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Mattarella ricorda la Passione dei mille “cristi morti” su Barca nostra

AUGUSTA – La Settimana santa 2025 ad Augusta è diventata il corpo e il sangue di mille poveri cristi, che parlavano le molte lingue di Babele. Presi in sacrificio dal Mediterraneo, dopo un calvario finito col naufragio in quella tremenda notte di primavera del 2015. Strappati ai fondali dopo un anno e restituiti alla terra come una sola comunione, irriconoscibili nella loro individualità, liquefatta e amalgamata dal mare. Sono passati dieci anni esatti quando, nell’intermezzo fra le processioni del Cristo morto dell’alba e del vespro, in città appare un “risorto” da quel Golgota marino, che nel suo volenteroso italiano sorride a tutti e non maledice nessuno. Perché a questo semmai basta da sola la bara di ferro arrugginito, da cui è scampato insieme ad altri ventisette miracolati, compresi i quattro ladroni che facevano da scafisti. Dal 2021 svetta in un angolo inaccessibile della Capitaneria, sepolcro nascosto alla vista di tutti e alle coscienze di molti. Ma non a quella del Quirinale, che in un messaggio per l’anniversario ha voluto ricordare come “dieci anni or sono nel Canale di Sicilia si consumò un’immane tragedia del mare”. Oggi testimoniata da un relitto dove ancora si può leggere uno sconvolgente Benedetta dal Signore, in sbiaditi caratteri arabi. E davanti al quale un pugno di augustani e forestieri convocati dal Comitato “18 aprile”, la data tragica, si è ritrovato per accogliere Sekou Diabagate. L’ivoriano è venuto da Saronno, dove oggi ha famiglia. E dove il sogno europeo, afferrato in extremis grazie al miracolo di un salvagente apparso fra i marosi quando tutto sembrava perduto, si è materializzato con un lavoro da autista. 

Uno dei 28 sopravvissuti torna a vedere il relitto affondato coi migranti: doloroso ma necessario.

sopra e copertina, Sekou Diabagate davanti Barca nostra.

Sekou si trova nuovamente faccia a faccia col peschereccio eritreo, che il governo italiano ha fatto spettacolarmente recuperare da 370 metri sotto, diventato cenotafio degli amici e promemoria del suo destino scampato. Lo aveva già rivisto la prima volta alla Biennale di Venezia 2019, dove uno svizzero parecchio originale lo aveva esposto come Barca nostra“, installazione in cui la provocazione sociale si confondeva troppo col marketing artistico. Nella darsena augustana, proprio in quel porto che è stato Ellis Island per migliaia di migranti salvati dalle Ong, il “fercolo” coi fantasmi dei mille cristi annegati ha un altro impatto. Istintivo il lungo e solitario raccoglimento, prima di condividere i suoi ricordi coi giornalisti e gli attivisti che lo aspettano da ore, causa il volo in ritardo da Milano. E naturale la commozione che erompe prepotente a tratti, quando i ricordi a cui lo costringono le lamiere scassate dello scafo, rompono gli argini protettivi dell’oblio. Aveva 23 anni, quando a Tripoli è salito a bordo insieme ad altri arrivati da Eritrea, Sudan, Gambia. Pure un quattordicenne del Mali c’era, poi identificato solo grazie alla pagella scolastica che si era cucito nella giacca, fidandosi troppo dei tanti film che qui assicurano il lieto fine al merito scolastico. Tutti inghiottiti dalle onde, compreso l’amico con cui il sopravvissuto era partito dalla Costa d’Avorio per andare a lavorare in Algeria. “Però lì le condizioni era dure, per noi dell’Africa nera, e ci siamo spostati in Libia, dove la situazione era pure peggio”. Per i trafficanti di vite umane è facile vendere un passaggio, a chi vuole credere a tutti costi al miraggio che sta dall’altra parte del mare. “Lo sappiamo che è pericoloso, ma è difficile toglierselo dalla testa, se a casa ti aspettano povertà e instabilità politica”.

Fratel Claudio, comboniano: basta parlare di emergenze e creare condizioni di convivenza.

da sinistra, i comboniani fratel Claudio e fratel Tomek

Ancora più difficile è seppellire il ricordo del compagno, “che neppure voleva farla quella traversata”. Alla fine, insieme s’imbarcano e insieme si gettano in acqua, “aiutandoci l’un l’altro per stare a galla: poi non ce l’abbiamo fatta più, e l’ho lasciato andare”. Lo ha ritrovato al funerale che la famiglia è riuscita a organizzare in patria, una delle pochissime in grado di riavere qualcuno su cui piangere. Se adesso Sekou si costringe a riportare tutto a galla, “nonostante mi faccia malissimo parlare di quei momenti, è perché questa storia non deve essere cancellata”. Quello che invece deve essere cancellato è il sistema dell’accoglienza:“Aiutati nell’integrazione? Zero. Ci siamo integrati solo con le nostre forze”. Eppure, secondo fratel Claudio, “più che di integrazione bisognerebbe parlare di interazione. Il comboniano è sicuro che “basta creare le condizioni per favorire la convivenza“. Cita il lavoro che svolge a Palermo, nel quartiere borderline di Borgo Vecchio, dove le ragazzine del volley danno agli altri coetanei curiosi una risposta lapalissiana:“Quando sto passando la palla, mica sto attenta al posto da dove arriva la compagna che la deve ricevere”. Per 12 anni assegnato in Colombia, il missionario dice che “occorre smettere di parlare di emergenza per una realtà così complessa”. Anche se nel mondo attuale sembra una fatica di Sisifo “l’impegno alla costruzione di una fratellanza universale“, e poco popolare “la libertà di movimento come diritto universale“, è indubbio che la problematica migratoria “è il frutto di un sistema ingiusto, che genera divari sempre più ampi fra élite sempre più arricchite e popolazioni sempre più impoverite”.

Quirinale: è la nostra civiltà a impedirci di smarrire quell’umanità che è radice dei nostri valori.

Barca nostra: commemorazione del decennale nel sito della darsena.

Discorsi da frate laico reduce dal Sudamerica, influenzato dall’anticapitalismo guerrigliero e dalla teologia della liberazione? Allora spiegatelo pure a Sergio Mattarella, perché il messaggio arrivato dal presidente della Repubblica per una strage “tra le più terribili che si ricordano nel Mediterraneo”, dove “i migranti morti e dispersi raggiunsero numeri spaventosi”, sembra proprio quello di un comboniano:“Erano persone che disperatamente cercavano una vita migliore, fuggendo da guerre, persecuzioni, miseria. Persone finite nelle mani di organizzazioni criminali, che li hanno crudelmente abbandonati nel pericolo. È la nostra civiltà a impedirci di voltare le spalle, di restare indifferenti, di smarrire quel sentimento di umanità che è radice dei nostri valori. Nel fare memoria rinnoviamo l’apprezzamento per l’opera di soccorso da parte delle navi italiane che sono riuscite, in condizioni estreme, a salvare vite, rispettando quanto impone la legge del mare. I movimenti migratori vanno governati e l’Unione europea deve esprimere il massimo impegno in questo senso. Il necessario contrasto all’illegalità, la lotta alla criminalità, si nutrono della predisposizione di canali e modalità di immigrazione legali che, con coerenza, esprimano rispetto nei confronti della vita umana”. Ma se dal Quirinale si sottolinea che “la Repubblica italiana ricorda quelle tante donne e tanti uomini, molti destinati a restare senza nome”, dal più modesto Palazzo di città la ricorrenza passa ignorata. Eppure l’intero consiglio comunale aveva deliberato un “Giardino della memoria“, dove esporre il relitto come un percorso didattico al senso di umanità, per le generazioni future e – soprattutto – per quelle attuali.

Comitato 18 aprile, Parisi: decennale senza il Giardino della memoria dove far crescere speranza.

Enzo Parisi e don Giuseppe Mazzotta.

“Un giardino dove, oltre i fiori, devono crescere le speranze di tutti noi”, ricorda Enzo Parisi. Il portavoce del Comitato parla di “attuale collocazione troppo stretta, per cosa significa questo simbolo di Barca nostra”. Un relitto dal simbolismo potente, che Papa Francesco quattro anni fa ha trasformato in una icona mondiale, quando l’ha benedetta durante l’Angelus domenicale a San Pietro:“Questo simbolo di tante tragedie nel Mar Mediterraneo continui a interpellare la coscienza di tutti, e favorisca la crescita di un’umanità più solidale che abbatta il muro dell’indifferenza”. Parole arrivate in occasione della concelebrazione che chiudeva i festeggiamenti per la Stella Maris, e inaugurava virtualmente il nuovo destino “museale” del natante dalle molte vite: peschereccio, traghetto, relitto, installazione, e infine memoriale. All’epoca l’amministrazione Giuseppe Di Mare c’era, ma aveva ancora una connotazione civica e bipartisan. Poi la svolta dichiarata a centrodestra, e l’adesione a Fratelli d’italia di sindaco e assessore competente, Pino Carrabino. Stavolta, in quella che don Giuseppe Mazzotta ha definito “una cerimonia laica di cittadini in omaggio ai nostri fratelli caduti”, quelle presenze istituzionali non c’erano. Se lo scopo era quello di svicolare, riguardo il Giardino della memoria rimasto solo una promessa a favore di telecamera, fra un paio di mesi saranno punto e a capo. Parisi, infatti, ha annunciato per giugno “un convegno internazionale, perché possiamo evitare altre tragedie impegnando la società”. Pronta a sfilare in devota processione per la Crocifissione di duemila anni fa, ma dimenticando che quel singolo sacrificio fu offerto proprio per evitare i mille di oggi.

Autore

Massimo Ciccarello
Giornalista professionista

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