carte perfettamente in “regola”. Anche se non “descrivono” affatto gli stessi luoghi ripresi col drone, dopo il passaggio degli escavatori. Eppure, su quanto accadeva a Punta Castelluzzo c’era già dallo scorso ottobre una denuncia alla Procura, nonché alla Soprintendenza e al Comune. Ma è rimasta apparentemente sepolta negli archivi di tutti, almeno fino a quando i social sono stati invasi dalle foto della scogliera spellata e livellata. Eppure, l’autorizzazione paesaggistica a rimuovere i laterizi abbandonati era stata esplicita, nell’escludere qualsiasi picconata. Il parere rilasciato il 7 maggio scorso dai Beni culturali, infatti, “prescrive che la rimozione dei rifiuti nel tratto adiacente i resti archeologici sia eseguito manualmente“. E impone inoltre “che tutti i lavori siano monitorati da personale tecnico di questo ufficio”.

Patti: ora chiudono la stalla quando i buoi sono scappati.

Ma la sorveglianza archeologicapretesa dalla soprintendente a Punta Castelluzzo, è poi stata regolarmente chiesta ed effettuata? E con quali esiti? Non solo, la polizia edilizia ha fatto ulteriori verifiche, dopo il “tranquillizzante” sopralluogo di dicembre? La risposta sarebbe “no“, secondo quanto è a conoscenza dell’ambientalista Giuseppe Patti, candidato alla Camera per i Verdi alle ultime politiche. L’ecologista si è parecchio alterato, quando la sindaca di Augusta “si è vantata su Facebook che stava chiudendo il recinto, quando i buoi erano già scappati da un pezzo”. E forse non ha tutti i torti. Cettina Di Pietro, il 24 giugno, aveva postato che “si è effettuata una prima ricognizione sulla documentazione autorizzativa inerente i lavori in svolgimento”. Aggiungendo, col solito stile del dire tutto e niente, che “abbiamo esaminato i pareri e le autorizzazioni concesse dagli enti competenti”. E che “gli Uffici interessati stanno verificando la sussistenza di eventuali violazioni alle disposizioni impartite”. Concludendo che “l’Amministrazione ha disposto presso gli uffici comunali ulteriori e approfonditi controlli. Rimane quindi alta l’attenzione su questa vicenda”. Tuttavia è proprio quel “rimane” che appare stonato, almeno riguardo le date della “alta attenzione”.

C’erano le ruspe ma per i vigili era tutto in regola.

La comunicazione dei vigili datata 7 febbraio 2020.

La denuncia inoltrata alla Procura e al Comune su quanto accadeva nel promontorio, infatti, porta la data del 23 ottobre 2019. Chi la firmava, dava segnalazione di “aver personalmente sorpreso ruspa e camion in azione“, indicando persino le coordinate satellitari della zona. E allegando foto eloquenti dei mezzi meccanici in attività. Solo dopo oltre un mese i vigili vanno a controllare, accertando il 4 dicembre che il proprietario “non ha dato corso ad alcuna attività edile”. Anzi, scrivono alla denunciante che “per le suddette attività di sondaggio e prelievo campioni, è stata inviata regolare comunicazione”. Il documento indica pure tutti i destinatari: Municipio, Soprintendenza,“Struttura territoriale ambientale di Siracusa”, Capitaneria di porto, Libero consorzio, Arpa. C’è persino l’Agenzia delle dogane. Il documento della polizia municipale porta la data del 7 febbraio 2020. L’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla soprintendente il successivo 7 maggio, però riporta in premessa che risale solo al 25 febbraio “il progetto trasmesso in prima istanza dal Suap” comunale. E che erano del 16 aprile le integrazioni dallo Sportello unico attività produttive.

Sull’area resti dall’età della pietra fino agli spagnoli.

Lo sfasamento di date nei carteggi del Comune e della Soprintendenza, tuttavia, secondo i professionisti del settore è compatibile coi tempi dell’ufficio municipale. Meno compatibile con le necessità di bloccare un potenziale scempio segnalato, è invece il mese abbondante preso dai vigili per il sopralluogo. Nonché i 2 mesi impiegati per tranquillizzare la denunciante circa la “attività di pulizia sfalcio erba e arbusti avviata con comunicazione del 9 ottobre 2019“. Insomma, non è proprio un “rimane alta l’attenzione” da vantarsi dopo che il caso è scoppiato fragorosamente. Specialmente, come rilevava l’esposto, se c’erano scavatori all’opera in una “località censita nel Piano paesistico“. Segnalata come “un sito di comprovato interesse archeologico, con continuità di vita dal Neolitico fino ad epoca spagnola. Sul promontorio è anche documentato per i secoli XIV e XV un Castello“. In realtà si tratterebbe di una torre di avvistamento, della quale “rimangono rappresentazioni” in vecchie incisioni, ma il concetto sul valore storico resta intatto.

Triberio: carte studiate dopo, qualcosa non funziona.

“Qualcosa non funziona: ci si accorge e si cominciano ad analizzare i documenti quando già sono stati sottoposti i sigilli”, scrive Giancarlo Triberio, in un post del 25 giugno sulla vicenda. Il commento del capogruppo consiliare del Centrosinistra, non va oltre. Si spingono invece un po’ più in là le indiscrezioni che parlano di una pratica portata avanti da una Srl di Catania, che nelle Pagine gialle è rubricata sotto la voce “costruzione di edifici residenziali e non residenziali”. Ma nella stessa via e numero civico, con lo stesso indirizzo pec, c’è anche una omonima Spa che Google registra specializzata “in studi tecnici e industriali”. A capo di entrambe, inoltre, ci sarebbe lo stesso geometra catanese. Non è invece chiaro se i sospetti sbancamenti a Punta Castelluzzo siano opera di una ditta di movimento terra, riconducibile alla stessa proprietà dell’area. Quello che invece appare chiaro è l’ennesimo “assalto” forestiero a un bene paesaggistico della costa a nord di Augusta. Era già accaduto con la recinzione della spiaggetta a Brucoli iniziata da una Srl di Melilli, poi rivelatasi l’inizio di una pizzeria sul promontorio e di pontili privati all’ingresso del fiordo. Adesso spunta la bonifica con sbancamento a Castelluccio, con sospette finalità agrituristiche. E chissà quali altre carte sono “sepolte” negli uffici di un Comune amministrato per un quinquennio dalla giunta pentastellata imbottita di assessori forestieri, dove “si mantiene alta l’attenzione” solo quando c’è da piazzare un post su Facebook.

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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