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Quando la Costa d’Amalfi finiva a Capri

“Stanco di municipi e di colonie e di ogni altra terra del continente, l’imperatore Tiberio si chiuse nell’isola di Capri, discosta tre miglia di mare dall’ultima punta del promontorio di Sorrento. Molto gli piacque quella solitudine, perchè laggiù non ha porti, ma solo ripari per piccoli navigli e nessuno potrebbe mettervi piede se non per una svista delle guardie “.
Così Tacito, nel libro IV degli Annales, sottolinea l’aspra natura di Capri, praticamente inespugnabile.
L’isola nei primi secoli del Medioevo apparteneva alla giurisdizione di Napoli. Nell’870 l’imperatore Ludovico di Germania, residente allora a Benevento, ordinò al prefetto Marino di Amalfi di liberare il vescovo Attanasio, relegato nell’isola del Salvatore (Castel dell’Ovo) di Napoli dal nipote duca Sergio II, perché si opponeva alla sua politica scellerata, segnalata dall’accoglienza di squadre saracene sulla spiaggia e sul loro impiego militare contro altri Stati della regione. Così Marino, mediante venti sagene, piccole e veloci navi con vela triangolare di creazione bizantina, liberò il vescovo, riuscendo anche a sconfiggere la flotta napoletano-saracena al largo di Capri. Atanasio, sbarcato a Sorrento, fu poi condotto a Benevento. L’imperatore, grato agli amalfitani, concesse loro l’isola di Capri. Questi la tennero per alcuni secoli, respingendo eventuali tentativi di riprenderla da parte dei napoletani: infatti, nell’897 affrontarono i sorrentini in una battaglia navale.

Un’immagine dell’isola di Capri

Quando nel 987 la sede vescovile amalfitana veniva elevata al rango arcivescovile e metropolitano, Capri divenne una delle sedi suffraganee, insieme a Lettere e a Minori. Il primo vescovo caprense fu un certo Giovanni. La sua cattedrale, una chiesa a pianta quadrata bizantina, il cui spazio interno è scandito da colonne di spoglio, fu edificata presso il porto dell’isola, sicuramente in un luogo dove doveva esistere da tempo il culto per S. Costanzo. A tale santo fu attribuita la tempesta che impedì ad una potente flotta saracena di sbarcare sull’isola nel 991, come ricorda il Sermo Sancti Constantii.
La cattedrale primitiva era situata al di fuori dell’agglomerato abitativo, situato più su e realizzato sicuramente dagli amalfitani, come prova l’intreccio delle strette vie pubbliche, in parte coperte da portici. Esso doveva essere una sorta di cittadella, cinta da mura, all’interno delle quali doveva trovare rifugio il vescovo in caso di attacchi dal mare. Le mura e le torri sono in parte ancora visibili, mentre il centro abitato murato è chiaramente individuabile, insieme agli abitati esterni e all’insediamento di Anacapri, nella mappa “aragonese”, una dettagliata e alquanto precisa carta geografica aggiornata o realizzata, comunque, tra il 1597 e il 1603.
Il geografo arabo Idrisi afferma, verso il 1140, che Capri era molto popolosa e aveva un buon porto, frequentato soprattutto dagli amalfitani.
Gli atti del X secolo segnalano sull’isola le seguenti località: Invenale, Piscina, Campora, Mulinio, Pastino, Porta, Pino, Artime, Monte Rotondo, Cisterna, Arzafulo, Tora, Carambulo, Carpineto, Cannule, Toro de Filecto, Falconeta (sull’isola Federico II dapprima e Carlo d’Angiò poi facevano catturare falconi), Fossa de Filecto, Gradule, Caba Scura, Caba, Puteum de Valulo, Oricum.
All’interno del centro abitato numerose erano le domus, residenze private caratteristiche delle città del ducato amalfitano. Nei siti agricoli erano diffusi i casali, formati da case coloniche o rurali a più piani, con stalle, depositi, cantine, ambienti per la vinificazione, nonché vigneti, canneti, terre, campi, selve, saliceti, murteti, fabbriche varie; tra gli ulivi venivano distese, soprattutto a maggio, le reti per la cattura delle quaglie (trasìte de cotonicibus). Ad Anacapri venivano coltivati i legumi nelle terre seminatorie, soprattutto fave (la carne dei poveri), ceci, lenticchie, cicerchie, moco (foraggio).
Nel periodo dei patrizi imperiali (920-954), che governavano la repubblica di Amalfi, l’isola fu affidata ad un comes, alla stregua dell’organizzazione del ducato di Napoli. Lo provano le attestazioni di Petrus, Anastasius, Theodorus, tutti comites de insula Capritana: in particolare, Iohannes, filius Anastasii comitis de Teodoro comite de insula Capritana, ricevette da Adelferius, già duca di Amalfi (985), numerosi possedimenti sull’isola (998).

I discendenti di questi comites risiedevano ad Amalfi: nel 983 Anastasius comes monacava sua figlia Blactu nel cenobio benedettino di S. Lorenzo del Piano. Ciò proverebbe che i comites capresi erano aristocratici amalfitani.

Capri e il vecchio nucleo abitativo

Nei primissimi anni del XIII secolo il signore di Capri era l’amalfitano Sergio Scrofa, appartenente alla potente stirpe comitale e marinara dei Buccella, che era regio giustiziere dei ducati di Amalfi e di Sorrento, capitano delle galee di Principato, stratigoto di Amalfi. Al tempo di Federico II il caprese Eliseo Arcuccia, capitano di galee, fu signore dell’isola. Nel 1337 il vescovo di Capri fra’ Nicola ne era il feudatario, molto discusso dalla popolazione locale.
Ad ogni modo, si verificarono anche casi di autoctoni capresi trasferitisi ad Amalfi: il prete Leone, figlio di Lupino, di Leone de Cunari de insula Capritana, abitava nel rione Capo di Croce (984); i de Filecto possedevano un fundacus domorum (una casa-azienda) presso l’arsenale, denominato, appunto, fundacus de Capro (1197-1280); gli Strina, mercanti e marinai, risiedevano anch’essi a Capo di Croce in alcune case-torri (1166).
Famiglie originarie dell’isola erano: Carambolo, de Cazzulo, de Filecto, de Fragito, Frinzo, Sindolo, Quattuor Pedes, Romano, Caputo, Trallario, Flumicello, Gallinario, Arzafo, Barlino, Giordano, Russo, Silpo, Lauterio, Magister, de Leontaci, de Iubo, de Matu. Abitavano nell’ambito della cittadella e fuori. Un’importante stirpe fu di certo la Arcuccia, attestata ad Anacapri nel 1159; non è possibile stabilire in quale relazione fosse con l’omonima famiglia ravellese. Il suo massimo esponente, Giacomo, funzionario della regina Giovanna I d’Angiò, fondò nel 1371 la celebre certosa.
Il ducato di Amalfi al tempo dell’autonomia repubblicana era difeso da molte fortificazioni, disseminate sia lungo la costa che sulle alture dei Lattari. Due erano le tipologie di tali strutture difensive: il castellum, costituito da un villaggio fortificato, contenente abitazioni, chiese, terreni coltivati e, in qualche caso, anche un monastero (Lettere, Gragnano, Sopramonte); il castrum, abitato soltanto dalla guarnigione e posto a difesa di un villaggio costruito alle sue spalle (Pogerola, Scalella, Pino, Scala Maggiore). Anche l’isola di Capri presentava le sue fortificazioni. Innanzitutto un castellum, attestato sin dal 998, quando era affiancato da una selva posta ad anglum ad ipsum castellum. Un membro della stirpe ducale, Maru, zia del duca Giovanni II, nel 1033 possedeva beni intus ipsum castellum et foras. Pertanto, il castello di Capri doveva contenere terrazze coltivate, nonché alcune abitazioni, alla stregua di quello di Lettere, nel cui contesto vi erano la cattedrale e un gruppo di case basse, affiancate da una platea (una lunga e larga via). Il castellum de insula Capritana presentava due cortine murarie con torri quadrate, nonché una cappella castrense forse dedicata al santo guerriero Michele Arcangelo con campanile a vela. Esso era situato a 412 m. di altezza, sulle pendici del Monte Solaro, in un luogo che la mappa “aragonese” indica come ruine, una postazione che controllava contemporaneamente Capri e Anacapri, nella quale si doveva rifugiare la popolazione in caso di sbarco nemico sull’isola.
Nel febbraio 1131 la flotta dell’ammiraglio Giovanni, su mandato del re Ruggero II, che ambiva conquistare il ducato amalfitano, dopo aver annientato con azione violenta il Guallum Oppidulum, cioè la torre collocata sull’isola del Gallo Lungo, circondava Capri e, quindi, espugnava l’oppidum, facendo grande strage, come ricorda il cronista Alessandro di Telese.
La struttura difensiva fu restaurata e rinforzata in età sveva, mediante la trasformazione in una fortellitia, simile a quella di S. Maria a Mare di Maiori. Infatti, dovette esser proprio Federico II a volere tale intervento tra il 1213 e il 1220, quando Capri gli rimaneva fedele, mentre Amalfi si schierava con il suo nemico Ottone IV di Brunswick, perché non accettava la sua politica centralistica. In età angioina fu costruita una nuova torre cilindrica: infatti nel 1340 il nobile caprese Francesco Arcuccia ricevette 2400 tarì d’oro dalla regia curia per riparare la fortellitia.
Nel 1535 il castello fu distrutto dal corsaro barbaresco Khair eddin (Ariadeno Barbarossa), per cui da allora in poi fu detto “Castello Barbarossa”.

Una vecchia cartolina di Capri

Sicuramente sin dall’epoca angioina esisteva la fortificazione denominata poi Castiglione (da castellio, -onis = piccolo castello), simile al Castrum Leonis di Atrani, sul quale nel 1274 fu edificata la chiesa di S. Maria Maddalena, la cui antica struttura ha dato la denominazione di Castiglione all’attigua località ora nelle pertinenze del Comune di Ravello, ma un tempo atranese. Il Castiglione di Capri è definito castrum nelle carte angioine, nonché nella mappa “aragonese”; esso proteggeva il centro abitato nel settore meridionale. Il Castrum Capri nel 1271 aveva quale custode Goffridus de Apolla o de la Polla, nel 1277 Guillelmus Quadragintasolidi, nel 1307 Sergius de Nicola, nel 1337 Perrinus Umberti. Era servito dal castellanus, dallo scutifer (scudiero), da quattro servientes pedites (fanti); era rifornito mediante 12 salme di frumento e 9 di miglio. In età aragonese era ancora perfettamente attivo; oggi esso presenta una forma totalmente devastata e malamente restaurata. In un disegno di Francesco Cassiano de Silva (1691) e nella mappa “aragonese” (1597-1603) è ben visibile una lunga scalinata che dal versante settentrionale dell’isola conduce proprio al Castiglione.
La mappa “aragonese” evidenzia due torri angioine collocate una sull’estremo lembo orientale e l’altra su quello occidentale, mentre una terza fortificazione, posta sul litorale nord-occidentale, viene indicata come “Torrione della Guardia”.
Così nel periodo angioino (1266-1442) l’isola di Capri fu sottoposta ad un programma di potenziamento militare, in funzione dell’accresciuta demografia, contrassegnata da 124 fuochi (1272-1278), cioè da nuclei familiari tassabili: tenendo presente che in media ogni fuoco poteva essere costituito da 7 persone, che vi era un 5% di evasione fiscale, che ecclesiastici e religiosi erano esenti insieme ai nullatenenti, allora la popolazione caprese in quel periodo doveva raggiungere i 900 abitanti.
(Relazione presentata per gli Incontri di studio. Conoscere, conservare, valorizzare il patrimonio di Torri, Castelli e Fortificazioni del Mezzogiorno, organizzata dall’Istituto di Storia della Città, dall’Università di Napoli, dal Centro Caprese “Ignazio Cerio” – 7-8 aprile 2017).

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